Gli euro raccontano: La conchiglia, il mare, la rosa, ovvero i simboli di Venere e Maria.

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La Venere pagana e la Madonna cristiana hanno molto in comune. Vi siete mai chiesti perché gli stessi simboli ricorrono nelle due figure? Forse perché sono due facce della stessa medaglia o meglio… della stessa moneta.

Le monete parlano di noi, veicolano la nostra storia, la nostra identità. Anche se non ci pensiamo, se lo diamo per scontato, se ce ne dimentichiamo, quelle monete riportano rappresentazioni di edifici storici, di personaggi illustri, di opere d’arte immense, dal valore inestimabile, dall’importanza enorme.

Mentre scrivo ho sotto gli occhi la piccola moneta dorata da dieci centesimi, sul retro uno dei dipinti più famosi della storia dell’arte italiana: la Nascita di Venere di Sandro Botticelli. A esser precisi, della Venere è raffigurato soltanto il bel volto, i biondi capelli fluttuanti.

Quello che non si vede nella moneta è ciò che tutti conosciamo bene: su di una conchiglia, la pudica dea della bellezza, appena nata dalla spuma del mare, viene sospinta da Zefiro, vento fecondatore, verso l’isola di Cipro, mentre sulla riva la sta già attendendo una delle Ore, intenta a porgere a Venere un manto rosa a fiori. Un manto per proteggerla, per coprirla, questa dea appena nata e quindi nuda, ma – lo abbiamo detto – pudica: copre la sua nudità con le mani e con i lunghi capelli.

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Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1485, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Questo perché la dea raffigurata non incarna l’immagine di regina della lussuria che spesso le associamo; qui Venere è la dea dell’amore inteso come forza che genera e dà vita – non per nulla quella che vediamo è la sua nascita – e, nuda, è la dea della semplicità e della purezza, del corpo e dell’anima, la quale non ha certo bisogno di orpelli per risplendere.

Venere nasce perciò nuda e pura dall’acqua, che è il suo elemento, e questa immagine ci introduce il primo dei parallelismi oggetto di questo scritto: anche l’anima dei cristiani, nel momento del Battesimo, viene purificata dal peccato originale per mezzo dell’acqua.

La conchiglia, simbolo di Venere e dei pellegrini

Tornando al dipinto, al centro c’è un elemento che abbiamo già citato e che è impossibile non notare: la conchiglia. La dea, infatti, “viaggia” in piedi, meravigliosamente in equilibrio, sopra la valva di una grande conchiglia, come fosse la sua preziosa e perfetta perla. La conchiglia da sempre è simbolo di qualcosa di importante; nell’antichità è sinonimo di fecondità e quindi di vita (in latino, per indicare il termine conchiglia si usa concha, che indica, oltre alla conchiglia, il mollusco, l’ostrica e la sua perla, anche l’organo sessuale femminile) e nel Cristianesimo a questi si aggiunge quello di rinascita, resurrezione, purificazione spirituale.

Nel mondo cristiano, la conchiglia sarà perciò strettamente legata al battesimo (come rinascita, ma nella Grazia di Dio) e al pellegrinaggio, inteso come viaggio di purificazione ed espiazione dei peccati commessi; tant’è vero che proprio una conchiglia i pellegrini per molto tempo hanno usato come piatto o come recipiente per bere. Molto facile inoltre trovare fonti battesimali e acquasantiere a forma di conchiglia, e valve di tutte le dimensioni decorano le facciate e gli interni di molte chiese.

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Acquasantiera dal Museo Malacologico di Cupra Marittima

Un’opera, in particolare, è da menzionare a proposito: la Pala di Brera, o Pala Montefeltro, di Piero della Francesca. Nella semicupola sullo sfondo è scolpita una conchiglia e a questa è appeso un uovo di struzzo che, messo in risalto dalla luce, sembra sospeso sulla testa di Maria. Qui la conchiglia non ha perla (che nell’opera di Botticelli era rappresentata dalla Venere stessa) bensì un uovo, simbolo della perfezione divina e strettamente legato al dogma della verginità di Maria.

Anche in questo caso torniamo al mito: la fecondazione di Maria per mezzo dei raggi divini dello Spirito Santo (emanati dalla colomba) ricorda la storia di Zeus, il quale fecondò la regina di Sparta Leda trasformandosi in un cigno. Sia l’uovo che la conchiglia sono anche in questo caso simboli di vita: Maria è la nuova Venere, colei dalla quale si genera l’esistenza.

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Piero della Francesca, Pala di Brera, o Pala Montefeltro, 1472-1474, Pinacoteca di Brera, Milano

Venere nasce dall’acqua. Elemento dal quale la prima vita ha avuto inizio, e indispensabile affinché la vita continui. Nella nota preghiera a Maria, Ave Stella Maris, i fedeli chiedono alla Vergine che li protegga e che, come viaggiatori per mare alle prese con le onde della vita, faccia loro da guida, portandoli alla salvezza. Il titolo, Stella del mare, può essere interpretato anche come sinonimo di stella polare, la stella che indica il Nord e che viene utilizzata per orientarsi; per questo è tradizionalmente la guida dei naviganti.

La rosa in Venere e nel culto mariano

Se torniamo col pensiero alla Nascita di Venere notiamo l’abbondante presenza di fiori: mirti, primule, fiordalisi e rose. La rosa, in particolare, è strettamente collegata al culto di Afrodite.

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Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1485, Galleria degli Uffizi, Firenze. Particolare.
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Sandro Botticelli, Nascita di Venere, 1485, Galleria degli Uffizi, Firenze. Particolare.

Nell’Iliade, ci racconta Omero nel canto XXIII, la dea unge con olio di rose il corpo del defunto Ettore affinché i cani restino lontani. È dall’antichità che nasce la tradizione che vede la rosa come fiore dell’amore, che placa la rabbia e che tiene lontana la violenza. Già poi si conoscevano le preziose proprietà toniche e astringenti del fiore, ed è proprio grazie alla sua idea di fiore della salute che la rosa entra nella cultura cristiana divenendo parte integrante del culto mariano.

Rose intrecciate in corone venivano frequentemente utilizzate nei rituali e nella cultura cristiana queste corone diventano col tempo i rosari. Il termine, infatti, nasce da un’usanza che consisteva nel posare corone di rose sulle statue della Vergine Maria: ogni rosa rappresenta una preghiera alla Madonna, che sale al cielo come rosa e discende come Grazia.

Le rose del dipinto in questione presentano un colore lieve, simbolo di giovinezza e castità, ma con il tempo quelle cristiane si fanno rosse. In realtà, era già di questo colore la rosa collegata a Venere, che, secondo il mito, si era così colorata con il sangue dell’amato Adone.

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Peter Paul Rubens, La morte di Adone, ca. 1614, Museo d’Israele, Gerusalemme.

Nella cultura cristiana, è il sangue di Cristo a rendere la rosa vermiglia e da quel momento viene associata alla passione e al martirio. Ecco che la purezza, prima propria della rosa bianca o rosa, ora si ottiene attraverso il sangue del figlio di Cristo, il quale riscatta gli uomini col proprio sangue, la cui effusione purifica dai peccati.

La rosa, fiore anticamente legato alla dea dell’amore, viene col tempo riservato alla Madonna attraverso un lungo lavoro di epurazioni e di aggiustamenti. Così come della conchiglia il mondo cristiano tralascia il collegamento con il sesso femminile, della rosa rossa dimentica la sensualità.

Paganesimo e Cristianesimo, più simili di quanto si creda

La Chiesa ha perciò incanalato tutti questi elementi verso un culto lecito e ordinato, e non poteva fare altrimenti: questi simboli erano così radicati nella cultura antica che il Cristianesimo delle origini è dovuto scendere a compromessi e si è dovuto avvicinare ai pagani e riuscire a comunicare nuovi concetti e idee in una lingua che fosse il più possibile familiare a questi ultimi.

Molti, altri e vari sono i simboli ripresi, o le feste pagane che sono state cristianizzate (pensiamo solamente al Natale, che anche nell’antichità era una data molto importante poiché segnava il primo giorno in cui il sole tornava a risalire e le giornate ad allungarsi) e questo continuum, che ha portato a forme complesse e stupende di sincretismo, rende la nostra cultura estremamente ricca e stratificata e con una voce antica che ci continua a parlare ancora oggi in forme diverse.

Termino questa mia riflessione con dei versi dal poema Venere e la Madonna, dell’autore romantico e poeta nazionale romeno Mihai Eminescu (1850-1889), che associa Venere alla Madonna citando un altro grande dipinto, la Madonna del diadema blu di Raffaello.

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Raffaello Sanzio e Giovan Francesco Penni, Madonna del diadema blu, 1518, Museo del Louvre, Parigi.

[…]
O Venere, o marmo caldo, occhio di pietra sfavillante,
braccio morbido come il pensiero di un imperatore poeta,
tu fosti l’apoteosi della bellezza della donna,
di colei che oggi ancora sempre bella riveggo.

Raffaello, perduto in sogni come quelli di una notte stellata,
spirito inebbriato di luce e d’eterna primavera,
ti vide!… e sognò il paradiso, ove in giardini imbalsamati
ti vide seder regina tra gli angeli del cielo.

E sulla nuda tela creò la Venere-Madonna
con diadema di stelle, con dolce sorriso di vergine,
con viso pallido tra raggi d’oro, angiolo ma donna,
poi che la donna è il modello degli angioli del Cielo.
[…]

M. Eminescu, Venere e la Madonna
Federica Gallotta
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