I Moonlight Haze tornano con “Lunaris”

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Lunaris è il nuovo album dei Moonlight Haze, giovani leve della scena Metal nostrana, che appena un anno fa pubblicavano il loro album d’esordio, De Rerum Natura.

Dopo una partenza del genere, ho pensato, come DiCaprio in Django Unchained, “avevate la mia curiosità: ora avete la mia attenzione”. Nonostante tutti i limiti di un disco d’esordio, De Rerum Natura offriva un linguaggio fresco e un piglio accativante di fare musica. I Moonlight Haze si erano presentati con un sound Power, con una voce femminile versatile e un tocco originale e orecchiabile nel sound.

Sono rimasto sorpreso di ricevere così presto un nuovo album di inediti. Mi aspettavo che la band confermasse il suo stile, ma che soprattutto mostrasse maggiormente la propria personalità.

Purtroppo sono rimasto un po’ deluso. Chiariamoci. I Moonlight Haze sono una band interessante e promettente e Lunaris è un disco piacevole da ascoltare. Manca tuttavia un salto di qualità, qualcosa che faccia spiccare la band nell’assembramento contemporaneo di complessi e gruppi musicali. Non può bastare la grinta, l’intenzione e la produzione. Serve anche un guizzo, un elemento di distacco, il coraggio di osare.

Lunaris

La band si è un po’ adagiata su una sorta di comfort zone delineata dall’album d’esordio. Anche in questo caso abbiamo un disco dalla lunghezza facilmente gestibile, circa 50 minuti, con una definizione di suono sopraffino (si riconosce lo stile di Simone Mularoni e la produzione della Scarlet Records), molte canzoni brevi e qualche tentativo con brani più lunghi (di massimo 8 minuti) e non manca la sperimentazione nei suoni,  con profumi dall’Estremo Oriente. Tutto ineccepibile, quasi perfetto sulla carta. Ma stavolta il risultato manca di brillantezza, deludendo un po’ le aspettative.

De Rerum Natura ha avuto il suo massimo punto di forza nell’effetto sorpresa che la band era stata capace di esercitare.

Ero rimasto affascinato dalla frenesia degli archi, dall’atmosfera quasi allegra dei brani, dall’orecchiabilità dei ritornelli. Quell’esordio mi era entrato subito in testa, e a lungo me lo sono riascoltato e cantato. Lunaris però non può fare perno sullo stesso effetto sorpresa dell’esordio, era necessario un tocco di originalità in più, qualcosa che lasciasse maggiormente il segno.

Non si discutono le doti tecniche, in particolare di Chiara Tricarico alla voce e Giulio Capone alla batteria e alle tastiere. Superba e versatile la prima, perfetto trascinatore il secondo, si confermano i due principali pilastri su cui si appoggia la band. A far da contraltare è la totale assenza di significative parti di chitarra, limitata quasi esclusivamente a compiti ritmici e di appoggio, e nel Metal questo non è praticamente ammissibile.

L’album scorre senza intoppi, ma fatica a rimanere impresso.

Per arrivare a qualcosa che ci faccia drizzare un po’ le orecchie bisogna attendere Enigma, quasi a metà disco. La particolarità del brano sta nell’essere cantato in italiano, con un testo tra l’altro non banale né fiacco. Vista la difficoltà della lingua italiana a essere sfruttata per questo genere, i Moonlight Haze realizzano un risultato non da poco. Ma, purtroppo, questo è l’unico elemento veramente di spicco di tutta la tracklist.

Si rivela debole il singolo The Rabbit of the Moon, ispirato al folklore asiatico, così come la opener Till the End. Sperimentare con brani lunghi come The Dangerous Art of Overthinking e Nameless City è sicuramente una nota di merito per il coraggio, ma anche qui i risultati sono limitati e lasciano un po’ il tempo che trovano. Non si tratta mai di brani brutti, sia chiaro questo punto. Ma si galleggia costantemente su una debole sufficienza monocorde, talvolta impreziosita da guizzi momentanei.

Viste le premesse di De Rerum Natura, vista la produzione della Scarlet Records e il mixing di Mularoni, dai Moonlight Haze mi aspettavo qualcosa di più con Lunaris.

Resto fiducioso che il loro prossimo lavoro presenterà quei tratti di crescita, personalità e maturità che una band come loro è in grado di mostrare. Magari con un po’ di tempo in più e non un anno scarso. Va bene battere il ferro finché è caldo, soprattutto per una band giovane, ma non bisogna nemmeno essere frettolosi e accontentarsi di percorrere la strada già battuta perché più sicura. A volte non è così. Meglio valutare con più calma le proprie scelte e i propri percorsi, sfornando un album che dia maggiormente identità alla band, e con una copertina più convincente.

Daniele Carlo
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