Kelti di Milica Tomovic, recensione

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Kelti (The Celts) è un film corale, una tragicommedia dai toni delicati ma burberi laddove necessario, firmata dalla regista serba Milica Tomovic, presentato al Trieste Film Festival, 33° edizione.

È il 1993 anche a Belgrado. La moda delle spalline rigonfie arriva in ritardo in Jugoslavia, in cui impazza la guerra. La Slovenia se n’è andata due anni prima, con la rocambolesca Guerra dei Dieci Giorni, lasciando un grande vuoto. Belgrado è una città rigogliosa, all’apparenza. L’ondata punk ha invaso anche la Jugoslavia, e i movimenti anarchici si muovono nel sottobosco.

C’è una famiglia, a Belgrado. Il papà tassista Otac (Stefan Trifunovic) e la mamma casalinga Marijana (Dubravka Kovjanic) si ritrovano a dover organizzare, fra scarsità di uova, di burro e di panna, una festa di compleanno per la figlia minore. Che ha invitato tutti i suoi compagni di classe, tutti.

L’incipit di Kelti è fra i piu’ interessanti del Trieste Film Festival 33° edizione. Mirijana, interpretata dall’affascinante ed espressiva Kovjanic, si masturba nel letto coniugale, mentre il marito Otac si limita a farsi la doccia e a chiudere con dolcezza la porta della loro camera da letto. C’è estrema tristezza e solitudine in un gesto all’apparenza gioioso: ed è questa la filosofia di Kelti. Una festa, dunque, un evento carico di gioia, diviene ricettacolo di tante piccole tragedie personali.

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Quella sera, infatti, i genitori inviteranno anche parenti e amici, coetanei: i due frequentano dei curiosi figuri, per essere negli anni ’90 in Serbia. Minja (Katarina Dimic) è una professoressa di inglese con un PhD in studi shakespeariani che per scelta è tornata in patria dall’Inghilterra; è dichiaratamente lesbica. Ha appena scaricato un’amica di Mirijana e sua fidanzata storica, Ceca (Jelena Djokic), che però è invitata alla festa. Con la sua nuova fidanzata. Con loro il fratello omosessuale di Mirijana ed un suo amico, un’attrice del gran teatro di Belgrado, Anka, la spumeggiante amica d’infanzia della padrona di casa e fiera della sua capacità di concepimento – fra le altre scene esilaranti del film c’è un suo monologo sul potere di avere un utero. E come darle torto. In casa c’è anche la figlia adolescente della coppia, amante del punk anarchico sloveno,    

I personaggi si muovono in un ambiente piccolissimo ma in grado di creare tanti nuovi universi, e svariati punti di vista sono seguiti durante l’ora e mezza di Kelti.    

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Da un lato, c’è la minuscola tragedia familiare dei padroni di casa, incasellati nella monotonia della vita di Otac e nella voglia di libertà – e, giustamente, di sesso, e di volontà di evoluzione in un mondo che è in fremente cambiamento – di Mirjana; c’è il disagio infantile di Fica, cuginetto della figlioletta della coppia, invitato a passare lì la notte, ma troppo piccolo per venir accolto dagli altri bambini – e che causerà un black out involontario in tutta casa. La sua minuscola solitudine, ancora incompresa, sarà chiave di lettura per tutto il film: quel bambino crescerà, infatti, poi, in un mondo libero, non sotto la dittatura. Il tentativo, fallito, d’unione, da parte della figlia adolescente, con un altro invitato, che, a sua volta, trova la sua realizzazione prima nell’aderenza a gruppi politici comunisti, poi fascisti, e, infine anarchici. I baci appassionati delle coppie omosessuali, contrapposti al dichiarato fallimento della famiglia tradizionale proprietaria di quella grande villetta.

I due personaggi chiave di Kelti sono dunque Mirijana e il triste, piccolo, Fica: una donna che desidera gioia e sesso, che diviene, nella sua piccola storyline, una Molly Bloom serba, passa una notte di splendida follia – calze prima strappate, poi tolte, definitivamente. E il piccolo Fica, che riesce, pur assente, con la sua solitudine, la sua tristezza e la sua vergogna – consolata solo dall’accogliente nonna – a rovinare la festa di compleanno della cugina.

Il gigantesco lavoro di costruzione, nonostante la struttura slice of life, compiuto dalle sceneggiatrici Tanja Sljivar e Milica Tomovic – quest’ultima anche regista – è palpabile in ogni dettaglio di Kelti: dai fusibili in pieno stile jugoslavo (personale esperienza), ai vaghi discorsi politico-alcolici; ai piccoli gesti di trasgressione, cannette girate in silenzio nel retro del giardino; in tutti questi minuscoli eventi c’è il seme dell’evoluzione che la Serbia sarà. Kelti è un lavoro artigianale nella fattura, che ricorda una commedia inglese corale dei tardi ’90, inizio ’00 – quale Funeral Party, per dirne una; oppure un minuscolo romanzo di Agatha Kristie, senza la componente true crime – oppure a quel filone del cinema francese iniziato da Truffaut, del quale riprende alcune dinamiche tipiche del capolavoro Jules e Jim, nel sentimentalismo talvolta esasperato.

Il montaggio tecnicamente frizzante e le curate inquadrature, che fanno risaltare il significato allegorico delle scene chiave, indagatrice dell’umanità proprio come la Kristie, assieme alla bella colonna sonora – originale compilation di brani balcanici dell’epoca – fanno di Kelti un film assolutamente degno di menzione, e che ha giustamente meritato la menzione d’onore al Trieste Film Festival. Un altro lavoro quasi, completamente, al femminile, come i già citati Murina e Sestri.

Giulia Della Pelle
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