Il 16 aprile fanno il loro ritorno i Liquid Tension Experiment, con un album (uscito per Inside Out) contrassegnato anche stavolta unicamente da un numero: 3.
Ventitre anni ci separano da Liquid Tension Experiment, l’album di esordio, seguito dopo appena un anno dal suo successore 2. Nel 1998 quattro musicisti di altissimo livello si riunivano per una performance strumentale che fece stropicciare gli occhi ai più. Il gruppo – che includeva due componenti dei Dream Theater, John Petrucci e Mike Portnoy – sfoderò due album pirotecnici (più che tecnici), fatti di un progressive rock/metal elaborato che tuttavia, in alcuni frangenti, era in grado di prendersi le sue pause e i suoi momenti di riflessione, suonando a tratti persino spiritoso.
Persino più dei Dream Theater, la musica dei LTE era destinata a dividere. Da una parte, i refrain che i fan della musica prog conoscono bene: “bravi, ma non mi emozionano”, “non mi trasmettono nulla”, “troppo freddi”. Dall’altra, le schiere di coloro che si esaltavano – e si esaltano tuttora – per l’attacco di “Paradigm Shift”, per il solo di Petrucci nell’ormai iconica “Acid Rain”, per i continui capovolgimenti di fronte in “Another Dimension” o “Chewbacca”. Chi ha ragione? Nessuno dei due, o tutti e due, come sempre. Ma ogni musica va giudicata per gli obiettivi che si pone e gli strumenti che adotta: non possiamo giudicare il prog tecnico dei LTE con i canoni emotivi della musica, ad esempio, ambient o folk. Per non parlare del fatto che le emozioni sono un criterio di giudizio troppo soggettivo – e in effetti il criterio soggettivo per eccellenza. E quindi cerchiamo, per quanto possibile, di adottare un punto di vista analitico e distaccato.
Come detto, quando i LTE davano fuoco alle polveri, nel lontano 1998, due componenti del gruppo su quattro (i già ricordati Petrucci e Portnoy) facevano parte dei Dream Theater. Fiore all’occhiello del progressive metal del decennio, i Dream Theater venivano dal controverso Falling into Infinity. Presto sarebbe apparso uno dei loro lavori più acclamati, Scenes from a Memory: Metropolis Pt. 2, dove faceva il suo esordio quel Jordan Rudess già ascoltato proprio nei due lavori dei LTE. Completava il quartetto un bassista ben noto come Tony Levin: un curriculum spaventoso (che includeva nomi come King Crimson, Peter Gabriel, Paul Simon e diverse esperienze da turnista) che all’epoca poteva sembrare poco allineato con il background metal degli altri musicisti, ma che invece si sarebbe perfettamente integrato con il resto del gruppo, forse persino temperandone gli entusiasmi “giovanili”.
Oggi la proporzione 50/50 (due Dream Theater e due no) rimane, perché nel frattempo (ahimè, sono già dieci anni) Portnoy ha lasciato il gruppo per dedicarsi ad altri progetti, mentre Rudess ne è diventato un pilastro. L’impronta dei Dream Theater sul nuovo lavoro dei LTE è ancora ben presente, come se in un solo disco si concretizzassero gli stili attraversati dal gruppo negli ultimi due decenni. Raggiungendo quale livello di qualità? Cerchiamo di entrare nel merito dei singoli brani.
Come da tradizione, l’apertura è affidata a un brano veloce e ipertecnico (intitolato, non a caso, “Hypersonic”): un’introduzione al fulmicotone di chitarra e batteria, nella più classica delle odd signatures, poi accompagnata da una discesa di tastiere che si risolve nella sezione successiva del brano. Non c’è virtualmente alcuna differenza con la musica dei Dream Theater: un diluvio di note, ritmo forsennato, ma sempre nella compostezza che caratterizza il prog-metal di questi signori. Verso il terzo minuto la band si fa da parte ed emerge l’abilità solistica di Petrucci: continui cambi di scena ci portano a un secondo e più veloce solo, che lascia spazio a una cascata di note inarrestabile la cui conclusione segna di fatto la conclusione del brano.
“Beating the Odds” si apre con un riff ai limiti dell’hard rock, ma ancora in tempo dispari. Qui l’energia vive meno di velocità e acrobazie (che comunque non mancano), ma più di giovialità e spensieratezza, intervallata da momenti più solenni. Un brano formalmente perfetto, ma non il più significativo, e certamente non il più originale. Liquid Evolution è lo “scherzo” dell’album. Si apre con un ritmo ai limiti della world music, definito da chitarra e batteria, e un basso in primo piano, che lascia ancora una volta spazio alla chitarra di Petrucci, sempre composta, anche quando suona più sofferta.
“The Passage of Time”, uno dei singoli con i quali è stato lanciato Liquid Tension Experiment 3, è un brano dalle caratteristiche molto simili alla opener, ma in generale davvero molto (troppo) simile a tutto ciò che abbiamo ascoltato dai Dream Theater, al punto che alcuni passaggi sembrano quasi delle citazioni.
Segue il terzo capitolo della saga di Chris & Kevin (il quarto, considerando Spontaneous Combustion, registrato senza Petrucci come Liquid Tension Trio), un momento più ragionato e privo di esibizionismi, come se i quattro fossero improvvisamente scesi tra i bassifondi del prog-metal. Decisamente più ricca la successiva “Rhapsody in Blue”. Se qualcuno se lo stesse chiedendo, sì, è il capolavoro di George Gerswhin. Se si esclude una parentesi intermedia, costituita da una breve jam, il brano è una riproposizione abbastanza pedissequa dell’originale. Difficile non trovarsi a elogiare la perizia e la finezza dell’arrangiamento. Ma altrettanto difficile non chiedersi perché mai dovremmo ascoltarci una riproduzione quasi fedele fatta da Portnoy e soci anziché l’originale.
Dopo la romantica “Shades of Hope”, sostanzialmente un duetto tra Petrucci e Rudess con la chitarra in primo piano, Liquid Tension Experiment 3 si conclude con il brano migliore dell’album: “Key to the Imagination”. 13 minuti di riff vorticosi, cambi di tempo, inarrestabili profluvi di note, pause e ripartenze veloci che compendiano alla perfezione il sound dei LTE, portandolo, in questa nuova uscita, ai suoi vertici espressivi e compositivi.
A oltre vent’anni dal loro esordio i LTE sanno ancora come divertirsi e divertire. In Liquid Tension Experiment 3 non troviamo nulla che non abbiamo già sentito in altre occasioni, ma chi ha apprezzato le precedenti uscite difficilmente resterà oggi insoddisfatto.
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