Soundtrack è un modo diverso di approcciarsi alla musica, in un momento come questo in cui le serie tv e i film sono i nostri compagni di quarantena perché non esplorarli da un altro punto di vista che è quello delle colonne sonore che li rendono più emozionanti e che ci fanno sognare? In questo secondo appuntamento ci spostiamo in una realtà distopica e inquietante, il mondo creato da Margaret Atwood di The Handmaid’s Tale.
The Handmaid’s Tale: trama
Prima di trasformarsi nella serie pluripremiata The Handmaid’s Tale era un romanzo scritto da Margaret Atwood ben 35 anni fa! Il romanzo copre solo la prima serie mentre le successive sono state create con la supervisione dell’autrice. La serie Hulu vanta al momento tre stagioni dove non solo le tematiche affrontate sono attualissime ma l’uso degli elementi “a corredo” dell’immagine la fanno da padrone. Merito di una fotografia e di una colonna sonora strepitose The Handmaid’s tale è uno dei prodotti più coraggiosi e moderni che possiamo trovare sul mercato.
La storia narra la vicenda di June, mamma di Anna e moglie felice. In un futuro distopico, con un crollo incontrollabile della natalità, gli Stati Uniti sono divenuti un regime totalitario e teocratico chiamato Gilead basato sul controllo del corpo femminile. Le cosiddette “ancelle”, le uniche ancora in grado di procreare, hanno il compito di garantire una discendenza alla classe sociale dominante. June perde il suo nome e diventa Difred (L’ancella di Fred) ed è costretta a subire umiliazioni per il bene dello stato divenendo un mero oggetto per procreare.
Nel romanzo, così come nella serie TV, seguiamo il flusso di coscienza della protagonista, una donna comune che tiene accesa, dentro di sé, la speranza e l’amore, sentimenti che la porteranno a ribellarsi ad un regime ingiusto ma pericolosamente possibile. La tematica centrale ci inquieta perché ci presenta una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica. Una realtà inventata ma talmente reale che potrebbe prendere vita da un momento all’altro.
A fare da collante al tutto la preponderanza di una presenza femminile diversissima ma attuale. Il cast è strepitoso, Elizabeth Moss dona a June la bellezza di essere una donna normale, di quelle che potresti incontrare in qualsiasi ufficio o supermercato e che, in una situazione avversa, si trasforma in un’eroina sua malgrado. Yvonne Strahovski, nel ruolo della moglie del comandante Fred Waterford, ci presenta un personaggio multisfaccetato, specchio di June, una donna che da indipendente ha accettato di sottomettersi al marito solo per il desiderio di avere un figlio.
Ann Dowd nei panni di Zia Lydia ci presenta un personaggio oscuro e duplice, carceriera di ancelle ma essa stessa vittima della società; Alexis Bledel, smessi i panni della piccola Gilmore, diventa donna e ci stupisce con un il ruolo di una ragazza lesbica che vede sgretolarsi davanti a sé quei pochi diritti che era riuscita a conquistare e infine Samira Wiley, nei panni della migliore amica di June, è un concentrato di energia e vitalità. Una serie che fa pensare e che ci prospetta una realtà alternativa la cui realizzazione possibile dobbiamo combattere.
La soundtrack di The Handmaid’s Tale
La serie Tv ha un colore dominante che è il rosso: simbolo del peccato e della colpa ma anche della rivoluzione, rosso è anche il colore che caratterizza la colonna sonora: frizzante, moderna, indipendente che accompagna i personaggi durante il loro cammino verso la libertà. In un mondo quasi medievale, con atmosfere asfittiche e inquietanti, la musica è un raggio di sole che squarcia la tela perfetta quasi fiamminga, è un tripudio di colori sgargianti e strong con il rock, la musica di ribellione per eccellenza che domina su tutto. La cura del music supervisor Michael Perlmutter è racchiusa tutta in una sua frase:
<<it needed to be a soundtrack that sounds like freedom. [È necessario che sia una colonna sonora che suoni come la libertà].>>
A Gilead la musica è vietata per le donne e ogni volta che irrompe sulla scena provoca un accostamento talmente surreale da emozionare enormemente lo spettatore. In questa serie, più che in altre, la musica è un vero e proprio specchio dei sentimenti dei personaggi e soprattutto l’espressione di quello che June può solo pensare ma non dire.L’espressione della June interiore, quella vera, quella di prima che può sopravvivere solo in queste canzoni esplosive.
Strabiliante è l’utilizzo di Feeling Good di Nina Simone alla fine della prima serie quando June si rende conto che per sopravvivere quello che conta è l’unità, la comunità con le altre donne e che lei può essere un esempio di ribellione per le altre. Ecco una personalissima playlist selezionata dalle prime tre serie da ascoltare tutta d’un fiato:
- Feeling Good – Nina Simone
- Hungry Heart – Bruce Springsteen
- This Woman’s Work – Kate Bush
- GO! – Santigold feat. Karen O
- You Don’t Own Me– Lesley Gore
- Don’t You (forget about me) – Simple Minds
- Heart of Glass: crabtree remix – Blondie+Philip Glass
- Respect – Aretha Franklin
- Oh Bondage, Up Yours!– X-Ray Spex
- I Will Survive – Gloria Gaynor
- Everyday – Buddy Holly
- Every Single Night – Fiona Apple
- Walking on Broken Glass– Annie Lennox
- Do You Know Love – Charlie Dée
- Perpetuum Mobile – Penguin Cafè Orchestra
- Erupting Light – Hildur Guðnadóttir
- Down to River to Pray– Alison Krauss
- Under the Ivy – A balladeer
- Into Dust – Mazzy Star
- Cloudbusting – Kate Bush
Ogni brano è calibrato e ben scelto per la scena che va a rappresentare e non solo la musica ma anche le parole sono calzanti o il contesto in cui il brano è uscito. Spesso la musica viene utilizzata anche in contrasto ed è molto forte la componente ironica, una sorta di umorismo macabro che ci descrive un sentimento contrario a quella che proveremmo ascoltando solo le canzoni senza guardare le immagini.
Prendiamo, ad esempio You don’t own me di Lesley Gore, un brano del 1964 che contiene in sé un momento topico della storia, quello in cui il femminismo iniziava a fare capolino e le donne cominciavano a lottare per i loro diritti, viene introdotto alla fine della prima puntata dove June si trova catapultata in un incubo senza via d’uscita riuscendo benissimo a rappresentare una sorta di “umorismo nero” quasi cinico caro alla serie e al personaggio di June.
E come non ricordare, invece, l’inizio della seconda stagione con la presenza potente di Kate Bush (che ritroviamo varie volte nella colonna sonora) con This Woman’s Work e del testo dirompente dedicato ad una donna che ha perso la sua vita per generarne un’altra, quella del suo bambino appena nato, separato da lei troppo presto così come i neonati appena nati vengono strappati dalle braccia delle ancelle che, in questo momento, stanno rischiando anche di perdere la loro vita.
All the things we should’ve said that are never said/ All the things we should’ve done that we never did/ All the things we should’ve given, but I didn’t/ Oh darlin’, make it go/ Make it go away.
Di forte impatto emotivo è l’utilizzo della canzone di Blondie Heart of glass riarrangiata insieme ad un brano di Philip Glass da Jonas Crabtree alias Daft Beatles, un mashup strepitoso che descrive perfettamente lo stato d’animo di June nei confronti del suo passato, un passato felice e spensierato che si sgretola piano piano sotto i suoi occhi fino ad entrare in una realtà straniante che non riconosce.
Come “chicche” da scoprire nella colonna sonora troviamo dei brani della violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir, musicista strepitosa e compositrice di famose colonne sonore del cinema come quella della miniserie Chernobyl o quella che gli è valsa un Oscar e numerosi altri premi per il film Joker. Vi invito ad andare a riscoprire il suo primo album del 2006, Mount A. L’album è stato registrato a New York, e a Hólar i Hjaltadalur, in una casa di nome “Audunarstofa”. La vecchia casa è costruita in legno norvegese ed è stata scelta per la sua acustica estremamente adatta al violoncello. Guðnadóttir ha suonato tutti gli strumenti per l’album: vibrafono, violoncello, arpa e voce. Un piccolo gioiello.
Nella colonna sonora troviamo anche i Mazzy Star un duo musicale statunitense composto dal chitarrista David Roback e dalla cantautrice Hope Sandoval, di genere alternative rock neopsichedelico formatosi alla fine degli anni ’80 e ricostituitosi, dopo lo scioglimento, nel 2011. So tonight that I might see, uscito nel 1993, è un insieme di ballate che rafforzano la vena dream pop del duo e che ci trasportano in un’atmosfera altra, onirica e romantica. La voce di Hope è qualcosa di impalpabile e leggero, dolce e allo stesso tempo ironico, morbido e graffiante. Ottimo per accompagnare l’atmosfera sospesa di The Handmaid’s Tale. Alla colonna sonora non originale si affianca quella appositamente composta per la serie da Adam Taylor ugualmente straniante e affascinante.
Attendo proposte e commenti e vi aspetto nella prossima puntata in cui ci lasceremo travolgere dal genio Ryan Murphy e dalle sue creazioni per la TV fuori dal comune.
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