Ci sono delle notizie che non si dovrebbero mai dare, fatti ed accadimenti di cui non si vorrebbe mai scrivere. La chiusura di Telejato è una di queste. Prima di arrivare al nocciolo della questione è doveroso fare un passo indietro e capire l’importanza di questa piccola emittente televisiva del meridione d’Italia.
Siamo a Partinico, in provincia di Palermo. Il territorio è quello della Valle dello Iato, da cui il nome della tv. Nata nel 1989, Telejato è stata rilevata dal giornalista Pino Maniaci nel 1999. Negli anni, ha assunto un ruolo particolare nella Sicilia di quel tempo ed in particolare in una zona di quella stupenda terra dove le ferite degli attentati di mafia nel 1992, nel ’95 o nel ’96 (e l’elenco potrebbe ancora continuare a lungo) erano aperte e sanguinanti.
Un ruolo creato più che assunto perché Telejato è stata la voce libera di quella parte di Sicilia che resiste e che non abbassa la testa davanti alla mafia, ma che si tura il naso per non sentirne il mefitico odore. Le inchieste di Pino Maniaci e della redazione hanno valicato i confini regionali e si sono diffuse in tutta Italia, grazie anche all’interessamento di testate nazionali che hanno iniziato una collaborazione con la tv sicula. Tra mille difficoltà, come ad esempio attentati, agguati, vendette trasversali, Telejato resiste e va avanti. La mafia non la ferma, ma poteva farlo lo Stato con il passaggio delle frequenze dall’analogico al digitale terrestre.
Dopo mesi di lotte e di mobilitazioni popolari e di esponenti della mondo della cultura come della politica, il Ministero dello Sviluppo Economico “concede” una frequenza del digitale. L’impegno contro Cosa nostra, contro la corruzione, contro “ciò che non va” continua fino ad arrivare a importantissimi risultati. Telejato diventa anche una scuola di giornalismo che ogni anni accoglie decine di giovani provenienti da tutta Italia.
Oggi, e veniamo al dunque, la tv antimafia non esiste più. Dopo 33 anni di lotte, Telejato non è stata inserita nella graduatoria delle emittenti locali che possono trasmettere con il digitale terrestre di seconda generazione e cioè con gli standard DVB-T2. La frequenza in Sicilia costa ben 40mila euro, cifra astronomica che una piccola redazione di provincia non può permettersi. E dunque Maniaci si vede costretto a spegnere il segnale, arrendendosi alle leggi dello Stato italiano. «Non c’è riuscita la mafia coi suoi attentati a farci chiudere – ha detto amaramente, con la voce rotta dal pianto – non ci sono riusciti pezzi del tribunale di Palermo e ci riesce lo stato. Le nostre frequenze sono state vendute al 5G».
Telejato non si arrende e, nonostante le frequenze siano state spente, continua ad essere trasmessa su internet, sui canali social della tv. Un modo per sopravvivere che ha il sapore di compromesso, ma l’alternativa sarebbe stato il nero e la vittoria del malaffare. L’obiettivo è di tornare a trasmettere quanto prima e per farlo è stata lanciata una raccolta fondi sul sito gofoundme.com con la quale, si spera, trovare l’importo necessario per trasmettere. Traguardo che sembra essere alla portata.
Come ogni cosa umana, anche Telejato è fatta da uomini e come tali fallaci. Non c’è dubbio che gli errori siano stati tanti, ma in compenso tanto è stato il coraggio nel parlare di mafia e dei mafiosi, dei loro coinvolgimenti con la politica locale e i risultati non sono stati pochi. La chiusura di Telejato è sicuramente la fine di un’era, ma la speranza è sempre l’ultima a morire. La speranza di vedere un giorno una Sicilia e un’Italia diverse, dove una piccola emittente televisiva non faccia notizia, ma sia uno dei tanti esempi di libertà di espressione e di stampa. Una libertà che non gode di buona salute.
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