Indianizer è una band torinese che nasce nel 2013 come esperimento lisergico per viaggi mentali. Il messaggio dalla loro pagina ufficiale è chiaro e diretto “Indianizer is a psichedelico party band. Have fun.” e ci fanno davvero divertire. Il nuovo album nasce a quattro anni di distanza dal loro album d’esordio, “Neon Hawaii” (2015) che raccontava di un viaggio alla ricerca di un posto nascosto sotto il sole e “Zenith” (2018), che conferma l’idea dell’esperimento lisergico, un viaggio onirico per inseguire la luce attraverso l’oscurità. Nadir è il loro terzo album, si potrebbe definire lo step conclusivo di una trilogia spontanea e noi di Shockwave Magazine lo abbiamo recensito per voi.
Nadir è l’esatto opposto di Zenith
Nadir e Zenith sono i poli dell’orizzonte, diametralmente opposti. La band si concentra sulla musica per raggiungere una condizione estatica di trance. Sono ritmi ipnotici, tracce visionarie, ci sono visioni e atmosfere oniriche amplificate dai suoni elettronici, dai ritmi sudamenricani, dalla musica psichedelica, anche con questo album, si parte per un lungo viaggio mentale. Indianizer crea un particolare tipo di world music definita da loro stessi “psych-tropical-beat”.
La dimensione onirica di Nadir
Con la prima traccia il luogo in cui la si ascolta diventa un vero labirinto, tutti viviamo nel labirinto del nuovo millennio. Cleopatra, titolo della seconda traccia, diventa un’irraggiungibile e immaginaria regina che arriva di notte nei tuoi sogni, il ritmo ci trasporta in una dimensione onirica che ti spinge a saltare nella notte. Con Nadir e i suoi primi tre brani, ci si ritrova in un mondo alieno con cieli che cadono e la Terra che brucia, con Horoscopic si accentua la disperata richiesta di compagnia prima di addentrarsi nel buio, in un mondo alieno e il bisogno di un’altra bottiglia per sconfiggere i propri demoni.
Il kaleidoscopio linguistico è l’arma del successo dell’album
L’originalità dell’album non viene soltanto dal particolare mix musicale, ma anche, e forse soprattutto, dai testi. Utilizzano tre lingue differenti, il creolo, l’inglese e lo spagnolo, permettendo ai diversi ritmi musicali un’omogeneità quasi totale. Ka ou fe è forse la traccia più particolare, con scimmie e sfingi che danzano sulla luna. Raggiungono il loro obiettivo di congiungere anima e corpo attraverso il ballo, che diventa la chiave per raggiungere uno stato di trance. Con questo album abbracciano la disco music del Medio Oriente e l’utilizzo di lingue diverse all’interno di una singola traccia è sempre più appropriato, diventa naturale, come se non potesse esserci altro modo per comunicare se non attraverso un nuovo spazio linguistico. I diversi ritmi del mondo combaciano con i diversi ritmi musicali e i diversi registri linguistici. È una stupefacente dimostrazione di diverse percezioni, diverse pulsazioni che una persona può sentire e si ritrova tutta la bellezza dell’altro, del diverso, dell’alieno, investigando i grandi misteri e verità mai svelate prima. Il suono più crudo rispetto agli album precedenti è il risultato di un delicato equilibrio fra prese dirette registrate su nastro e overdubs effettuati in digitale.
La dimensione preferita è quella del live, infatti il quartetto torinese continua a suonare in tutto il continente europeo, partecipando a importanti festival come Transmusicales ed Eurosonic e condividendo il palco con artisti di fama internazionale come Os Mutantes, King Gizzard And The Lizard Wizard, Hailu Mergia, Elektro Guzzi, Black Lips e Fat White Family. Attualmente la band è impegnata con le date del tour europeo Sin Cleopatra tour, i componenti sono Riccardo Salvini: voice/guitar; Gabriele Maggiorotto: drums; Salvatore Marano: synth bass; Matteo Givone: guitar/voice.
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