Volume I è l’esordio di Aviva & the Outsider, cantautrice australiana pop/edm divenuta famosa grazie ad una serie di trascinanti singoli su YouTube, raccolti in un’unica compilation. Figurano, dunque, anche brani come GRRRLS, Blame it on the Kids, Street, Rabbit Hole.
Ci sono poche cose che mi fanno incazzare.
Fra queste, ci sono coloro che osano non riconoscere che, nella questione dei pari diritti fra uomo e donna, anzi, fra tutti i generi che compongono lo spettro dell’identità di genere umana, c’è ancora molto da fare. Molto da remare in un mare di costrutti mentali, bigottismo confuso per religiosità, scartoffie appuntite, e dare anche una sola bracciata costa il cento volte tanto la fatica.
Chi è Aviva? Una ragazza, una cantautrice australiana classe non si sa (direi che ha meno di trent’anni, ma è stata molto brava a nascondere l’info), supportata dalla band OutSider, che ha avuto un successo spaventoso per i tempi feroci in cui viviamo: ben due miliardi di stream su Youtube, per delle potenziali hit pop/rock, capacità sincretica che non udivano sin da The Fame Monster di Lady Gaga. Visivamente, l’approccio di Aviva è di alto livello e non riporta alla mente tanta della paccottiglia pop che ci è stata propinata nel corso dell’esplosione di Youtube a principale canale di promozione musica: l’australiana, infatti, ha accompagnato i suoi videoclip ed i suoi singoli a cover fumettistiche a firma di Max Prentis, concept character designer famoso su Instagram. Suo vessillo è l’orgoglio di essere se stessi, senza costrizioni, se non il rispetto dell’altro: donne, uomini, trans, bambini, pazzi, normali; tutti hanno la stessa dignità di esistere e coesistere. Aviva dunque ha stabilito un mood inclusivo nel suo personaggio e nella sua musica.
E se proprio Lady Gaga pare essere il principale modello cui Aviva si ispira, il suo pop è più politico e drammatico, meno colorato e più arrabbiato, a partire dai titoli, in caps lock, dei brani che compongono la compilation: GRRRLS, BRN, BLACKOUTS, e così via. Aviva ha un timbro dolcissimo, ingenuo, infantile, eppure sembra essere dotata di un’ottima estensione vocale – va, però, aggiunto, che la composizione sostanzialmente semplice dei brani non lascia grande spazio all’interpretazione vocale, quanto più alla narrazione e all’enumerazione di concetti, per l’appunto, politici. Si parte così dalla femminista GRRRLS, arrabbiatissima, ed ottimamente prodotta – in mixing assolutamente tridimensionale – passando per l’oscura ed eterea Blame it on the Kids, molto più vicina a Billie Eilish che a Gaga, che mostra una gestione di synth e percussioni (anche se idiofoniche) assolutamente ottimale. Stesso dicasi per Psycho e Cemetery, quest’ultima una ballad originalissima e climatica che gioca su delicati equilibri di dissonanze e accordi diminuiti. Brani come Rabbit Hole, estremamente minimal – giocando solo su filtri vocali e synth delicatissimi in distanza – dimostrano il livello qualitativamente altissimo della produzione di Volume I, mentre il sovraffollamento – presente in Drown – risulta spesso nel sentore di banalità e di già sentito. Streets, infine, è forse uno dei brani migliori dell’album: incredibilmente dark, lampioni sfarfallanti, descrive come anche un uomo debba sentirsi minacciato nel camminare per strada dopo il tramonto.
Dunque, se bisogna trovare un serie di difetti, dunque, al concept di Aviva, che, come ho detto, vanta una grande sincerità ed espressività di fondo, è nella scarsa diversificazione dei brani proposti: a fine ascolto si ha l’impressione di aver ascoltato un’unica, lunghissima canzone, fatta sì di alti e bassi emotivi, ma che si muove su frequenze simili. Il che, se inscritto all’interno dell’essere una compilation di singoli, una presentazione al mondo, più che un vero e proprio album di debutto, ha perfettamente senso ed è un grandioso biglietto da visita per la musica professionistica. Non possiamo dunque che attenderci una maggior attenzione al colore e alle pennellate delicate nel successivo lavoro di Aviva e dei suoi Outsider.
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