Presentato al Festival del Cinema Internazionale di Venezia, Pieces of a Woman è un film devastante, diretto da Kornél Mundruczó, scritto da Kata Weber e interpretato da una straordinaria Vanessa Kirby che punta dritto agli Oscar
Un’opera non facile da assimilare, un viaggio intimo che fa un male lancinante per quello che racconta e per come lo fa. Pieces of a Woman è un dramma reale, un film semi-autobiografico dove il regista Kornél Mundruczó e la compagna, la sceneggiatrice Kata Weber, si rifanno a un’esperienza personale e la condividono con il pubblico «nella convinzione che l’arte possa essere la miglior cura per il dolore».
I due hanno vissuto un’esperienza simile a quella che hanno deciso di narrare nella pellicola. Il loro dolore è stato, in qualche modo, trasposto sul grande schermo, dove il cinema funge come autoterapia, come comprensione e atto liberatorio da un malessere lacerante, più psicologico che fisico, che si dissemina poco alla volta, lasciando per strada pezzi di vita da raccogliere e analizzare.
Pieces of a Woman si apre con il virtuosismo di un primo atto emotivamente coinvolgente e spiacevolmente autentico.
Incontriamo subito Martha (Vanessa Kirby), donna di classe e in carriera, proveniente da una famiglia altolocata. E’ sposata con Sean (Shia LaBeouf ), un operaio rude e spiccio nelle questioni quotidiane, con un passato da tossicodipendente. I due sono l’uno l’opposto dell’altra, eppure sono innamorati e complici nonostante la differenza di classe sociale. Una complicità visibile nei primi trenta minuti del film, dove siamo catapultati in quella che considero una delle migliori sequenze che il cinema contemporaneo ci abbia mai regalato.
E’ apparentemente una sera come un’altra e Martha e Sean sono in attesa del loro primo figlio. Quando le acque si rompono, i due sono d’accordo di far nascere la bambina in casa. Le cose si complicano quando la loro ostetrica di fiducia non può raggiungerli e manda la sostituta Eva (Molly Parker). Quella che ci troviamo davanti è una ripresa ininterrotta e magnetica, a tratti destabilizzante per la sua intensità, dove al centro c’è Martha, alle prese con il travaglio e il conseguente parto.
È forse la scena del parto in casa più realistica e tesa di sempre. L’interpretazione di Vanessa Kirby è estremamente lucida e vivida nei suoi piccoli dettagli di vita vissuta, vende alla perfezione ogni reazione ed emozione: dai rutti e dai conati di vomito, ai gemiti e alle imprecazioni, dagli attimi di felicità intensa alla devastazione improvvisa e totale di un parto andato nel peggiore dei modi. La sua preoccupazione e il suo dolore sono così palpabili che è impossibile non condividere la sua angoscia.
Dire che questa sequenza è magistrale è riduttivo, non si può descrivere per quanto è stata ben interpretata e ben realizzata.
Il terrore pervade lo spettatore sin dal primo momento in cui Martha si lamenta del dolore delle sue contrazioni. Poi l’entrata in scena di un’ostetrica sconosciuta serve solo ad aumentare l’ansia. Mundruczó mantiene la telecamera in continuo movimento, creando un processo nervoso con il fomentare dei segnali di pericolo: una macchia di sangue nella vasca da bagno e quel breve momento di silenzio in cui non si sente il pianto del bambino contribuiscono alla sensazione pervasiva che stia accadendo qualcosa di terribile. Un lungo piano sequenza ammortizzato dal titolo del film, arrivato nel momento giusto, utile per farci respirare.
Dopo il prologo iniziale – una sorta di film nel film – Pieces of a Woman perde leggermente slancio, dove il secondo atto non è all’altezza del precedente, mentre nel terzo c’è una ripresa da brividi. Il resto del film è organizzato in una sorta di capitoli distanziati nei mesi successivi alla tragedia.
Seguono la relazione che si sta disintegrando tra Martha e Sean, sempre più lontani fisicamente ed emotivamente; gli strani momenti di sinergia che avvengono tra Sean ed Elizabeth (Ellen Burstyn), madre invadente di Martha che non ha mai nascosto la sua antipatia nei confronti del genero; una cena in cui sono presenti anche l’avvocato di Martha (Sarah Snook) e sua sorella Anita (Iliza Shlesinger), dove Elizabeth offre un monologo carico di emotività che spazia dal manipolativo al rivelatore, tutto in un primo piano strettissimo ed ininterrotto; ed il procedimento giudiziario e tutte le conseguenze che ne ha generato.
Tutti questi momenti fanno da contorno alle vicende di Martha, con il suo ritiro dal mondo, con lo smalto che sbiadisce mese in mese, con la sua rabbia repressa senza direzione, con il suo costante senso di colpa e la sua impotenza, con i modi quotidiani con cui cerca di elaborare un dolore atroce e soffocante, tenta di dimenticare una figlia immaginata e idealizzata.
Pieces of a Woman è una storia di fiducia silenziosa, è il racconto di una donna lacerata e straordinaria nella sua ordinarietà.
Un film che esorcizza, esplora ed elabora il dolore attraverso mille sfaccettature. E’ brutale nella sua accezione, scava in profondità, regalando momenti estasianti. Perché Pieces of Woman non si tratta solo di Martha, ogni protagonista femminile ha dei frammenti da raccogliere: da una madre in lutto ad un’ostetrica sotto giudizio per negligenza. Ognuna di loro deve affrontare le aspettative che la società nutre su di loro e ricomporre i pezzi di una quotidianità incompresa.
La performance sanguigna e viscerale di Vanessa Kirby è speciale – giustamente premiata con la Coppa Volpi a Venezia – capace di dominare lo schermo in ogni sequenza ed esaltare una sceneggiatura minuziosa in cui l’emotività del primo atto lascia il posto ad un territorio più familiare, dove la sensibilità di una regia poliedrica ed attenta riesce a cogliere ogni sentimento manifesto o celato della protagonista.
Le musiche della colonna sonora sono meravigliose ed appropriate in ogni momento, mentre la direzione della fotografia è ammaliante, riuscendo a raccontare una Boston fredda e cupa, proprio come chi la abita e la percorre. Un lavoro impeccabile messo in piedi per narrare un universo in cui al proprio interno ci sono vari pezzi da comporre.
Pieces of a Woman è uno sguardo brutale e crudo, ma delicato, alla perdita e al dolore. Più che una cronaca del lutto, emerge una storia di emancipazione, quella di una donna la cui spinta verso la vita le impone di liberarsi da una legge sociale borghese e fintamente morale per poter esistere.
Un’opera che osa ineluttabilmente: osa raccontarci all’inizio una tragedia così tanto intima da rimanere senza fiato, da risucchiarci all’interno di una storia così profonda, da farci mancare il terreno sotto i piedi, da riuscire ad empatizzare con una donna le cui scelte non sono sempre condivisibili; osa alla fine nel farci comprendere come una tale disperazione possa trasformarsi in ottimismo, come se in qualche modo è lo stesso dolore a spingersi fuori dal guscio e a scivolare via.
Il 2021 si apre con uno dei migliori film dell’anno, generoso e travolgente. Da vedere e rivedere.
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