Nessun uomo è un’isola, non puoi isolarti dagli altri, ogni essere umano ha bisogno di altri esseri umani, e bla bla bla, scrive Andrè Aciman in Chiamami col tuo nome e mi sembra una buona citazione per introdurre il nuovo album di Bartolini. Si intitola “Penisola” e l’obiettivo del giovane Bartolini è proprio quello di cercare di non essere un’isola, di non chiudersi più nel suo guscio. Lo racconta attraverso le 11 tracce del disco, in uscita il 3 aprile per Carosello Records.
Oggi siamo tutti piccole isole
Sto ascoltando l’album in anteprima da una decina di giorni e mi sta facendo compagnia nel mio isolamento da quarantena. Ora che siamo tutti piccole isole, ci farà bene ricordare che è meglio essere penisole e che le relazioni umane sono importanti. È la mancanza di alcuni rapporti e un forte senso di solitudine a sentirsi soprattutto nella traccia che dà titolo all’album, Penisola, il senso di vuoto e “sembra di stare su un’isola con i rumori della città”. Fa salire a bordo del treno dei ricordi e compie un lungo percorso emotivo.
Una poetica solitudine con sottofondo new wave
La prima osservazione è la maturità dell’artista, non è più il Bartolini di Ferrari e di Penelope, sembra essere meno timido, si ritrovano i suoi affetti e le sue paure, una sincera solitudine. La novità è nella sua voglia di sperimentare nuove strade e anche di scavare dentro se stesso. L’influenza musicale è molto mista, dalla New Wave al cantautorato pop all’italiana che forse ha approfondito soprattutto attraverso la scena musicale romana.
Le introspezioni dei vent’anni
Isolarsi è chiaramente una condizione spesso necessaria per scrivere e anche per osservare il mondo con uno sguardo esterno. Con la traccia Millennials entra proprio nella generazione dei Millennials di cui lui stesso fa parte, dove “siamo tutti uguali, siamo digitali”, e in questi giorni in cui non ci resta che postare, siamo più digitali del solito.
Sono due le tracce uscite in anteprima, Non dirmi mai e Lunapark, due tracce quasi opposte tra loro, scelte come anteprima perché forse rispecchiano il sound e il tema del disco, una la parte sperimentale musicale, l’altra la parte testuale più intima. C’è il ragazzo che non vuole diventare grande e che non riesce a stare solo nella stanza, che per certi versi ricorda il Charlie di Bianconi e c’è quello più malinconico di Luna Park, con una base musicale che accompagna dolcemente il testo, una canzone che sa cullare e accompagnare chi l’ascolta nei propri ricordi.
Sappiamo che Giuseppe Bartolini, classe 1995 e di origini calabresi, ha passato i sui ultimi anni tra Roma e Manchester, con un pezzo di cuore sempre rivolto verso casa, a Trebisacce, in Calabria.
“La cosa che caratterizza quest’album e che mi affascina particolarmente è il fatto che mi senta come se lo avessi scritto in luoghi diversi che poi sono diventati un unico luogo. Quel luogo, in questi 4 anni, sono sempre stato io.”
Bartolini
Bartolini ha letteralmente inserito i suoi luoghi nelle sue canzoni, è presente la traccia Roma, fatta di cliché, quelli che oggi ci mancano più di ogni altra cosa, quelli della vita di tutti i giorni. Dei bus mai in orario, i tramezzini dei bar di Roma, i pullman a Tiburtina, il parcheggio in centro. Ma Roma non è l’unica. La traccia che chiude armoniosamente l’album è “I love America”, dove sono improvvisamente le 7 del mattino per tutti, a qualsiasi ora e c’è un’isola che ritorna e che forse inizia a diventare penisola.
È un album che va ascoltato e riascoltato, che non stanca e tutte le tracce meritano di essere ascoltate. C’è un fil rouge che percorre tutte le tracce e rende l’album armonioso, omogeneo, una delicata e a volte anche “pop” fusione tra musica e testo. Se sperimentare nuove strade porta a questi risultati, allora continua pure a sperimentare. Le canzoni che, personalmente, invito fortemente ad ascoltare sono Sanguisuga, Penisola, Astronave. È con Astronave che preferisco chiudere questa recensione, perché “fuori di qua c’è un mondo che non fa per me. Voglio un’astronave.”.
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