Mina. Da 80 anni è alfiere della rivoluzione sessuale e sentimentale, ancor prima del Sessantotto. Interprete unica, destinata e vogliosa di sprovincializzare la mentalità italica.
In un mondo interattivo in cui la comunicazione viene affidata alle immagini dei social network, Mina è l’eccezione. Perché Lei, inspiegabilmente, c’è. C’è per chi non l’ha vissuta, per chi la conosce oggi attraverso vecchi filmati e per chiunque ha bisogno della sua voce. Perché almeno una volta nella vita, Mina arriva per tutti. La sua voce ha qualcosa di mistico, ma non solo. Un apoteosi di stile, carattere e sentimento. Donna ed Artista dai mille volti e dalle mille anime. Sempre moderna, eccentrica ed originale che il “nuovo” di oggi può solo arrancare.
L’estrosa cantante cremonese iniziò a cantare nel 1958, a 18 anni, un po’ per gioco e un po’ per spavalderia, nel locale notturno “La Bussola” in Versilia. Fece poca gavetta, nulla rispetto ai colleghi, d’altronde il suo temperamento e la sua voce illuminante erano lì, pronte a sfondare in quel mondo fatto di paillettes e applausi. Fu facile per gli addetti ai lavori capire che, quella poco più che ragazzina, aveva in mano la matita per ridisegnare le redini del mondo musicale e televisivo italiano.
Dal 1958 al 1962, tra canzoni inedite e canzoni riprese, i suoi 45 giri furono grandi successi. Se con Nessuno, Tintarella di luna e Il cielo in una stanza Mina rappresentava la nuova frontiera degli artisti in Italia, con la travolgente Le mille bolle blu conquistò non solo Sanremo, ma il mondo: dal Giappone, dove a Tokyo suonò perfino sulla terrazza di un grattacielo, ben prima dei Beatles, al Sudamerica, passando dall’Olympia a Parigi. Per Mina, quel rivoluzionario Sanremo 1961 – sette anni prima dei movimenti studenteschi – fu una parentesi, tanto che non prese più parte alla competizione.
La svolta Studio Uno
Tornata in Italia dopo il trionfante tour all’estero, ci fu subito l’incontro con Antonello Falqui e Studio Uno. All’epoca nessuno aveva mai pensato che quell’incontro potesse fare di Mina un simbolo destinato a scrivere le più belle pagine di storia della televisione e della canzone italiana. Contemporanea, cangiante, completa, estrosa, rivoluzionaria, Mina rappresentava tutto questo in quel programma, mandato in onda sul Programma Nazionale, l’attuale Rai Uno, dal 1961 al 1966. Ha saputo attraversare e rielaborare le espressioni più attuali del repertorio nostrano, continuando a cavalcare i tempi.
Gli spettatori di allora, già di per sé elettrizzati per il «fenomeno televisione» in via di diffusione nelle abitazioni, desideravano buttarsi dietro i problemi della quotidianità, sognare davanti allo schermo e lasciarsi trascinare da quella magia fatta di musica e danza completamente nuova, impensabile fino a l’anno prima. E il loro sogno, la loro idea di felicità e il loro stupore quasi all’unanimità andava a coincidere con il nome di Mina. Era una padrona di casa brillante e competente, dimostrando tutta la sua versatilità, proponendo un repertorio variegato: dalle canzoni napoletane agli standard americani, passando per ballate più tradizionali. Diede vita a numerosi duetti con i più grandi artisti della scena nazionale.
Era un momento idilliaco per Mina, il pubblico la ama, la stampa la trattava come icona indiscussa, “L’Europeo” la definì «una specie di mito degli italiani giovani e vecchi, poveri e ricchi, babbei e intelligenti, comunisti e cattolici, e che in un minuto guadagna quanto un magistrato in un mese (150 mila lire tonde) e in una settimana colleziona sei copertine di settimanali autorevoli», fino a quando decise di avere consapevolmente un figlio dall’attore teatrale Corrado Pani, allora sposato. Dopo alcuni mesi, fu la stessa Mina a dichiararlo:
«Attendo un figlio. Spero che le persone che sanno cos’è l’amore, soprattutto le donne che amano, mi comprendano. Ho cercato di essere sincera e leale fino in fondo. Anche se a volte essere fedele alle leggi del cuore può risultare difficile e rischioso. Sarebbe stato semplice rinunciare a un figlio, ma io voglio questa creatura e la voglio con tutte le forze perché è il figlio dell’uomo che amo, anche se la legge degli uomini ha la sua importanza e mi è contro».
Iniziò così un ostracismo bigotto da parte dei dirigenti Rai, ma che ebbe, fortunatamente, vita breve.
Nel 1962 il divorzio in Italia non esisteva, il concubinaggio era reato e Pani era sposato dal 1959 con la collega Renata Monteduro. I due erano separati di fatto da diverso tempo, un anno, circa, disse la cantante in un’intervista a Oriana Fallaci, quando iniziò la relazione con Pani, che ben presto, date le circostanze, divenne di pubblico dominio. Da lì in poi, anche la Mina stellare e volteggiante fu attaccata, bersagliata, osteggiata e denigrata da un’Italia piccola, ancora troppo indietro, nonostante il “miracolo economico”, ancora troppo moralista e impreparata alla modernità mentale, sociale e culturale, che nulla ha a che fare con frigoriferi, Lambrette e vacanze estive. Allora si gridò allo scandalo.
Addirittura, l’Osservatorio Romano la condannò e la definì «pubblica peccatrice» e ammoniva chi lodava il coraggio della cantante, sostenendo che era assurdo parlare di coraggio solo perché una donna aveva preferito una maternità illegittima alla soppressione della maternità. Fu l’inizio del tentato tracollo. La Rai, all’epoca democristiana fino al midollo, non la voleva più, anzi, la censurò. Via da «Studio Uno», via dalla televisione di Stato. Le porte per lei erano chiuse, e restarono tali per più di un anno.
Il ritorno sulle scene
Nonostante le illazioni, la “tigre ruggiva ancora”, scalpitava. Così, nell’aprile del 1963, in barba alle dicerie e alla censura, Mike Bongiorno il 10 gennaio 1964 la invitò a partecipare al suo programma La fiera dei sogni. Per Mina l’esilio era ufficialmente finito e si mostrò in scena cambiata, più adulta, e con una fierezza dirompente interpretò magistralmente La città vuota, che ad oggi, nel periodo Coronavirus, sentirla fa un certo effetto. Fu un grande successo, il pubblico l’amava ancora, non aveva mai smesso di farlo, anzi, forse Mina aveva iniziato quel processo di “svecchiamento della mentalità”, regalando un assist prezioso alla stagione dei diritti e dell’emancipazione della donna degli anni Settanta.
La Rai non poteva fare a meno che tornare sui suoi passi e la corteggiò. Johnny Dorelli la invitò nel suo varietà, presentandosi con un look elegante per omaggiare due icone del cinema italiano: la prima di gran moda in quel 1964, ovvero la Stefania Sandrelli di Sedotta e abbandonata, il film di Pietro Germi sulla tradizionale morale sessuale italiana; la seconda, l’Anna Magnani di Mamma Roma, film di Pier Paolo Pasolini di due anni prima.
I due personaggi hanno molto più in comune con la Mina del 1964 di quanto si pensi. Entrambe erano vestite di nero, come Mina nella trasmissione, in due scene chiave: quella della “fuitina” e quella in cui “Mamma Roma” torna sulla strada. Un messaggio implicito, un forte ed intenso richiamo figurato alla situazione che la cantante stava vivendo. Insomma, quello di Mina è stato un ritorno sensazionale che la portò ad essere addirittura più amata di quanto non lo fosse, fin quando Antonello Falqui non la riportò sul palco di Studio Uno nel 1965, tornando da vera regina.
Da De André a Battisti
Quelli, furono gli anni d’oro della televisione pubblica. In Rai si sperimentava, si faceva cultura e spettacolo allo stesso tempo. Mina interpretò nel varietà, che la vedeva nuovamente protagonista indiscussa, svariati capolavori, battezzando alcuni dei più grandi cantautori. Nel 1967, ad esempio, incise La canzone di Marinella, interpretata con estrema delicatezza e rispetto per le parole scritte da un allora sconosciuto Fabrizio De André che, rimasto colpito ed affascinato da quella interpretazione così elegante e prelibata, si spinse ad un elogio sentito e autoironico, proprio lui, che non era solito fare complimenti:
«Se una voce miracolosa non avesse interpretato nel 1967 La canzone di Marinella, con tutta probabilità avrei terminato gli studi in legge per dedicarmi all’avvocatura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore e soprattutto a vantaggio dei miei virtuali assistiti».
Poi fu il turno di Giorgio Gaber, sua madrina nel passaggio verso il teatro-canzone, e quello della coppia Mogol e Lucio Battisti che le affidarono canzoni del calibro di Insieme, Io e te da soli, Amor mio e La mente torna. Quello con Battisti fu un sodalizio artistico breve, ma proficuo. Impossibile non citare quell’esibizione al Teatro 10 il 23 aprile 1972. Nove minuti che hanno marchiato per sempre la musica e la televisione italiana.
Il ritiro ed il mito
Nell’era della visibilità a tutti i costi, nessuno si sognerebbe mai di sparire dalle scene. Nessuno potrebbe vendere dischi senza fare concerti o apparire in televisione. Tranne Lei. Tranne Mina. Che il 23 agosto 1978 decise di esibirsi, per l’ultima volta, alla sua amata “La Bussola”, luogo in cui si sentiva relativamente protetta.
Da allora rimane l’indiscutibile talento, la preziosissima voce, le millecinquecento canzoni e i centocinquanta milioni di dischi venduti di cui si continua a parlare, incessantemente. E poi ci sono le molteplici immagini, quelle estreme, assurde, dissacratorie, su tutto ciò che aveva e faceva parte della morbosità dei media nei suoi confronti, ma lontana, assente, sempre più immateriale, irraggiungibile. Sempre più Divina.
Non riavremo mai un’altra Mina. Perché quelle come lei nascono una volta sola. Su questo mondo o la incroci, o no. Devi essere fortunato. E noi siamo stati fortunati. Chi l’ha vista dal vivo, invece, è un privilegiato.
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