Ieri pomeriggio, 30 aprile, alle ore 15, si è svolta la conferenza stampa dell’AGIS per discutere sulle proposte per far ripartire il settore dello Spettacolo dal Vivo in attesa delle decisioni prese dal Ministro Franceschini: “Lo spettacolo in Italia nella fase 2-Proposte per la ripartenza delle attività e per la riapertura al pubblico”. Tecnicismi e poca praticità, tante parole e poca attenzione agli artisti, in lontananza, qualche piccolo spiraglio di luce.
Un giovedì qualunque di fine aprile decido di armarmi di pazienza e di seguire una conferenza stampa web dedicata allo Spettacolo dal Vivo. Essendo anche una lavoratrice del mondo dello spettacolo, penso e spero di poter carpire qualche informazione sul come e in quale modalità si potrà ricominciare a lavorare in sicurezza. Mi collego e già i primi problemi tecnici mi fanno capire che non sarà una passeggiata. Il documento sarà illustrato da Carlo Fontana, presidente AGIS, Filippo Fonsatti, presidente FEDERVIVO, Francesco Giambrone, presidente ANFOLS con gli interventi di Roberto Andò, regista cinematografico e teatrale e presidente del Teatro Stabile di Napoli e del Maestro Daniele Gatti, direttore d’orchestra e direttore musicale dell’Opera di Roma.
L’AGIS intende presentare un documento realizzato in concerto con tutte le componenti aderenti all’associazione, dallo spettacolo dal vivo all’esercizio cinematografico. Un documento “quadro” che contenga una serie di proposte per riaffrontare una “ripartenza”, caratterizzato da cronoprogrammi e nel rispetto delle misure di sicurezza.
Dopo il primo intervento di Giambrone, che si sofferma sul fatto che bisogna definire un orizzonte temporale in modo da chiarire ai lavoratori quali sono, più o meno, le tempistiche e dopo un saluto di Mario Lorini, presidente degli esercenti cinematografici è il turno di Roberto Andò. Il regista, forte della sua esperienza di lavoro pratico e non solo teorico nel campo, afferma la necessità di reinventare il teatro, ripensarlo in forme che ammettano un pubblico ridotto. Andò punta molto sul fatto che non bisogna interrompere il filo con il pubblico, parte fondante dello spettacolo dal vivo. Il teatro è patrimonio umano, continua, e fa parte di un puzzle più grande, questo tassello deve essere reinserito con cura per tutelare il pubblico e i suoi lavoratori.
Utilizza la bellissima espressione: “siamo dei fedeli che non possono officiare il loro culto” (e sembra che anche il Papa, ieri, ci abbia ricordato nelle sue preghiere) riprendendo anche la metafora usata qualche giorno fa da Massini “dei teatri come chiese”. Ricordiamo, ai non addetti ai lavori, che il teatro nasce proprio così, come rito, già dai tempi dei Greci e che nel Medioevo, nelle Chiese si era soliti portare in scena spettacoli teatrali e che la stessa celebrazione della Messa in sè è un vero e proprio “spettacolo”. Il cronoprogramma, prosegue Andò, è necessario per iniziare a riattivare tutta la macchina, creativa e produttiva.
Daniele Gatti, invece, si mostra un forte sostenitore dello streaming con l’evento che avviene in diretta e a pagamento. Idea che si può realizzare con il suo campo, la musica ma che è, secondo me, impensabile per tutte le altre arti andando contro proprio al principio dell’hic et nunc, del magico filo che lega l’artista allo spettatore. Gatti è per riaprire fin dal 1 giugno in streaming e con l’utilizzo solo di alcuni strumenti orchestrali meno “pericolosi” per il contagio, come gli archi.
Finalmente interviene Fonsatti annunciando che parlerà di questioni pratiche e delle proposte concrete dell’AGIS. Mi sistemo meglio sulla sedia e apro le orecchie, finalmente sapremo qualcosa di più reale che coinvolge il nostro lavoro… speranza vana. Ancora parole non chiare: <<bisogna anteporre le attività all’aperto per una stagione estiva>>, (ok, ci eravamo arrivati anche noi… ma COME fare? Quali sono le proposte?); <<Riprendere le attività di produzione non solo cinematografiche ma anche delle altre attività>>, <<facilitare il processo creativo>>. Ok sono due mesi che ci masturbiamo con idee e creiamo nuovi progetti ma prima o poi questi progetti dovranno vedere la luce o no?
Nella banalità generale un punto interessante: <<finché non si tornerà a regime non si potrà fare a meno degli ammortizzatori sociali>>, esatto, quello che deve essere chiaro alle istituzioni e al governo è che se i teatri riapriranno con meno spettatori, non si riuscirà a pagare lo stipendio di tutte le persone che gravitano attorno a questo mondo. Ed è una difficoltà che deve essere allargata a tutti i liberi professionisti che non possono tornare a lavorare a pieno regime come prima (come ad esempio i ristoratori o i commercianti etc. etc.).
Il discorso di Fonsatti si conclude con una citazione del fatto che verranno applicati i protocolli di sicurezza vigenti (ma no, davvero?) e che addirittura ci si potrà aspettare un ricambio generazionale perché ad affollare teatri e sale concerti non saranno più gli anziani ma i giovani! (Cioè?).
Seguono le domande e le “risposte non risposte” di Carlo Fontana sul fatto che non si può anticipare quello che dirà il ministro e che non si può dire nulla di concreto ma solo fare “ipotesi” campate per aria. Schivando le domande sui costi per le misure di sicurezza e sulla possibilità di riprendere ad allenarsi, dopo un’ora e mezza, la riunione si conclude con un nulla di fatto.
Cosa ci è stato detto di nuovo? Quali sono le concrete proposte e cosa si farà per tutelare i lavoratori? Niente, come al solito si parlerà, si faranno filosofie ed ipotesi, si useranno belle parole che riempiono la bocca dei più e il tutto si concluderà con un nulla di fatto. Quali sono i problemi reali che non vengono affrontati dalle maestranze che sembrano comportarsi come dei bambini impauriti dall’interrogazione?
–Non esiste una categoria unita: all’interno del calderone dei “Lavoratori dello Spettacolo” troviamo molteplici ruoli differenti che gravitano attorno allo stesso mondo. Attori, tecnici, danzatori, autori, musicisti etc. etc. che, non solo, non sono uniti tra loro ma neanche all’interno dei singoli sottogruppi (basti pensare agli attori di cinema e di teatro che si fanno la guerra). È così difficile chiedere di mettere da parte l’orgoglio per un bene comune? In questi giorni sul web sono nati parecchi gruppi privati a sostegno della figura dell’artista e dello spettacolo, stanno dialogando tra loro? Si! E allora perché non si riesce a confluire in un gruppo unico? Cosa lo rende così difficile?
-La maggior parte degli italiani non sa che il mondo dello spettacolo non è una realtà fatta di lustrini capitanata da Barbara D’Urso ma un mondo fatto di lavoratori che, ogni giorno, combattono per portare a casa il pane, un mondo di artigiani e non di artisti squattrinati e sfaticati, un mondo di eletti, sì, perché si fa uno dei mestieri più belli del mondo ma quanta forza di volontà ci vuole. Non siamo tutti ricchi, spesso lavoriamo in condizioni pessime, a nero perché non siamo tutelati né abbiamo sindacati forti che ci sostengono. Sicuramente non siamo “il motore” del paese ma siamo più di 600.000 e le tasse le paghiamo anche noi;
Qual è la soluzione?
–Educare al bello, all’altro, riportare al centro del lavoro della scena lo spettatore che è principio fondante di qualsiasi lavoro artistico. Senza fruitori l’arte non esiste. Ricostruire quel filo sottile con chi ci dà la forza per lavorare.
–Farci conoscere, scendere dai piedistalli e dall’uso di parole difficili, “entrare nelle case” di tutti, non in streaming, ma facendo conoscere quello che facciamo con umiltà e rispetto, combattere l’ignoranza intesa come il “non conoscere” con una vocazione al “far vedere”, all’utilizzare tutti i cinque sensi per percepire la bellezza del sogno e del provare un’emozione vera, autentica dell’uscire dal teatro “trasformati”;
–tornare alle origini, all’essenza, spogliarci della supponenza e ritrovare “il bambino” che è in noi, il gioco, il divertimento anche in una protesta che può assumere una forma artistica e interessante.
Vi sembrerò presuntuosa, vi sembrerò una che punta il dito e forse è così ma in questi giorni di clausura forzata sentire intorno solo parole tecniche e aride, sentire l’ipocrisia di chi è seduto sulla sua bella poltrona e non si è mai sporcato le mani può fare male. Ripartire da zero, radere al suolo tutto e ricostruire,eliminare problemi che la nostra società si porta dietro da secoli come già aveva detto De Filippo in un suo scritto di cui avevo fatto riferimento qui.
L’esperienza di una pandemia mondiale non può lasciarci indenni ma deve insegnare a sporcarci, a scendere in basso, a ripartire dal piccolo, da “quell’impercettibile che viene alla luce” tanto caro alla Gualtieri da un seme di speranza che ci farà riscoprire l’arte, quella dal vivo, come qualcosa di nuovo e di indispensabile.
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Ciao Elena. Era il 30 … Per dovere di cronaca. Ieri. Vi ero anche io. In effetti hai stilato un bel quadretto.
Va rivisto tutto tutto tutto. Ovvero. Va visto con occhi nuovi. Buon 1 maggio, appunto!
Ciao Beatrice, grazie! Ho corretto la data, scusa la svista. Bisogna ripartire da zero ma sarà lunga e difficile! Buon inizio maggio a tutti i lavoratori… anche a chi non ricomincia!
Elena
Il quadro che si presenta è quantomai vero. Non c’è unione nelle singole sottocategorie e questa credo sia la prima cosa che vada raggiunta. Purtroppo nel nostro settore abbiamo una forte distinzione fra nobili (parlo fondamentalmente del mainstream) e poveri (i comuni mortali) che ovviamente non hanno tutti gli acquedotti fiscali che i precedenti anno e ci sta anche. Ciò che però non capisco è come non ci sia la volontà da parte di questi nobili di unirsi alla coralità di tutti gli altri e fare fronte comune perché ad un certo punto anche quel tipo di ricchezza finirà senza lo spettacolo dal vivo. Da sempre l’unione fa la forza, ed io, nel mio piccolo, da musicista, ho sempre evitato la competizione antipatica con altri miei colleghi, ma piuttosto ho sempre incitato alla collaborazione, all’unione, sentendomi rispondere come risponderebbe un bambino di 6 anni,, della serie “perché quello mi sta antipatico”, “perché quello lavora in questa scuola concorrente”, “perché quello…”. Mah…basterebbe farsi tutti un bagno di umiltà e lavorare tutti insieme per far capire che la classe degli artisti c’è, esiste ed è una risorsa per il paese, e non una banda di scalmanati che va a far divertire la gente tipo scimmiette. Io credo fermamente in questa utopia di un mondo artistico unito…ma finché le menti non cambieranno, possiamo fare ben poco. Teniamo duro artisti! E svegliamoci, soprattutto!
Anche io ci credo Andrea e come me tanti altri, certo non siamo tutti ma è un inizio, grazie per questa tua lucida ed esatta riflessione, forza artisti!