Derek Sherinian si getta nuovamente sulla scena musicale con Vortex a circa due anni dalla precedente pubblicazione, The Phoenix.
Il noto tastierista realizza un altro gioiello strumentale della sua personale carriera solista, parallela a un numero quasi incalcolabile di esperienze con i più vari artisti. Molti lo conosceranno per i lavori con i Dream Theater a cavallo degli anni Novanta, dopo l’addio di Kevin Moore e prima dell’arrivo di Jordan Rudess.
Oppure per i lavori con Alice Cooper, Kiss, Yngwie Malmsteen, Whitesnake e collaborazioni varie con artisti del calibro di Virgil Donati, Joe Bonamassa, Tony McAlpine. In pratica, Derek Sherinian è un tastierista unico, ricercatissimo, affidabile, dallo stile inconfondibile e ricco di grandi idee.
L’importanza di questa nuova pubblicazione solista sta nell’essere una conferma della ripartenza dei suoi lavori personali. Dopo l’allontanamento dai Dream Theater alla fine degli anni Novanta, Derek Sherinian avvia la sua carriera solista con i lavori legati al progetto Planet X, prima nell’omonima formazione e poi in maniera sempre più personale, fino al 2011, quando esce quella che per molto tempo sarà la sua ultima creazione da solista, Oceana.
Dopodiché, gli anni Dieci hanno visto un’interruzione di questa sua fase produttiva, anche per l’impegno con i Black Country Communion, con Glenn Hughes, il già menzionato Joe Bonamassa e Jason Bonham, e con i Sons of Apollo, con Mike Portnoy, Billy Sheehan, Ron “Bumblefoot” Thal e Jeff Scott Soto. Finalmente quindi, dopo circa una decade di interruzione, Derek Sherinian ha fatto ripartire la stagione dei suoi lavori da solista.
Vortex è un album coinvolgente, risultando fin dalle prime note come uno dei migliori lavori del tastierista.
Tra l’altro, la formazione del disco vede grandi esponenti del mondo chitarristico (Steve Stevens, Nuno Bettencourt, Mike Stern, i sopra menzionati Joe Bonamassa, Steve Lukather, Ron “Bumblefoot” Thal, ma anche Michael Shenker e Zakk Wylde) e in qualità di membri fissi due assoluti campioni: Tony Franklin al basso (meglio noto come “The Fretless Monster”) e Simon Phillips alla batteria, musicista di grandissima poliedricità, gusto, esperienza e precisione, che nel vasto curriculum ha anche l’avventura pluriennale nei Toto prendendo il posto del compianto Jeff Porcaro.
Ad aprire le danze di Vortex è la traccia omonima con un mix di rock d’altri tempi e atmosfere fantascientifiche, scandito dagli organi di Sherinian e dai suoi sintetizzatori futuristici, sostenuto egregiamente da Steve Stevens. La formula rock viene rinnovata e ulteriormente perfezionata dalla successiva Fire Horse, mettendo da parte le sonorità più moderne in favore di scelte più datate, ma non per questo meno piacevoli.
Con Scorpion invece Derek Sherinian si concede un viaggio verso lidi decisamente Jazz-Rock, basando l’intera canzone su un riffing di pianoforte molto interessante, parente di quelle sonorità che hanno fatto la fortuna di Tigran Hamasyan e Vijay Iyer, ma tornando indietro di vent’anni abbondanti possiamo riconoscere in queste note anche le sperimentazioni degli Esbjorn Svensson Trio.
Nel brano successivo ritorna Steve Stevens, unico ospite presente in più di una canzone, in Seven Seas, dove fioccano le sonorità più nitidamente Progressive, con una minor dose di sperimentazioni o di revival di sonorità settantiane.
Piuttosto un’introduzione basata su sintetizzatori a tappeto, partenza jazzy e poi un’esplosione di tempi dispari più nitidamente Prog Metal inserisce questo brano nell’alveo delle sonorità più tipiche del periodo Planet X di Sherinian, dove le sonorità più aggressive e pesanti si mescolano con l’eleganza, la leggerezza e la fantasia del Fusion. Difatti, il brano presenta una struttura ritmica per quanto possibile lineare, con Franklin e Phillips a fare da base ritmica (al netto di alcuni virtuosismi), lasciando a tastiera e chitarra lo spazio per gare di fantastici assoli.
L’arrivo in coppia di Joe Bonamassa e Steve Lukather regala una delle due punte di diamante di Vortex.
Key Lime Blues, come il titolo suggerisce, si muove nella sfera dei brani bluesy, tipici del repertorio solistico dei due chitarristi. Il risultato è un brano di pregevole fattura, gradevole, dal riffing efficace e tutt’altro che scontato. Il groove dei due ospiti viene perfettamente sostenuto dalla coppia ritmica e perfino lo stesso Sherinian si “limita” al compito di sostegno, concedendosi (solo) un fantastico assolo di organo all’interno della sfida tra Bonamassa e Lukather.
A seguire, l’altro fiore all’occhiello di questo disco.
Stavolta però si tratta di un brano che potrebbe essere un perfetto episodio strumentale di tantissime band Prog Metal. Le sonorità arabeggianti di Die Kobra sono spinte dal riffing massiccio e deciso di Michael Shenker e Zakk Wylde, offrendoci delle strofe e dei ritornelli cantabilissimi. La canzone si apprezza ogni ascolto di più ed è senza dubbio quella che resta in testa maggiormente rispetto alle altre.
Nomads Land ci trascina invece in un ostinato in 7/4 tipicamente Progressive, su cui Sherinian e il grande Mike Stern intessono i loro riff e i loro assoli, fino a spaziare nel delizioso ritornello.
A chiudere Vortex ci pensa la lunga Aurora Australis. Brano impegnativo già a partire dalla durata di oltre undici minuti, ripercorre nelle sue note iniziali al pianoforte le sonorità già esplorate in Scorpion, per poi aprirsi in viaggi celestiali e spaziali, come un po’ il titolo del brano tende a suggerire. In pratica, le tastiere di Sherinian si basano sulle melodie dei sintetizzatori, appoggiandosi su un tappeto di archi, per poi procedere verso sonorità più aggressive, sospinte dal riffing di Ron “Bumblefoot” Thal, già compagno di band del tastierista nei Sons of Apollo.
Proprio la presenza di questo chitarrista fa riflettere sulle caratteristiche, la durata, la posizione all’interno dell’album e le sonorità di questo brano, che sembra reinterpretare in un certo senso quanto compiuto proprio nei Sons of Apollo con il brano New World Today, l’ultimo del loro secondo album. Chiaramente si tratta comunque di due mondi simili, ma nettamente differenti. Ad ogni modo, la conclusione di Vortex, per quanto più lunga rispetto alla media degli altri brani, regala ulteriori spunti di interesse e sperimentazioni, spaziando tra i generi con grande facilità, da momenti più morbidi e riflessivi ad altri più incalzanti, sfiorando il Jazz moderno fino a tuffarsi nel Metal più rumoroso e ritmato.
Si può dire senza alcun dubbio di trovarsi di fronte a uno dei migliori prodotti mai realizzati da Sherinian nel suo repertorio solistico.
Vortex è un amalgama di tante sperimentazioni, tanti viaggi musicali, tanti desideri espressi e realizzati dal tastierista. Poteva essere un tentativo rischioso che avrebbe potuto generare confusione e mancanza di coerenza e invece il prodotto è una sopraffina disamina di quanto Derek Sherinian possa spaziare nella musica, senza mai perdere la bussola del suo percorso. Si può fare Jazz, si può suonare Hard Rock, ci si può scatenare con il Progressive Metal, ma lui mantiene il suo sound, la sua personalità, senza mai snaturarsi.
Il supporto ritmico di Simon Phillips e Tony Franklin merita notevoli complimenti, in quanto entrambi sono sempre stati sempre sul pezzo, lasciando il giusto spazio ai solisti, ma senza mai limitarsi al “compitino”. Piuttosto il loro gusto e le loro notevoli capacità hanno permesso all’album di avere la consistenza e la sostanza di cui aveva bisogno.
I vari guest hanno saputo poi inserirsi perfettamente nello spirito del disco, ognuno con le proprie idee e le proprie sonorità, mantenendo la propria identità, senza snaturare mai il risultato finale.
Un risultato che – ribadiamolo – è veramente pregevole.
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