C’è chi ha ascoltato almeno una volta nella vita Lucio Dalla e chi mente. Il cantante bolognese è uno dei grandi capisaldi della musica pop/d’autore dell’Italia: chi non ha mai ascoltato, anche per un momento in radio, veri e propri tormentoni come Piazza Grande e 4 Marzo 1943?
L’ombra del pop ha sempre seguito Dalla, senza riuscire tuttavia ad intaccare la matrice più profonda, racchiusa nel cuore dell’artista; perché Lucio (così si voleva far chiamare, in maniera semplice) è un qualcosa di oltre, un essere venuto da qualche pianeta per raccontare la quotidianità attraverso l’ironia e la verbosità.
L’album Dalla, uscito nel 1980, è il riflesso dell’immagine di Lucio Dalla, un insieme di racconti, una raccolta di novelle personali, forti, delicate. L’immagine più bella dell’intero album (oltre alla copertina) è l’immagine che si viene a creare nella mente, quella di un Dalla che passeggia per le vie di Bologna, assorto nei suoi pensieri ma fortemente concentrato sulle azioni svolte dai passanti.
In questa caratteristica ci vedo molto anche la figura di Carlo Verdone, che ha racchiuso nei suoi film le quotidianità dei personaggi della vecchia Trastevere (sarà anche per questo la loro collaborazione in Borotalco?).
L’album inizia con Balla balla ballerino, un vero e proprio inno dei “magici anni ‘80”: ballare per Lucio Dalla è sinonimo di pace interiore, di tranquillità. Con la canzone il ballerino “ferma” il tempo e le azioni, diventa una figura divina che si esalta con la diabolica azione del ballo.
“Balla alla luce di mille sigarette, e di una luna che ti illumina a giorno, balla il mistero, di questo mondo che brucia in fretta, quello che ieri era vero, dammi retta non sarà vero domani”
Il parco della luna, seconda traccia dell’album, è una storia extra terrena, un inno che racconta l’amore dei due protagonisti della canzone. Qui Dalla torna stilisticamente ai suoi precedenti album, a quell’unione tra reale e surreale tipica di canzoni come Corso Buenos Aires o L’ultima luna.
“in silenzio, sparire piano piano sopra il loro cavallo di legno, con la loro pelle scura nella mano. Adesso Sonny Boi e la sua donna Fortuna, saranno a metà strada, tra Ferrara e la luna”
La sera dei miracoli, forse la canzone più famosa dell’intero album, è un omaggio che Dalla fa nei confronti di Roma, una città che diviene un microcosmo di oggetti, azioni, un mare di emozioni che si intrecciano tra di loro in un leitmotiv di archi, pronti ad esplodere con l’inizio del ritornello.
“Si muove la città, con le piazze e i giardini e la gente nei bar, galleggia e se ne va, anche senza corrente camminerà, ma questa sera vola, le sue vele sulle case sono mille lenzuola”
La traccia che chiude il lato A del disco è Mambo, canzone dove Dalla decide di parlare della rabbia di un uomo lasciato dalla donna: questa rabbia si unisce però alla malinconica nostalgia provata dal protagonista, che accentua ancora di più l’agrodolce poetica del cantante bolognese.
“Si sente molto furba e carina, dice con te non ci rimango, io col cuore in cantina, ma sono un uomo e dico vattene via, leva il tuo sorriso dalla strada e fai passare la mia malinconia”
Passando al lato B ci troviamo davanti alla canzone che, per stessa ammissione di Lucio Dalla, è “la più riuscita, la più sincera, la più trasparente”. Leggendo il testo non si può non notare come Meri Luis possieda un’impronta filmica: il linguaggio cinematografico esalta ancora di più le parole di Dalla, riuscendo a dare un continuo movimento alla vicenda.
“Meri Luis finalmente ha deciso che l’amore è bello, ha abbassato gli occhi e si è lasciata andare, ha benedetto il cielo come fosse un fratello, per le sue belle tette e per l’amico che le vuole toccare”
La successiva traccia dell’album, Cara, trasporta l’ascoltatore in un mondo onirico. Qui Dalla racconta le emozioni all’interno di un sogno, un vero capolavoro sia per immaginazione sia per costruzione. Il protagonista si rende conto di essere dentro ad un sogno, ma a lui non interessa, continua a dedicare le sue parole alla donna amata.
“La notte sta morendo, ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo, ma per uno come me, l’ho già detto, che voleva prenderti per mano e volare sopra un tetto”
Siamo dei è un inno alla gioventù, un racconto che Dalla assembla con le immagini dei giovani, futuri protagonisti di un mondo dove gli dèi non sono altro che loro stessi. La loro impulsività, la loro energia saranno i nuovi catalizzatori della società moderna; la positività dell’autore compie il definitivo sorpasso sulla malinconia presente nelle tracce precedenti.
“Ma non ti accorgi che stando in alto, vedi il mondo da lontano, e che per cosa mi dovrei pentire, di giocare con la vita, e di prenderla per la coda, tanto un giorno dovrà finire”
Ed è proprio nell’ultima traccia dell’album che Dalla esalta tutto questo: con Futura il cantante bolognese unisce la forza della canzone con la Storia. In un preciso momento storico come quello del 1980, dove la crisi degli ostaggi a Teheran stava riportando l’ombra di una guerra mondiale, Dalla decide di ridare speranza al mondo.
Anche ora, con il mondo sconvolto dalla pandemia, da continui avvicendamenti politici e da crisi economiche sempre più accentuate, le parole e le canzoni di Lucio Dalla possono dare nuovamente speranza alla popolazione mondiale. Un monolite della canzone italiana che non smetterà mai di stupire e io personalmente non smetterò mai di ringraziare.
“Dove sono le tue mani, nascerà e non avrà paura nostro figlio, e chissà come sarà, lui domani, su quali strade camminerà, cosa avrà nelle sue mani, le sue mani, si muoverà e potrà volare, nuoterà su una stella, come sei bella, e se è una femmina si chiamerà, Futura”