E’ da poco trascorso il 25 aprile e, come ogni anno intorno a questa data, si ricomincia a respirare quell’odore di libertà. Una libertà che ci era stata tolta, con il controllo, la censura e il rogo dei libri. Il 75° anniversario dalla liberazione è un anno diverso, particolare. In piena pandemia e confinati dentro quattro mura è stato strano non scendere in piazza e rivendicare i nostri diritti e i nostri doveri come quello di non dimenticare, ma si apprende una lieta novella in questo clima grigio della quarantena: riaprono le librerie. Eh già, una delle prime attività a riaprire (solo ed esclusivamente a loro discrezione) saranno i librai.
Ma cosa significa, cosa rappresenta tutto ciò? Il governo ci sta dando fiducia, a noi e alla cultura
La letteratura, come ogni altra forma di arte è uno strumento che aiuta a fuggire dalla realtà circostante, e in un momento in cui le giornate sembrano esser divorate dalla noia, un libro è un viaggio che ci porta in luoghi lontani rimanendo confinati nelle mura di casa. Ma facciamo un passo indietro pensando a quando era ancora possibile fuggire per un week end, magari nella romantica Ville Lumiere.
Siamo in una delle sale più famose del Louvre, dove è conservato uno dei più enigmatici capolavori di Leonardo, La Gioconda; la intravediamo in mezzo alla folla, e ciò che colpisce il nostro occhio è una giovane che dà le spalle al dipinto decidendo di fotografarsi in quell’istante con l’opera in questione. Prima dell’avvento degli smartphone e della moda dei selfie, lo spettatore medio cosa avrebbe fatto?
Dare la possibilità a tutti di fotografare e rendere quell’istante eterno ha fortemente trasformato la società che sempre più raramente è soggetta a riflessione
In un mondo che si appresta ad essere sempre più efficiente e vivere di pochi attimi di svago, come quello di un week end a Parigi, “perdere tempo” davanti ad un quadro perde di senso; d’altro canto si potrebbe pensare di rivedere l’immagine a casa e rifletterci dopo su o far vedere ad amici e parenti per testimoniare il fatto di essere stato in un certo luogo e aver vissuto una certa esperienza. Tuttavia è l’esperienza profonda che viene meno, quello che veniva chiamato hit et nunc. La locuzione latina infatti nel suo uso comune indica un adempimento, una questione la cui risoluzione non ammette proroghe; un impegno che, nella sua attuazione, non può essere rinviato per alcun motivo.
Il problema sta nel fatto che si fotografa l’opera e si prosegue in questa sorta di tour-de-force dentro il museo, cercando di vedere più cose possibile. L’individuo così facendo delega la macchina a collezionare delle esperienze per suo conto, perdendo il senso dell’opera d’arte, che nasce per suscitare una riflessione interiore.
L’uomo moderno diventa così un mero raccoglitore di immagini, ma non di esperienze e, soprattutto, aliena l’arte dalla sua importanza emotiva, mentale e culturale. L’esperienza “umana” profonda lascia lo spazio ad un consumo distratto, incentrato sulla tendenza, sul bisogno di mostrare ancor prima che di capire.
Così, in qualche modo, si fugge anche il peso dell’arte e la sua importanza psicologica, emotiva ed educativa
Quando sento parlare del fatto che i dipinti le sculture, la musica e il cinema non servono a nulla, rimango sempre attonita di fronte a quest’affermazione. Non so cosa rispondere, mi lascia basita. È come se di fronte a tanta franchezza le mie ragioni non fossero all’altezza della cosa. Poi ci rifletto su. Una squallida franchezza; mi piace pensare che l’arte – in ogni sua forma – sia ciò che rende la vita più sopportabile. Immaginiamo un mondo senza immagini, senza creatività, senza immaginazione. Non esisterebbero serie tv, romanzi, non esisterebbero le illustrazioni sulla scatola dei biscotti.
Con questa affermazione non intendo affermare che ogni cosa sia arte, ma senza la figura creativa il mondo sarebbe una mera rappresentazione cruda del mondo in bianco e nero, come un film neorealista o un documentario di F. Wiseman. Il neorealismo, con Ladri di Biciclette ad esempio, e il doc sulla New York Public Library del regista statunitense hanno in qualche modo lo stesso occhio sulla realtà, una realtà cruda senza la narratività che ci ha reso assuefatti. Questo ci disturba, ci annoia e ci fa cambiare canale.
Perché quando ci si trova dinnanzi alla realtà nuda e cruda, così forte che ci prende a schiaffi, si scappa?
Forse è dovuto alla rapidità della fruizione. Si pensi anche ai cartoni animati di una volta, Pinocchio, La sirenetta, La spada nella roccia, erano molto più lenti, quasi totalmente assente questa frenesia del montaggio. Fotogramma, dopo fotogramma sempre più veloce, che ci porta in un vortice che la nostra mente non riesce ad elaborare, ma allo stesso tempo crea un tale assuefazione che probabilmente tende ad obliare alla realtà di cui facciamo parte.
Le prime forme di arte nascevano in presenza di un alto tasso di analfabetismo, per raccontare le grandi narrazioni dei nostri tempi: semplici e quindi, divulgative. Allo stesso tempo riusciva a trasmettere le storie della genesi e la realtà circostante. Un grande lavoro di rielaborazione dell’attuale al quale sempre meno spesso siamo abituati: non vorremmo vedere, il brutto, lo scomodo, lo sporco delle periferie romane.
E qui si torna infine all’esperienza museale, nell’incapacità dell’uomo di elaborare, di pensare e ripensarsi
Ma l’arte in questo momento ci servirà non soltanto a scappare da questa realtà insopportabile. La letteratura, l’arte, la musica sono quegli strumenti che ci aiutano ad elaborare meglio la realtà. Si scappa quindi, ma durante il meraviglioso viaggio che si intraprende nelle pagine di un libro si riflette affondo, e si torna diversi, anche rimanendo nello stesso appartamento. Di conseguenza la cultura ci aiuterà a sviluppare degli elementi critici per comprendere meglio le sfumature la realtà circostante.
Tornando all’incipit, e traendo delle conclusioni, il governo riaprendo le librerie sta dando fiducia all’Italia. Per una volta sta credendo – anche se ancora fiaccamente – che forse la cultura può salvarci
Voglio sperare che non sia una scelta sbagliata, per una volta voglio sperare nell’intelligenza dell’essere umano e voglio credere che quando torneremo ad uscire potremmo disquisire di cultura e non dell’effimero, tornare a consumare l’arte non come un bene opzionale da cui fuggire quando ci è richiesto un approccio più impegnativo (fuggendo quella realtà profonda che bussa alla nostra porta), ma un bene primario in cui immergersi, una panacea dalla vita di tutti i giorni e, allo stesso tempo, un modo per comprenderla meglio, comprendendo così anche il mondo che ci circonda.
Dare fiducia all’arte e alla cultura è una necessità essenziale, in particolar modo in periodi così complessi come quello che stiamo vivendo, dove quella stessa realtà che spesso non riusciamo a comprendere al meglio ci spaventa, ci allontana e ci isola dal prossimo e, contemporaneamente, da noi stessi.
Di Martina Trocano
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