Francesco Guccini, ritorno alle origini

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Sono ottanta, ottant’anni di un uomo che ha cambiato gli scenari della musica italiana. Ottant’anni di lotte, di battaglie, anche se lui, Francesco Guccini, si è sempre schermito  sostenendo l’idea che a canzoni non “si fan rivoluzioni”. E qui si sbagliava. Ha parlato e continua a parlare a tutti noi, indipendentemente dalla generazione. Non è questa la più grande rivoluzione?

Ricordare, ma con rispetto

Sono tanti oggi i critici musicali che omaggiano il nostro menestrello dall’accento emiliano. Devono farlo. Per coerenza, per interesse, e per tante ragioni che niente hanno a che fare con ciò che rappresenta Guccini. Lo stesso accadrà ai giornalisti delle testate nazionali, che sanno di dover cavalcare l’onda del richiamo mediatico, che hanno cercato di strappargli un’intervista o se lo sono conteso per aggiungere un pezzo da novanta alla loro collezione. E dispiace, dispiace davvero dover cominciare un articolo in questo modo, ma è inevitabile quando si assiste a un’azione che, per spremere un artista, un grande artista, dimentica l’autenticità dell’uomo.

Conoscere l’uomo con le sue canzoni

Francesco Guccini, non ce ne scordiamo, è quello che dice in Addio (2000):

Io, figlio d’una casalinga e di un impiegato,
cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna
che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia.
Io, tirato su a castagne e ad erba spagna,
io, sempre un momento fa campagnolo inurbato,
due soldi d’elementari ed uno d’università,
ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato
dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà…

Ignoriamolo pure, facciamo finta di interessarci alle sue canzoni solo quando ne esce una nuova o c’è da giocare agli intellettuali commentando i vecchi successi. Ma in questi versi, Guccini si apre a noi, ci spiega il suo mondo, la sua origine e qualsiasi divagazione sui suoi testi, sulla sua musica sarà solo una vuota divagazione se non ci immergiamo veramente in queste atmosfere.

Guccini, un topo di campagna che conosce la città

Francesco Guccini conosce bene la città, le sue luci, le sue strade affollate, i luoghi segreti dove giocare una partita a carte e tirare due fesserie in compagnia di amici. Ma la città, che in qualche modo è sinonimo di successo, perché è lì che si incontrano le opportunità, è lì che si stringono contatti e ci si fa notare, non può cambiare il lato più genuino di un uomo. O, almeno, ciò non è capitato a Guccini. Il suo è lo spirito del topo di campagna, che fa tesoro delle esperienze accumulate, perché nella lotta per strappare i suoi frutti alla terra, prendendosene cura, difendendola, l’uomo di campagna non ha altri alleati se non il sapere atavico della propria gente. Per questo Guccini ha scritto tanto di tradizioni andate, per questo anche nella narrativa ha voluto affidare i suoi ricordi – come accade nel Dizionario delle cose perdute e nel Nuovo dizionario delle cose perdute – alla pagina bianca. Perché c’è una memoria anche delle piccole cose, degli usi, e lui quella memoria la custodisce a spada tratta.  

Un borgo sull’Appennino

Guccini è senza dubbio Pavana, il suo inizio, la sua fine. Qui ha trascorso la sua infanzia, è stato testimone del passaggio degli Alleati, ha fatto in tempo a masticare la vita arcaica di un paesino dell’Appennino e a conoscere personaggi dimenticati che sono stati importanti per la gente del posto. Pavana. Oggi ha perso la tranquillità del paese di montagna, attraversata da una delle principali strade che mettono in collegamento la Toscana con l’Emilia-Romagna. Ma un tempo, e qui si parla degli anni della guerra e quelli immediatamente successivi, si giocava in mezzo alla strada. Si giocava perché la Porrettana non era come la conosciamo oggi, non ci passavano camion e motociclisti impazziti. I bambini la possedevano e ne avevano fatto una grande pista per corse memorabili.

Guccini e il suo rifugio

Le cose sono ora cambiate, ma non muta l’attaccamento di un uomo alla sua terra. Guccini l’ha vista trasformare la sua Pavana e in parte non la riconosce più. Però è tornato, è tornato nel paese dei suoi nonni, nel paese dove è stato bambino, e qui ha deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita. A Pavana ha dato il suo addio al mondo dello spettacolo, registrando nel mulino di famiglia L’ultima Thule, l’ultimo album di inediti prima del ritiro ufficiale. E per Pavana e il territorio circostante si è sempre speso, consapevole che la sua voce autorevole avrebbe potuto accendere i riflettori anche sulle questioni irrisolte che non trascendono la dimensione locale, pur con  un’importanza emblematica, visto che si parla della vita in montagna e di paesi come questo, con le stesse difficoltà, gli stessi rischi, è piena l’Italia.    

Guccini e il millenario di Pavana

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Guccini e il mulino di famiglia a Pavana

Per chi non bazzica questa zona dell’Appennino, l’impegno di Francesco Guccini è forse passato inosservato. Ripercorriamolo insieme, almeno nelle sue tappe fondamentali. Era il 1994 quando, durante una chiacchierata con gli amici pavanesi, a Guccini scappò questa considerazione:

“Ma lo sapete che nel 1998 ricorreranno i mille anni di Pavana?”.

Quattro anni potevano sembrare abbondanti, ma non c’era tempo da perdere, occorreva iniziare a lavorare fin da subito per trasformare la commemorazione in una grande festa e in un orgoglio per l’intera comunità. Guccini fu nominato presidente del comitato che si sarebbe occupato delle celebrazioni e durante la giornata di studio che si tenne nel 1998 spese parole di grande affetto nei confronti del suo paese. Ecco uno stralcio del suo intervento (pubblicato sul supplemento della rivista Nuèter del giugno 1998):

 “Conscio, però, che di Pavana bisogna parlare, se non altro per un senso di dovere-piacere nei confronti di tutti quelli che ci hanno preceduto, che come noi sono stati in questi luoghi, hanno visto lo stesso fiume, hanno camminato per gli stessi boschi. I nomi, tanti, ognuno ha i suoi e ce li metta, ognuno ha i suoi ricordi e li tiri fuori”.  

A Pavana dedicò, in quell’occasione un’intera pubblicazione dal titolo Dizionario del dialetto di Pavana, dove, come si evince dal titolo, si soffermò sugli aspetti linguistici più caratteristici della parlata del luogo. A lui fu anche dedicata una parte dell’affresco di Paolo Maiani che fu realizzato, per celebrare la ricorrenza, sotto le Logge dell’oratorio di San Frediano.

Guccini in difesa della Porrettana

Nel 2014 la Porrettana, il primo grande tracciato ferroviario che, passando per Pistoia e arrivando fino a Bologna, mise in collegamento l’Italia, rischiò di chiudere. In barba a una storia che affondava le sue radici nell’Ottocento e che aveva permesso il transito ininterrotto di merci e persone, almeno fino a quando nuove vie di comunicazione, come l’autostrada A1, non resero più comodi gli spostamenti su gomma. Francesco Guccini si spese personalmente, facendo dichiarazioni per scoraggiare la chiusura di un’infrastruttura già fortemente declassata. Certo la sua voce, per quanto autorevole, non sarebbe bastata a rimettere in discussione le decisioni prese. Ma la sua fu una delle tante che si unirono a difesa di un servizio essenziale per la vita ad alta quota. E la ferrovia è ancora lì, con tanto di treni, lavoratori e visitatori. Infine, nel 2018, Francesco Guccini affidò il suo appello a sostegno dello stabilimento termale di Porretta Terme ai social, affinché in tanti votassero per questa candidatura nella campagna FAI “I luoghi del cuore”. Le antiche terme non vinsero la competizione, ma si classificarono terze, aprendo spiragli per un recupero fino ad allora impensabile.

Massimo Vitulano

Massimo Vitulano
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