Un carattere forte e carismatico, una figura rilevante e coraggiosa, uno spirito libero ed unico, un icona che ha segnato la storia recente, straordinaria nella sua complessità, fragilità e debolezze. Freddie Mercury è ancora oggi l’essenza stessa di un decennio di libertà trasgressiva e rivoluzionaria.
Erano gli anni Ottanta. Il decennio della disobbedienza sociale, un periodo straordinario e affascinante, colmo di musica spettacolare, modi e stili che oggi si cerca di imitare e recuperare. Un decennio dirompente, che infondeva stimoli e arginava pregiudizi. Un’epoca in cui si era moderni e incoscienti quando nella Londra scintillante un uomo dalla personalità ribelle e trasgressiva stava plasmando intere generazioni.
Quando sentiamo il nome di Freddie Mercury ci sono mille pensieri che dilagano nella nostra testa: dalla sua voce a cappella al Live Aid del 1985, all’inno We will rock you, passando per l’interpretazione al pianoforte di Bohemian Rhapsody. E poi i suoi baffi e gli abiti eleganti e sgargianti e la presenza scenica magnetica ed imprevedibile e l’attivismo filantropico e i contributi postumi e cento altre cose che elencarle tutte sarebbe impossibile.
Un carisma straordinario, una presenza scenica teatrale, folgorante, maestosa. Freddie Mercury era molto più che un’icona pop. Aveva una voce unica, scriveva testi meravigliosi – a tratti folli, onirici, sexy, surreali – e componeva armonie e armonizzazioni magiche. Era un virtuoso della musica, un amante del pianoforte e un profondo conoscitore di strumenti musicali. Un istrionico animale da palcoscenico.
Se fosse ancora tra noi probabilmente sarebbe un dandy sgargiante ed impavido, uno di quelli che provoca il caos e farebbe impazzire gente come Pillon, una di quelle persone colorate e creative, tendenzialmente audaci e provocanti fino allo stremo, una pop star che gioca con la malizia artistica, un rocker spericolato che renderebbe saturi i media.
Chiudo gli occhi e lo immagino collaborare con Lady Gaga, fare un concept album con Chris Martin o un breve cameo nel nuovo disco dei Muse; intrattenere il pubblico con qualche performance conturbante ai Grammy Awards, magari mostrandoci il suo torso irsuto, o cantare per la liberazione della Palestina. Un indomito guerriero vittima continua di pregiudizi e per questo portatore sano di libertà.
Erano le ore 18.48 di domenica 24 novembre 1991 quando, all’età di 45 anni, Freddie Mercury si spense nella sua casa di Earls Court a Londra, per una broncopolmonite aggravata dalle complicazioni legate alla “malattia del secolo”: l’AIDS. Da quel giorno nefasto sono passati trent’anni e successe tante di quelle cose da riempire pagine e pagine di storia.
Nelson Mandela è diventato presidente del Sudafrica libero dall’apartheid e il mondo si gode Pulp Fiction di Tarantino; nel mercato esplode la PlayStation e l’ex Jugoslavia non esiste più; l’IRA terrorizza la Gran Bretagna e Tony Blair diventa premier; Sarajevo è bombardata e il papa condanna l’embargo a Cuba; mentre il mondo piange Lady Diana, Clinton finisce nella bufera per il Sexgate.
E poi Bush e il G8 di Genova e le torri gemelle e l’occupazione in Afghanistan e il terrorismo islamico e l’Euro e Angela Merkel e l’uragano Katrina e Saddam Hussein condannato a morte e il terremoto a L’Aquila e Haiti e “Yes, We Can!” e il lutto per Michael Jackson e i social e la crisi economica e Harry Potter e Dan Brown e la strage di Nassyria e “il cielo è azzurro sopra Berlino” e il MeToo e Greta Thunberg e il Bataclan e Trump e la Brexit e il lockdown e il Black Lives Matter.
Sono rammaricata che te ne sia andato troppo presto e per non averti “incrociato” su questo mondo, ma al contempo sono felice che tu abbia scelto questa parte di universo per esprimere il tuo fervente talento nella musica e teatralità.
Ma da qualche parte nell’universo ci stai guardando, Freddie. Perché alla fine ce lo hai insegnato tu: the show must go on anche se stai provando un dolore atroce, anche se senti che stai andando via da questo mondo. Lo spettacolo deve continuare, sempre e comunque. Ma da trent’anni non è la stessa cosa.
The show must go on, ma la tua eredità vivrà e sarà ricordata per sempre!
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