Il cattivo poeta, film d’esordio del regista Gianluca Jodice, è un omaggio al ‘poeta sacro’ Gabriele D’Annunzio, soprannominato il Vate, a cui uno straordinario Sergio Castellitto presta il suo volto.
Noi di Shockwave Magazine abbiamo assistito alla proiezione di Il cattivo poeta in occasione della 48° edizione dei Premi Flaiano, che come ogni anno viene organizzato a Pescara, città natale del poeta, proprio nel teatro che porta il suo nome.
Alla regia troviamo un esordiente Gianluca Jodice, che si cimenta per la prima volta con un lungometraggio e che fa un ottimo lavoro, rispettando infatti i fatti storici senza stravolgerli e senza sfociare nella banalità. Se poi ci aggiungiamo l’esperienza di Matteo Rovere alla produzione e una colonna sonora di Michele Braga che va di pari passo con la sceneggiatura allora Il cattivo poeta ha tutte le carte in regola per essere un folgorante film omaggio ad un grande poeta (e uomo).
Giovanni Comini, interpretato da uno strabiliante Francesco Patanè, è un giovane laureato che si occupa di politica, vive a Brescia, città in cui ha sede la Casa del Fascio, ed è un convinto sostenitore del Partito fascista appena promosso a federale, promozione che lui stesso definisce ‘un personale successo come un tassello per raggiungere qualcosa d’importante, in nome di un’Italia padrone del proprio destino’.
Nella primavera del 1936 viene convocato a Roma dal segretario Starace per ricevere un nuovo e alquanto delicato incarico: dovrà far sì che il poeta Gabriele D’Annunzio si fidi di lui in modo da spiarlo per conto del regime. Starace paragona D’Annunzio a un dente guasto, o lo si ricopre d’oro o lo si estirpa.
D’Annunzio non molto tempo prima era amico stretto del Duce, mentre ora se ne sta rinchiuso a Gardone Riviera, dove il suo Vittoriale è diventato una corte di dissenso. Per di più, D’Annunzio nutre una forte avversione nei confronti della Germania e dell’alleanza tra Mussolini e Hitler, per cui in un momento come questo è necessario sradicare ogni dubbio. La più piccola minaccia, che sia concreta o meno, va eliminata alla radice o potrebbe rappresentare un ostacolo per l’avanzata dell’impero.
Il Partito così organizza una stretta sorveglianza persino dei suoi stessi affiliati. D’Annunzio si è ormai da tempo ritirato in esilio al Vittoriale, una sorta di dimora di forzata clausura, il castigo di una lunga devozione, circondato dalle sue donne, tra cui le fedeli Luisa e Amèlie, e fa uso di cocaina.
Nell’autunno dello stesso anno Giovanni ritorna brevemente a casa dove inizia una relazione con una donna di nome Lina. Al suo ritorno, scopre che D’Annunzio è venuto a conoscenza dell’intenzione del Duce di appoggiare Hitler nella rivendicazione della Spagna da parte di Franco, e dice a Giovanni che presagi funesti si sono avverati. Comini viene incaricato dallo stesso poeta di organizzare un incontro col Duce nella speranza di riuscire a dissuaderlo, ma non riuscendoci trova un compromesso e con la sua persuasione riesce a far ripartire i lavori per la costruzione di un anfiteatro nei giardini del Vittoriale.
D’Annunzio sarà anche vecchio (ma almeno non gobbo come il recanatese aggiungerebbe lui) ma è ancora intelligente: sa infatti di essere spiato ed è consapevole della missione di Giovanni ma decide di non avvertire i suoi superiori perché lo ritiene solo un bravo soldato che esegue gli ordini. Tra i due s’instaura così un profondo rapporto di stima reciproca.
Nel 1937, a seguito della morte di Guglielmo Marconi, D’Annunzio viene promosso a presidente dell’Accademia d’Italia, incarico che accetta pur non essendone entusiasta. Mentre D’Annunzio inizia a mostrare i primi segni di squilibrio, Giovanni assiste alle torture sugli antifascisti, tra cui il fratello della sua amata, che decide di impiccarsi, provocando una prima scissione nelle convinzioni del soldato leale. Dopo la sua morte infatti il volto di omaggio non sarà colmo di speranza e di ottimismo, ma piuttosto quello di un ragazzo in guerra o che la guerra non se l’era immaginata bene.
Da Il cattivo poeta emerge un D’Annunzio bisognoso di attenzioni, che si sente abbandonato da coloro che un tempo lo ammiravano e ne tessevano le lodi, che non è poi così diverso dal suo rivale in letteratura (almeno negli ultimi anni della sua vita, quelli oggetto del film), isolato da tutto e da tutti, che non trova pace e che sente che il suo amato Paese e la sua gente gli hanno voltato le spalle.
Heavy lies the head that wears the crown.
Questa frase tratta dall’Enrico IV di William Shakespeare mi sembra adeguata. Nonostante infatti gli anni dell’impresa di Fiume sono ormai lontani, D’Annunzio sente ancora il peso di una nazione sulle proprie spalle. Al contrario di Mussolini infatti non intende farla precipitare nel baratro e non riesce a dormire sonni tranquilli senza fare un ultimo e disperato tentativo.
Si reca così a Verona per convincere un Mussolini di ritorno dai trionfali incontri con Hitler a fare marcia indietro ma viene trattato con sufficienza e capisce che ormai la sua presenza non è più gradita ma anzi sgradevole.
Un anno dopo cala definitivamente il buio quando il poeta muore in circostanze ancora poco chiare (c’è chi sostiene per un’emorragia celebrale, altri per overdose di farmaci) il 1 marzo 1938. Durante i suoi funerali, ai quali presenziò lo stesso Duce, Luisa regala a Comini una piuma di pavone appartenuta al Vate, come simbolo della loro vera amicizia. Poco tempo dopo, Comini sarà degradato a causa della sua contrarietà all’alleanza tra Hitler e Mussolini mentre Luisa e Amèlie dovranno invece lasciare per sempre il Vittoriale.
Il D’Annunzio che Jodice ci racconta (di cui è disponibile il pre-order su CHILI qui), non è l’uomo coraggioso e tutt’altro che inetto che tutti impariamo a conoscere sui banchi di scuola ma un uomo danneggiato nel profondo da quei giardini che appaiono foreste, da quel placido lago che si fa oceano ed inesorabilmente deluso dalla sua Patria che ormai si trova sull’orlo della catastrofe sociale.
Sergio Castellitto poi sembra essere nato per interpretare questo ruolo che gli calza a pennello. Un D’Annunzio con una sottile vena di umorismo come quando dice ‘anche oggi abbiamo vinto il terrore dello specchio mattutino’ non ce lo saremmo mai aspettato.
E allora, come direbbe lo stesso Gabriele D’Annunzio, memento audere semper!
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