Folkensange è il terzo full lenght di Amalie Bruun, musicista ed attrice danese, nota come Myrkur. Progetto col quale ha già lasciato il segno nel metal, ed ora si avvia lasciarlo nel neo-folk tutto.
Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata una donna a rivoluzionare il black metal?
La più improbabile delle ipotesi si è realizzata nella persona di Myrkur, al secolo Amalie Bruun, musicista danese profondamente addentro al folklore nordico – e che ne realizza l’attualizzazione nel black metal atmosferico con una classe irraggiungibile. Abbiamo imparato ad amarla sin dal 2015, col suo ep omonimo al quale partecipò nient’altro che Teloch dei Mayhem; ne abbiamo compreso le potenzialità con Mareridt, del 2018, da cui la pseudo-hit Ulvinde, e, infine, ricevuto la conferma del talento con Folkensange.
Myrkur, in Folkensange, abbandona – quasi – il black metal. Voce pulita: le atmosfere sono celtiche, ariose, oscure quanto la mitologia norrena ma non abissali come in passato. Soprattutto, però, Folkensange è un lavoro ipnotico. Ancestrale. Che ci riporta alle radici della nostra persona e del creato tutto: muschi antediluviani, rocce intagliate di rune dimenticate.
La voce di Amalie è sempre stata accattivante: calda, espressiva, leggermente roca negli acuti, melodiosa nei bassi – per fare un paragone col pop, Sia Furler potrebbe benissimo interpretare i suoi brani da soprano drammatico. In Elle, però, primo brano di Folkensange, interpretato da violino e nychelharpa, il suo suono trasporta l’ascoltatore in una dimensione onirica: un luogo di scambio fra universi, fra epoche della vita, un mare calmo, una spiaggia infinita rilucente di luna. Un sole nascosto dalle nuvole ma caldo e accogliente.
Un lungo lied, una lunga ode alla natura tutta, ma a quella umana in particolare: è così che Myrkur descrive Ella. Folkensange prosegue, poi, con la più folkish Fager Som en Ros, che introduce altri antichi strumenti a corda: una lira. L’intenso dubbing ci ricorda una maestra del genere, che, però, mai ha sfiorato bpm così elevati – Enya. Nelle sonorità accattivanti, però, andiamo a riscontrare influenze ancor più distanti, e provenienti da un’isola ancor più isolata dell’Irlanda: la lontana Islanda, ed un gruppo di donne ancor più uniche – le Amiina. Violiniste e polistrumentiste. In Fager Som en Ros, poi, assistiamo – noi mediterranei – alla reinterpretazione di un antico richiamo pastorale, che Myrkur fece già suo in Mareridt: il Kulning.
Definitivamente perduti in un mondo che si staglia fra i laghetti dei druidi e il mare evocato da Elle, arriva il primo brano in inglese di Folkensange, Leaves of Yggdrasil. Per chi non lo sapesse, Yggdrasil è l’albero sui cui rami si innestano i nove mondi del creato, fra cui, ovviamente Midgard – la Terra. Yggdrasill, che fu da ispirazione per i due alberi primigenei de Il Silmarillion di Tolkien, forse un olmo, forse un frassino, nacque dal sacrificio dell’essere cosmico Ymir, un gigante gargantuesco dal cui sudore e dai cui fluidi corporei si originò l’universo come la conosciamo. Myrkur, carezzevole, narra tale storia come ci viene narrata da Snorri Sturllsson nell’Edda Poetica: solo piano, voce, in un acustico pregevolissimo ed estremamente raffinato.
La produzione di Folkensange, prodotto della trentennale esperienza della Relapse records, affidata a Christopher Juul è assolutamente eccezionale.
Nei suoi momenti più cupi, come in Ramund e in Svea – che però svetta per la voce di Bruun -, l’aggiunta di timpani atmosferici – a condire le frasi musicali riccamente melodiche, che attingono alla tradizione degli irish lament e della musica celtica tutta – aggiunge pathòs a brani altrimenti fortemente semplici. La breve estate nordica si palesa nella gioiosa e serena Harpens Kraft, interamente interpretata con mandolino e arpa – ed un violino di coloritura: fiori coloratissimi raccolti in prati lontani da occhi indiscreti. Vaghe radici black metal, trasformate in una oscura – quasi Ari Aster, nel suo evocare tragedie illuminate dal sole di mezzanotte di mezza estate – ballata acustica si odono in Gammelk; ricordi lontani di una vita rustica e semplice sono evocati in House Carpenter, brano in cui forse lo storytelling di Folkensange raggiunge l’apice.
Fra le vette emotive dell’album, però, vanno ravvisate la suite Tor i Helheim – vento in lontananza, Jotunheim che si palesa – e la bellissima, oscura, quasi prog da camera – quasi Iamthemorning -, Gudernes Vilje. Affondi abissali e acuti delicatissimi, sonorità concrete, fatte di strumenti antichi, eppure evocative di strani luoghi fuori dal tempo, strani mondi nebbiosi, distanti e forse dimenticati. Punti di scambio. L’ending è poi affidato a Vinter, onirica ballad al pianoforte fatta di vocalizzi – una ninnananna per un universo intero.
Myrkur ha dunque portato ad un livello superiore, con la dolcezza cui solo una donna è capace – con una sacralità puramente materna, che chiunque ascolterà l’album potrà avvertire – la musica new age e neo-folk moderna.
Attigendo sì al passato, più o meno oscuro, della mitologia norrena e del suo paese, ma soprattutto al presente e alla musica còlta attuale. E si avvia ad esserne parte.
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