Era dicembre del 1997 quando Roberto Benigni fece provare al mondo quella carica emotiva sensazionale che solo un regista ricercato ed attento poteva fare attraverso una pellicola cinematografica. La vita è bella, con il suo tratto leggero, ha saputo raccontare in maniera inedita la tragicità dell’Olocausto. Un capolavoro senza tempo, un film ancora in auge che invecchia sempre meglio
Questa è una storia semplice, eppure non è facile raccontarla, come in una favola c’è dolore e, come una favola, è piena di meraviglia e di felicità
Per me La vita è bella è Primo: primo film visto, primo film amato alla follia, primo film criticato e decisamente al primo posto nella mia top ten. Quando vidi la pellicola per la prima volta avevo 6 anni, Benigni aveva già vinto l’Oscar e le immagini in televisione che lo ritraevano con la statuetta in mano scorrevano senza sosta.
Papà comprò la videocassetta e una sera d’inverno la vedemmo tutti insieme sul divano. Risi tanto, piansi e capì poco di quello che era la trama, del significato effettivo del film. D’altronde ero solo una bambina, la tragicità degli eventi storici ancora non mi apparteneva, per me la vita reale era legata alla Disney, eppure quel film mi scosse.
Quelle sensazioni me le sono portate dietro per tutta la vita. Non lo so perché, o forse si, ma i film capaci di farmi ridere e piangere, in grado di farmi smuovere tutte le emozioni, per me hanno una marcia in più, hanno un insegnamento implicito reale, hanno un fascino chimerico. Perché, alla fine, durante il nostro percorso, si ride e si piange: si vive.
“Il cinema può insegnare tante cose. Tra le cose che ci ha donato, nel corso di questi anni, e che continuerà a donarci, ve ne sono tante che andrebbero ricordate. Rispetto a quel che il cinema può fare per il costume del nostro Paese, per la sua qualità di vita, vorrei ricordare una battuta del film La vita è bella, quando il piccolo Giosuè mostra il suo stupore di fronte ad un cartello assurdo, quello con la scritta “Vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani”.
Il padre, per confortarlo, gli dice: “Domani mettiamo anche noi un cartello ‘Vietato l’ingresso ai ragni e ai Visigoti'”. Quella battuta, rispetto all’ottusa ferocia dell’antisemitismo e del razzismo, ha fatto di più di quanto i pur necessari discorsi e le celebrazioni possano fare. E questo può fare il cinema, ed è molto importante che lo faccia”.
Sergio Mattarella
Nel corso degli anni lo vidi e lo rividi centinaia di volte, e, soprattutto, ero consapevole che raccontava una delle pagine più buie della nostra storia contemporanea.
Il revisionismo storico di Benigni con La vita è bella aveva cambiato per sempre il corso della settima arte, diede al panorama cinematografico italiano ed internazionale uno scossone non indifferente e che – piaccia o non piaccia – permise al regista toscano di conquistare un posto al fianco dei più grandi maestri del cinema italiano, da Fellini a Gassman, da Pasolini a De Sica.
La vita è bella è il più sorprendente, tenero e meravigliosamente bello dei film di Roberto Benigni, capace di mettere in scena una superiorità morale da brividi, raccontando in modo paradossale e assolutamente senza precedenti l’abisso in cui è precipitato Guido, il protagonista dell’opera, la moglie (Nicoletta Braschi) e il figlio Giosuè (Giorgio Cantarini). E’ proprio quel suo personaggio, dipinto come un eterno bambino, che ci ricorda che Accipere quam fecere praestat iniuram, che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla.
I nomi dei protagonisti del film sono ripresi da Dora De Giovanni, zia di Nicoletta Braschi, e da Guido Vittoriano Basile, suo marito, morto nel campo di concentramento di Mauthausen. Il film inoltre presenta due commoventi tributi a Massimo Troisi: il primo è mentre sono in teatro, quando Guido tenta di far girare la maestra dicendo “Voltati, voltati” – scena ripresa da Ricomincio da tre -; il secondo tributo è la scena in cui Benigni, per incontrare la maestra, percorre tutto il quartiere di corsa.
La vita è bella è un’opera che parla d’amore, che racconta il coraggio delle scelte, nonostante tutto.
È la storia di una donna non ebrea, che decide di salire su uno di quei maledetti treni per seguire la sua famiglia. È la storia di un uomo innamorato, che decide di andare incontro al proprio destino solo per rivedere, per l’ultima volta, il volto di sua moglie. È la storia di un padre, forte e protettivo, che riesce a strappare l’ultimo e straziante sorriso a suo figlio prima di venire brutalmente fucilato. Perché la realtà parallela creata da Guido per Giosuè, come se tutto quello fosse un gioco a punti all’interno del lager, è una metafora sull’amore meravigliosa.
Non è una pellicola perfetta in tutto e per tutto, sia chiaro, le perfezioni non esistono e men che meno nel cinema. Eppure funziona in maniera assoluta, in un modo compiuto e razionale, dove le immagini sono messe insieme attraverso una combo azzeccata, creando un risultato esemplare, in un certo senso ideale, difficilmente eguagliabile. E non è un caso se, dopo due decenni, La vita è bella rimane il maggior incasso internazionale di sempre del cinema italiano, con ben 204.378.260 euro di box office mondiale. Un risultato straordinario, neanche lontanamente arrivabile per qualsiasi altro film nostrano.
Ma voi mi direte: non sono i numeri che parlano sulla qualità di un prodotto! Ed è vero.
Allora parliamo della critica e del consenso quasi unanime che il film riscosse. Dico “quasi” perché non tutti lo accolsero positivamente. Ad esempio Monicelli accusò il regista toscano di aver portato in scena “una mascalzonata” attraverso la scelta di mettere sul carrarmato, che liberava il campo di concentramento, la bandiera statunitense invece che quella sovietica che liberò Auschwitz, forse per accaparrarsi il consenso dell’Accademy. Benigni a questo rimprovero rispose:
“Il film non parla di Auschwitz, infatti intorno al campo ci sono i monti, che ad Auschwitz invece non ci sono. Quello è “il” campo di concentramento, perché qualsiasi campo contiene l’orrore di Auschwitz, non uno o un altro”.
Sinceramente il mal di pancia un pochettino viene anche a me, però ci passiamo su dai, è talmente bella ed intensa quella scena che non possiamo stare a sindacare su una scelta, seppur ruffiana e non condivisibile che sia. Ad altri – la minoranza, intendiamoci – non piacque la “scelta favolistica” usata da Benigni per raccontare la realtà dei lager. Su questo punto preferisco soprassedere, anche perché è chiaro che le menti che hanno criticato questa scelta stilistica non hanno inteso il vero senso della pellicola.
Ma quale competizione, più degli Oscar, può decretare la bellezza incondizionata di un film? La pellicola infatti ricevette gli Award per il miglior attore protagonista, il miglior film straniero e per la meravigliosa colonna sonora firmata dal maestro Nicola Piovani, una musica semplice, che ti entra dentro, che ha preso per mano e ha accompagnato il film per tutta la sua durata. Prima dei Premi Oscar, La vita è bella conquistò anche il Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes nel 1998, ma anche i nostri David di Donatello, Nastri d’Argento e Globi d’Oro; e ancora i BAFTA, il SAG Award, il César, il Critic’s Choice Movie Award e il premio del pubblico al Toronto International Film Festival.
1999: l’anno della svolta, non solo per La vita è bella
Era il 21 marzo 1999 quando una raggiante ed emozionata Sophia Loren gridò al mondo “Robertooooo”, dando il via alla premiazione-show più divertente, intensa ed entusiasmante della storia dei Premi Oscar. Benigni salta sulle poltroncine, rompe il protocollo di un cerimoniale di solito ingessato, classico, lungo e a tratti davvero noioso, poi cita Dante, ricorda le vittime delle deportazioni naziste e dice: “Ringrazio i miei genitori per avermi fatto il regalo più grande. La povertà”.
Ma il 1999, l’ultimo anno del XX secolo, è un anno fondamentale, non solo per gli echi festaioli che arrivavano da Hollywood.
Nasce ufficialmente l’Euro; irrompe sugli scenari internazionali il movimento No global; gli aerei della Nato martellano le posizioni dell’esercito di Belgrado e la stessa capitale, 78 giorni di incursioni senza mandato Onu con il pretesto formale di mettere fine alla repressione ai danni del Kosovo. Una missione infernale, mascherata come umanitaria, insomma, e l’Italia fece la sua parte, naturalmente, da buona alleata. Poi l’insediamento di Putin al Cremlino al posto di Eltsin e l’apertura del Giubileo da parte di Papa Giovanni Paolo II.
Ma l’Italia del 1999 fece i conti, ancora un volta, con il terrorismo brigatista. Le BR, ancora vive, assassinarono il professor Massimo D’Antona, consulente del Ministero del lavoro, segnando definitivamente il Novecento, quel “secolo breve” dei totalitarismi, delle guerre mondiali, dell’era atomica.
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Magnifico film, ci fa riflettere sul grande mistero della vita. Non so se esista Dio e non so come potrebbe essere il mondo sopranaturale, o almeno non ne ho le prove, ma il fatto che la vita sia una realtà sublime e che tutti aspiriamo alla vita, è senz’altro un indizio che la morte non esiste; noi siamo siamo eterni. Un saluto a tutti, Piero Angius, 26-11-21