Per ricordare la prematura scomparsa di Pino Daniele, abbiamo provato a selezionare le dieci canzoni più significative del bluesman partenopeo.
Sono trascorsi anni da quella sera del 4 gennaio 2015, quando a causa di un infarto venne improvvisamente a mancare Pino Daniele, lasciando un vuoto incolmabile nel panorama musicale internazionale.
Non “solo” raffinato cantautore e compositore, ma chitarrista dallo stile inconfondibile e soprattutto la voce di Napoli: Pino è stato uno degli artisti più innovativi della scena musicale italiana, capace di coniugare in una perfetta alchimia non solo generi diversi, come il rock, il jazz e il blues, ma anche lingue differenti, dall’italiano all’inglese passando per il “suo” napoletano.
Impossibile decretare quale sia la più bella canzone di Pino Daniele, dunque ho provato a stilare quantomeno una sorta di top ten dei suoi migliori brani, attingendo sia dai prodotti rock-blues in dialetto napoletano, sia dai successi pop in lingua italiana.
Per la selezione ho seguito il seguente criterio: ho scelto un brano per ognuno di quelli che reputo i suoi dieci album in studio più importanti, perché sono dell’idea che ognuno di questi concept meriti di essere celebrato. I dieci brani non sono ordinati in base al mio grado di preferenza, bensì seguono un ordine prettamente cronologico.
Napule è
“Napule è na’ carta sporca e nisciuno se ne importa”
Discograficamente Daniele nasce nel 1977, anno in cui pubblica il suo primo album “Terra mia”, anche se precedentemente aveva già collaborato come bassista nel gruppo jazz-rock partenopeo Napoli Centrale del sassofonista James Senese. Già da quest’opera prima si evince il suo intento di fondere la tradizione napoletana e blues, come dimostra anche la traccia “Na tazzulella ‘e cafè”. La biosong di Pino, però, non poteva che avere inizio con quello che probabilmente è il suo brano più celebre, un vero e proprio inno che tratta le contraddizioni e la difficile realtà della sua Napoli e la sensazione di indifferenza e di rassegnazione per questa situazione.
Je so pazzo
“Je so’ pazzo, nun nce scassate ‘o cazzo!”
Altro pezzo altamente significativo della sua prima produzione è certamente “Je so pazzo”, traccia di punta del secondo disco dalle sonorità “Tarumblù”, termine coniato dallo stesso Daniele per indicare il suo genere musicale nato dalla commistione tra tarantella, blues e rumba. Per il testo, Pino prende spunto dall’ultimo discorso pubblico di Masaniello, protagonista della rivolta napoletana del Seicento contro la pressione fiscale imposta dal poterne spagnolo, e si reincarna in un nuovo capopopolo, portavoce dei bisogni e dell’irrequietezza della sua generazione, rivendicando la propria libertà di denunciare e di protestare senza la necessità di mediazioni o giri di parole, giacché si dichiara insano di mente e perciò non perseguibile dall’autorità costituita.
Quanno chiove
“E aspiette che chiove, l’acqua te ‘nfonne e va, tanto l’aria s’adda cagnà”
Ma è con “Nero a metà” che il cantautore raggiunge la definitiva maturazione artistica ed affermazione a livello nazionale. Il titolo dell’opera, come si può leggere nelle note di copertina, costituisce una dedica che l’artista fece all’allora cantante degli Showmen Mario Musella, scomparso poco prima della pubblicazione del disco, definito da lui “Nero a metà” in quanto figlio di madre napoletana e di padre nativo americano. L’album è presente nella classifica dei 100 album italiani più belli di ogni tempo, stilata dalla rivista Rolling Stone Italia nel gennaio del 2012. Uno dei brani più importanti del disco è certamente “Quanno chiove”.
Yes I know my way
“Yes I know my way, ma nun’ è addò m’aie purtato tu”
Per “Vai mò” Daniele si affida a musicisti di tutto rispetto: ad accompagnarlo sia in studio che sul palco (anche nello storico concerto del 19 settembre 1981 in Piazza Plebiscito davanti a 200000 persone) è una formazione tutta partenopea (Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito, James Senese) ed è proprio in questo contesto che si andò definendo il cosiddetto “Neapolitan Power”, l’innovativo sound napoletano, con richiami preponderanti a blues, jazz, funk e rock, come si evince anche in “Yes I know my way”.
Tutta n’ata storia
“I nun vogl’ jì America, pecchè nun ponno capì st’America”
Nel 1982 il supergruppo si sgretola ed ognuno dei suoi componenti intraprende una carriera solista, dunque per Pino cominciano le prime grandi collaborazioni con musicisti di fama internazionale: “Bella ‘mbriana”, infatti, può vantare i contributi di Alphonso Johnson al basso e soprattutto Wayne Shorter al sassofono soprano. L’album rappresenta una testimonianza dell’avvicinamento del cantautore partenopeo ad un tipo di musica più tradizionale, in un certo senso etnico in anticipo sulla world music che verrà consacrata pochi anni dopo l’uscita di questo disco. Una delle tracce chiave dell’opera è sicuramente “Tutta n’ata storia”.
Anna verrà
“Anna verrà e sarà un giorno pieno di sole”
Gli anni ottanta si chiudono con la pubblicazione del disco “Mascalzone latino”, nome che anni più tardi riprese l’omonimo team velico partecipante alle regate dell’America’s Cup. L’album, tra i preferiti dallo stesso Pino, apre a sonorità completamente acustiche dove i vari fraseggi di chitarra avevano il compito di riportare l’album a suoni volutamente latini e mediterranei. La traccia d’apertura “Anna verrà” rappresenta una vera e propria dedica all’attrice Anna Magnani e costituisce uno dei primi brani composti interamente in italiano dall’artista partenopeo.
‘O scarrafone
“Ogni scarrafone è bello a mamma soja”
Il nuovo decennio sembra, almeno inizialmente, essere caratterizzato da un ritorno al blues e all’utilizzo preponderante della chitarra elettrica. “Un uomo in blues” è, dunque, l’undicesimo album in studio di Pino Daniele. Il disco ottenne un grande successo commerciale, anche grazie al singolo “’O scarrafone”.
Quando
“E vivrò, sì vivrò tutto il giorno per vederti andar via”
Il 1991, però, è anche l’anno di “Sotto ‘o sole”, lavoro che contiene riletture di brani già pubblicati tra il 1977 e il 1980 e due pezzi inediti tratti dalla colonna sonora del film “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” di Massimo Troisi, il quale firma anche il testo di “‘O ssaje comme fa ‘o core”. I due artisti avevano già collaborato in più occasioni: il compositore napoletano, infatti, aveva firmato le musiche di due dei precedenti film del regista partenopeo dal titolo “Ricomincio da tre” e “Le vie del Signore sono finite” (contenente il singolo “Qualcosa arriverà”), rispettivamente del 1981 e del 1987. In quest’ottica la ballata “Quando” suggella ancor più la profonda amicizia che lega i due.
Io per lei
“Io per lei ho deciso di cambiare, di smettere di rovinare sempre tutto per colpa della solitudine”
Archiviata la tournée condivisa insieme a Eros Ramazzotti e Jovanotti, in uno spettacolo dove tre artisti con stili e influenze differenti si esibivano in set separati, ma che a turno si confrontavano in intermezzi musicali intervenendo nei brani di ognuno dei tre, Daniele incide il disco “Non calpestare i fiori nel deserto”. L’album è dichiaratamente pop, anche se allo stesso tempo molto vicino alle atmosfere musicali dell’Africa settentrionale. L’opera conquista a Sanremo la Targa Tenco nella categoria miglior album e Pino Daniele riceve il premio come “Artista dell’anno” al Festivalbar 1995. “Io per lei” è il singolo trainante del disco.
Che male c’è
“Che male c’è, che c’è di male se la mia vita ti appartiene ed è normale”
Due anni più tardi Pino ottiene la consacrazione commerciale con “Dimmi cosa succede sulla Terra”. L’album gli vale la trionfale vittoria al Festivalbar 1997, nella finalissima svoltasi proprio a Piazza del Plebiscito nella sua Napoli. Il musicista partenopeo si aggiudica sia il premio per il miglior disco che quello per il miglior singolo con il brano “Che male c’è”.
Così come per Massimo Troisi, anche per il suo amico fraterno Pino “non vale il detto che è del Papa, morto un Daniele non se ne fa un altro!”, patrimonio della musica mondiale che ci ha lasciato un’eredità unica ed irripetibili!
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