Jackson Pollock (1912-1956) è davvero un’arte dettata dal caso?

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L’inconfondibile stile del pittore statunitense Jackson Pollock caratterizza gli anni ’40-50 del XX secolo.

Il Dripping (da “Drip” e “painting”), che inventa, dimostra l’esigenza di allontanarsi sempre di più dagli usali strumenti del mestiere, come pennelli, cavalletto, tele, per arrivare a nuovi esiti sperimentali. Bastoncini, barattoli e coltelli, diventano i mezzi con cui Pollock crea opere d’arte uniche nella storia.

«Il mio dipinto non scaturisce dal cavalletto. Preferisco fissare la tela non allungata sul muro duro o sul pavimento. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Sul pavimento sono più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del dipinto, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorare dai quattro lati ed essere letteralmente “nel” dipinto. È simile ai metodi dei pittori di sabbia indiani del west.»

Jackson Pollock

Per questo artista diventa fondamentale percepirsi nell’opera, senza che niente possa interferire tra loro. Quello che vuole esprimere passa esclusivamente attraverso il colore, che viene a momenti schizzato, a momenti lasciato colare e a momenti gocciolato sulla superficie piatta della tela. Le vernici, spesso diluite, causano effetti a “macchia” e risultano poco brillanti. Ne deriva un risultato apparentemente caotico, disturbante e genera un atmosfera fumosa in grado di farci immedesimare nei duri anni che seguirono la fine del Secondo Conflitto Mondiale.

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Pollock diluisce le vernici e la tela assorbe i colori, creando delle macchie.

Ma la distribuzione del colore sulla tela è davvero dettata dal caso?

In realtà parlare della pittura di Pollock in termini di casualità non è corretto, l’artista negava l’esitenza del caso all’interno delle sue opere. Dichiarava di partire sempre da un’immagine che gli si presentava nella mente, in base a quell’idea si muoveva, ruotava e quasi ballava per ottenerla e concretizzarla sulla tela. Il corpo era mosso dal suo inconscio. In un certo senso compiva veri e propri rituali, in cui metteva in connessione il suo inconscio con il mondo esterno, e il colore era il mezzo di espressione scelto per testimoniare tale connessione.

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Jackson Pollock a lavoro nel suo studio, fotografia di Hans Namuth, 1950

Quest’arte si legava ad un movimento artistico francese: il surrealismo e alle tendenze artistiche dei Nativi americani. I primi realizzavano opere che esprimessero realtà superiori, dettate dall’irrazionalità e dal sogno. I secondi traevano dal “mondo degli spiriti” le immagini che poi realizzavano attraverso tecniche molto simili a quelle utilizzate da Jackson Pollock. Da cosa deriva questa tendenza? Pensate che il pittore trascorse la sua giovinezza in Arizona, dove erano ancora visibili i riti religiosi di questa popolazione. L’artista rimase profondamente affascinato dallo stato di Trance in cui gli stregoni eseguivano le cerimonie e dall’uso di sabbie colorate su superfici piatte.

“Quando sono “nel” mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del “familiarizzare” che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l’immagine, ecc., perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c’è pura armonia, un semplice dare e prendere, ed il dipinto viene fuori bene.”

Jackson Pollock.
jackson pollock dripping
Frame del film Jackson Pollock 51 di Hans Namuth, 1951

Il fotografo Hans Namuth, capì che per immortalare in modo sensato il processo artistico di Pollock c’era bisogno di un vero e proprio film (clicca qui per guardarlo). Decise quindi di girare un corto di circa 10 minuti, a seguito del quale il pittore avvertì l’esigenza di bere del Bourbon, suo Whiskey preferito, di cui però aveva tratto dipendenza e da cui stava cercando di allontanarsi. Da quel momento in poi l’alcool sarà per Jackson il suo più grande nemico, a causa del quale morì prematuramente in un’incidente stradale.

Se state pensando che il “Dripping” possa essere stato replicato facilmente, non avete tutti i torti. Molto spesso, mi trovo davanti a brevi video, specialmente sui social, in cui vengono create opere in cui il colore è lanciato o schizzato senza una reale intenzione, interpretando questa tecnica come creatrice di un’arte dettata dal “caso”, ma attenzione! Sebbene ve le vendano come opere d’arte, queste non sono da confondere come tali, di casuale nel Dripping non c’è proprio niente! Questa tecnica è morta con il pittore stesso in quanto segno distintivo della sua arte, tutto ciò che vediamo oggi sono rielaborazioni o semplificazioni di essa, che raggiungono esiti piuttosto commerciali.

Alla prossima cari Lettori!

Eleonora Turli

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