Piero Manzoni, artista lombardo del secolo scorso, nonostante la formazione in legge, fin da giovanissimo frequenta gli ambienti artistici milanesi, rimanendo profondamente affascinato da quella ricerca spazialista che tanto impegnava Lucio Fontana tra la fine degli anni ’40 e inizio anni ’50.
Le sue prime opere sono dipinti a carattere paesaggistico, ma presto si fa strada in Manzoni quell’esigenza di uscire dalla tela per aderire alle tendenze New Dadaiste e concettuali che all’epoca infuocavano già i dibattiti artistici e strizzavano l’occhio al Ready Made di Duchamp. Piero Manzoni non visita l’America, nè vedrà mai l’opera di Duchamp dal vivo, ma fonda una rivista Azimuth (molto sfortunata visto che pubblicò solo due numeri), in cui pubblica scritti e illustrazioni di artisti rivoluzionari e innovatori americani e non come Yves Klein, Jasper Jhones (esponente del New Dada), Arnaldo Pomodoro e altri.
Manzoni sente il bisogno di avvicinarsi a tali forme innovative, interrogandosi profondamente su cosa possa essere definito arte.
Cosa può diventare opera? Cosa significa fruire di un’opera d’arte?
Piero Manzoni prende dal Ready Made alcune caratteristiche fondamentali della sua arte, come per esempio l’uso di oggetti di vita quotidiana, che diventano opere nel momento in cui è l’artista a sceglierlo e a renderlo tale, calandolo in un contesto che non si addice all’oggetto ma ad un’opera d’arte (come un’esposizione, una mostra ecc…). Dietro questa azione artistica si cela l’affermazione della supremazia del concetto che muove l’azione. L’artista in quanto tale, sceglie cosa possa essere arte e cosa no.
Perchè succede questo?
Alt! Approcciare all’arte contemporanea alle volte può essere cosa ardua, soprattutto quando un artista decide volontariamente di operare fuori dalle convenzioni. Questo per molti è motivo di allontanamento, derisione e voluta disattenzione. Ma che succederebbe se per una volta decidessimo di dare una possibilità a questo tipo di arte, cercando quanto meno di provare a comprenderla?
Non possiamo esulare dai contesti quando si parla di arte, soprattutto se contemporanea. Il 21 luglio 1960 Piero Manzoni presenta alla galleria Azimuth di Milano la performance “Consumazione dell’arte dinamica” in cui offre ai visitatori delle uova sode “firmate” dal suo pollice, per fargliele ingerire.
“Siete invitati il 21 luglio alle 19, a visitare e collaborare direttamente alla consumazione dei lavori di Piero Manzoni“.
Così si leggeva sugli inviti distribuiti dalla Galleria Azimuth di Piero Manzoni.
Indubbiamente operazioni come quelle di Piero Manzoni, oggi ci fanno sorridere. Eppure si cela, dietro queste, l’esigenza di volersi riappropriare di un’autorità che l’artista negli anni ’60 ha in parte perso. Con l’industrializzazione, la produzione in serie e il consumismo l’artista perde interesse nel creare con le proprie mani le opere, nel ricondurre il gesto artistico all’atto creativo. Diventa quindi artista nel momento in cui idea l’opera, o sceglie cosa rendere opera d’arte. Nel concettualizzare, l’attenzione si sposta tutta sulla mente dell’artista e sulle sue idee al punto tale da essere considerato un essere sacro dal Mercato dell’arte.
Piero Manzoni, arriva a provocare ed esasperare tali meccanismi con un’opera dalla forza valenza simbolica: la Merda d’artista. Nel 1961 sigilla 90 barattoli di latta simili a quelli per la carne in scatola e vi attacca un’etichetta tradotta in quattro lingue diverse simile a quelle contenenti valori nutrizionali e ingredienti, solo che al posto delle kcal leggiamo: «Merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961». Il valore stabilito da Piero di ogni barattolino era l’equivalente del prezzo di 30g d’oro (oggi invece è stimato un valore di circa 250.000 euro).
Tutto questo dimostra un’ostentazione del corpo dell’artista quasi come fosse una reliquia da venerare, svelando anche quella tendenza per cui, in quel periodo, un artista già affermato avrebbe ottenuto consenso critico qualunque cosa avesse deciso di proporre, persino la sua “merda”! A costo che questa fosse in quantità limitata, garantendo un certo livello di esclusività a chi la possedeva.
Ma cosa c’era nella “Merda d’artista”?
Pensate che la curiosità era tale che il pittore italiano, nonché amico di Piero Manzoni, Agostino Bonalumi, dovette dichiarare al corriere della sera cosa vi fosse all’interno delle scatolette:
“Posso tranquillamente asserire che si tratta di solo gesso. Qualcuno vuole constatarlo? Faccia pure. Non sarò certo io a rompere le scatole.”
(Corriere della Sera di lunedì 11 giugno 2007, pagina 30)
Qualcun’altro invece, ha provato ad aprirla dichiarando di averne trovata una seconda al suo interno e dichiarando di non aver voluto aprire anche quella.
Poco importa in realtà cosa ci sia all’interno, quello che conta è il valore concettuale che quest’operazione ha assunto nello scenario artistico contemporaneo. Questa è infatti l’opera più nota di Manzoni e anche una tra le ultime, vista la sua morte precoce avvenuta all’età di soli 29 anni il 6 febbraio 1963.
A presto cari lettori!
Eleonora Turli
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1 commento su “Piero Manzoni: opere d’arte provocatorie alla ricerca di una nuova concezione artistica negli anni ’60”
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