Il divo Giulio è icona del possibilismo dell’uomo nel mondo e nella politica, delle scelte verticali e delle contaminazioni orribili di chi “fa del male per garantire il bene”. Ben più (o meno) di una macchietta l’Andreotti che Sorrentino ci consegna (incarnato da un sempre notevole Servillo) esplode già dai primi frame nel suo silenzioso, minimale e soffuso delirio di potenza.
Alcuni lo accusano di tutto, in molti lo venerano; è arrivato al settimo governo e ora punta alla presidenza della Repubblica.
Ma questa è storia nota, cronachismo di fattacci che crocifiggono, scandalizzano o innalzano all’altare i personaggi dell’attualità. E il film di Sorrentino è anche questo. Il Divo è anche un film inattuale, ovvero opera totale che estrapola la vicenda prettamente politica e (pseudo)criminale riportandola ad una dimensione universale, in cui le forze in gioco sono tante e altrettante le contraddizioni.
L’Andreotti di Sorrentino è un uomo mentale- cervellotico, calcolatore, manipolatore, intelligente, furbo-, ma anche attraversato da una gelida vena ironica e fragile nel profondo della sua intimità, così inaccessibile al mondo, se non al talento creativo di un grande regista come Paolo Sorrentino.
La sua è un’intima indagine che tenta di esplorare i vezzi del retropensiero di Andreotti, allo scopo di scavare le fragilità umane di un uomo che incarna il potere, di sottrarlo dalla maschera dietro la quale muoiono i segreti di cinquant’anni d’Italia.
L’approccio del regista napoletano si conferma rivolto non tanto al giudizio morale, quanto piuttosto a disegnare un quadro umano di un uomo all’apparenza inscalfibile e in pieno controllo delle emozioni. Come sempre Sorrentino guarda ai suoi personaggi con simpatia, ne distorce le apparenze con abile occhio: così, quella che superficialmente potrebbe apparire come una vita di gelido equilibrio, diventa una vita spettacolare, in cui alla domanda “Presidente ha mai ballato?” Andreotti risponderà “Tutta la vita!”. Ma anche un ingorgo di infelice consapevolezza di ciò che si è fatto o che si sarebbe potuto fare.
Il suo percorso di uomo e di politico è reso possibile grazie alla straordinaria teatrale di mimesi grottesca di uno tra i massimi attori contemporanei, ovvero Toni Servillo. Servillo non si piega all’imitazione o alla caricatura, egli inventa un personaggio che ha sì i vezzi, i tic, le coordinate fisiche di Andreotti, ma che è altro da Andreotti. Ed è Andreotti.
Brillante nella immobilità del viso, straordinario nell’inclinazione della voce e nella rigidità plastica dei movimenti, il Divo di Servillo, è (se ancora ce ne fosse stato bisogno) l’ennesima prova di forza dell’attore feticcio di Sorrentino.
Il Divo ha vinto nel 2008 (anno di uscita) il premio della giuria a Cannes ed è stato candidato agli Oscar nel 2010 nella categoria miglior trucco.
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