Poco più di 11 minuti distribuiti in 5 tracce, una veloce passeggiata in solitudine: malinconica, riflessiva, intima, necessaria. Stiamo parlando dell’Ep di Altea intitolato Non ti scordar di me in cui l’artista ci apre le porte ad un microcosmo fatto di musica ed emozioni mai uguali a sé stesse. Suoni nuovi, cuciti alla perfezione sulla voce della cantante salentina; ogni suo attacco sul pezzo è una strattonata, una boccata di aria fresca.
Nella prima traccia (01) Altea canta “non ci ricordiamo mai veramente che non lasciamo traccia”; questo esordio da solista la contraddice, lei e i Thru collected, dei quali fa parte, stanno tracciando un solco con tutto il resto.
Scambiamo quattro chiacchiere con lei su passato, presente, futuro e incontri sognati, sperati e inaspettati.
Altea, come e quando nasce “Non ti scordar di me”? Perché la scelta di un EP?
È nato un po’ a caso, come tutte le cose che faccio. Quando ho conosciuto i Thru Collected abbiamo cominciato a fare un po’ di musica, senza avere un obiettivo finale preciso. Semplicemente ci trovavamo bene insieme e più passava il tempo più creavamo nuove cose. Dopo quasi un anno ci siamo detti che era ora di pubblicare. Tutto in modo naturale. La scelta dell’EP deriva da un accordo con gli altri componenti del collettivo, era la mia prima uscita da solista, volevamo sondare il terreno.
Quali sono i tuoi riferimenti musicali? E quali tra questi sono presenti nel tuo ultimo lavoro?
È una vita che ascolto roba e ne vengo influenzata. A volte ascolto così tanta musica che non ricordo nemmeno le tracce. Da quello che mi dicono si sente molto l’influenza del trip hop tipo Massive Attack. Ultimamente sono abbastanza in fissa con Tirzah che fa pop sperimentale elettronico. Sicuramente molte donne.
Un altro nome scontato è Elisa. Inizialmente ascoltavo tanta musica straniera, popolare…insomma tutto tranne pop o indie italiano, che poi è quello che sono arrivata a fare (ride ndr).
Se dovessi mandare un messaggio ad un tuo collega chi sceglieresti?
Vorrei conoscere tantissimo Tom York, è l’artista zero a cui mi ispiro. Non saprei nemmeno cosa dirgli vorrei solo vederlo e salutarlo. Poi probabilmente sverrei. Mi è rimasto l’amaro in bocca perché non ho avuto modo di conoscere Elisa quando abbiamo aperto il suo concerto. È una persona incredibile, un’artista impressionante.
Intimità, fragilità, disagio. Emozioni molto spesso sussurrate e poco urlate. L’EP è una vista senza filtri sull’artista e la persona dietro l’artista. Che rapporto hai con la musica?
È un rapporto simbiotico, non riesco a considerare la musica qualcosa all’infuori di me o delle mie giornate. Vi racconto una cosa: io non bevo il caffè e una mia amica mi ha chiesto “Come ti alzi la mattina?”. Ci ho pensato, quando sono stanca come mi alzo dal letto? La musica. Quando una canzone mi dà molta soddisfazione e la ascolto in un momento preciso, nel mio mood preciso, è come se fosse una scarica di adrenalina, una spinta a fare le cose, anche quelle che non mi va di fare.
Dicci una canzone che ti dà la scarica di cui parli
Dipende, alcune volte ho bisogno di una scarica che mi tiri ancora più giù. In queste situazioni la canzone per eccellenza è Pyramid Song, c’è un universo personale dietro quella canzone. Se parliamo di scarica positiva Inside Out di Tirzah.
Nel tuo EP, dov’è Napoli?
AOvunque, ma non in modo figurativo o retorico. Queste canzoni sono il prodotto del mio primo periodo a Napoli. Sono salentina e mi sono trasferita a Napoli quasi due anni fa, e da quel momento in poi ho conosciuto una me diversa, mi sono dovuta riscoprire. È stata un’esperienza gratificante nonostante le batoste. Tutto questo vissuto mi ha portato a scrivere. Napoli è tutto, è come dire “quanta Altea c’è in questo?”. Mi sono dedicata tanto a questa città e a concedermi a lei.
Altea, fai parte dei Thru collected, raccontaci come vi siete conosciuti e che significa far parte di un collettivo.
Faccio un passo indietro. Sono arrivata a Napoli con l’intento di iscrivermi ad un’accademia di produzione musicale e cominciare a studiare musica. Nel primo anno ho conosciuto tante persone, tra cui Rainer, uno dei produttori di Thru collected, che però al tempo non ne faceva parte. Abbiamo iniziato a fare musica insieme. Io non sapevo produrre e lui è stato un fratello maggiore, ha visto del potenziale in me.
Un giorno parlando mi ha detto che voleva entrare nel collettivo e voleva che lo seguissi. Ci siamo trovati tutti in una stanza e la prima sera abbiamo scritto Mullet fino alle 7 del mattino seguente. Da quel momento ci siamo innamorati e abbiamo iniziato a fare musica insieme. Il collettivo è mettere un po’ di noi stessi in quello che facciamo senza compromessi. Essere un collettivo significa capire in cosa l’altro ci può arricchire. Anche se siamo tanti non abbiamo bisogno di lottare per ritagliarci il nostro spazio, semplicemente ci arricchiamo a vicenda.
Cosa ha dato Altea ai Thru Collected e cosa i Thru Collected hanno dato ad Altea?
Aoro mi hanno dato tutto, non so spiegarmi. Prima di conoscerli ero una persona diversa, sapevo cosa volevo ma non sapevo “come, quando e perché”. Sapevo solo che volevo fare musica, per tutto il resto mi affidavo al caso. Loro mi hanno fatto fare uno scatto in avanti, sono le mie spalle forti e il motivo per cui riesco ad essere costante siccome a volte mi perdo nella mia testa. Loro mi bacchettano e io bacchetto loro, siamo ognuno il papà/mamma/fratello dell’altro.
Guardandoci mi viene da sorridere, facciamo finta di essere adulti ma in realtà siamo dei ragazzini che si aiutano e si sostengono. Artisticamente stare con loro mi dà tanta carica.
Parliamo di futuro. Pensi di aver già messo a fuoco il tuo progetto musicale o continuerai a sperimentare?
Il progetto credo di averlo messo a fuoco, ma penso di non aver messo a fuoco tutte le potenzialità che può avere. Sicuramente ho voglia di sperimentare, a inizio luglio ho fatto un set acustico con altri strumentisti ed è stato molto soddisfacente, questo mi ha fatto scattare qualcosa nella testa. Voglio lavorare di più su questo. Per il resto non riesco a guardare troppo nel futuro perché cambia tutto velocemente.
Di Francesco Sacco
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