Tigran Hamasyan – Torniamo sulla “scena del crimine”, questa volta per prendere in considerazione un altro artista dal taglio assolutamente singolare (di fatto sempre di singolarità musicali stiamo parlando). Siamo partiti dal progressive metal dei Contortionist per poi virare sul gusto avanguardistico dei Bent Knee e ora, in un viaggio quasi “odissiaco” sbarchiamo sulle rive del jazz in una delle sue forme più atipiche: quella costruita dal genio di Tigran Hamasyan.
Piccola nota necessaria: non sono un ampio conoscitore e studioso del jazz. Ergo, se per quanto concerne i mezzi e le produzioni della musica “pop” posso tranquillamente esprimermi, in questo relativo caso ci andrò con le pinze, parlando con la voce di chi sa di non sapere ma che può, in qualche modo, comunque apprezzare. Il vero reato, in fondo, sarebbe non parlare di un’artista del calibro di Tigran Hamasyan.
Giovanissimo pianista e compositore armeno, nato a Gyumri nel 1987, il jazzista è stato in grado, con la sua opera, di riscrivere le regole di uno dei generi musicali più nobili al mondo applicandovi i modus operandi del vero e proprio sincretismo musicale
Attivo già dal 2006, precoce vincitore di premi già in giovanissima età ( 2003 – vincitore del premio “rivelazioni” al Jazz à Juan e del premio della critica e del pubblico al Festival di Montreux. 2006 – vincitore come “miglior piano jazz” al Thelonious Monk Institute of Jazze) giunge alla portata della grande attenzione mediatica tra 2013 e 2015 con la doppietta di album formata da Shadow Theater e Mockroot (attualmente, forse, il suo lavoro più emblematico). Affrontandolo è impossibile non rendersi conto dell’incredibile diversità di elementi che il giovane pianista armeno è stato in grado di raccogliere per dare vita ad uno stile unico ed inimitabile.
Le basi della musica pianistica jazz, venature di pesantezza del metal moderno, gli accenti e i gusti dei sound del folklore armeno
Tutti elementi che, lavoro dopo lavoro, anche miscelati in modo non sempre uguale e omogeneo sono stati in grado di costruire quel suono unico e personale, singolare, che ha garantito a Tigran Hamasyan il successo musicale.
Musica trascinante, raffinata e, allo stesso tempo, ricca di carattere. Il sincretismo che avvolge la produzione di Hamasyan non può non far strabuzzare gli occhi. Sezioni di piano e cori delicate dove le note richiamanti le sue origini vanno poi ad impattare contro “muri pianistici” fatti di poliritmie, tempi composti e note all’estrema sinistra della tastiera d’avorio sono, probabilmente, il miglior biglietto da visita che potremmo utilizzare.
Talvolta lento ed intimo, altre volte rapido ed isterico. Quando poetico e trascinato, quando rude ed incessante, dalle dita di Tigran Hamasyan sono in grado di nascere numerose differenti sfumature di colore e di emozioni che vanno a riversarsi sui tasti del suo pianoforte
Il resto dell’arrangiamento, poi, non fa altro che aumentare la qualità e l’espressività del tutto. Cori, elementi elettronici, una sezione ritmica “incollata” al pianoforte e molto altro sono il supporto necessario per la produzione di qualcosa di a suo modo unico.
Con An Ancient Observer, lavoro del 2017, la natura variegata della sua opera sembra perdere di colore, o meglio, asciugarsi, ritornando su una musica principalmente pianistica e “più lenta”, senza però perdere quelli che sono gli elementi caratteristici del suo sound e folklore.
Nonostante ciò, però, è impossibile non apprezzare la natura intima ed emozionale di un pianista jazz che è riuscito a portare il suo genere su di un diverso livello di narrazione e comunicazione artistica
Tigran Hamasyan è un tecnico che emoziona, uno sperimentatore che comunica non solo con la sua opera ma anche con il suo pubblico grazie a composizioni che, impossibile non rendersene conto, sono in grado di nascere dalle corde più intime di qualcuno che la musica non solo la conosce ma sa anche trasformarla in espressione dell’animo.
Peccato che, in generale, la sua opera sia realmente “poco fruibile”, rimanendo digeribile a chi abituato a ricercatezze e sperimentalismi ma più indigesta per tutti coloro che non sono abituati ad ampliare i loro orizzonti cercando di cogliere qualcosa di estremamente nuovo e, sicuramente, molto complesso.
A pieno merito rientrante tra le singolarità musicali del nostro globo, Tigran Hamasyan merita, però, un’occasione. Chi riuscirà a far penetrare le sue note oltrepassando le prime difese dell’abitudine sicuramente non se ne pentirà, lasciandosi poi andare a qualcosa di nuovo, innovativo e (si spera) destinato ad influire nel sound della musica contemporanea ancora per qualche anno.
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