Talk to Me, recensione

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Giunge in Italia, a partire dal 28 settembre, il nuovo horror della Causeaway Films, Talk To Me.

Gli appassionati del genere potranno ricordare che suddetta casa produttrice realizzò qualche anno fa Babadook, horror movie tutt’altro che perfetto, eppure capace di sprigionare tematiche e suggestioni tali da renderlo rapidamente un cult del genere.

Ebbene, Talk To Me è il conseguente e notevole passo in avanti.

Il film ci catapulta in Australia, ad Adelaide, all’interno di un ambiente adolescenziale in cerca di nuove forme di trasgressione e divertimento. Difatti, tramite un particolare oggetto (una mano sinistra – in tutti i sensi – ingessata e ricoperta di strane trascrizioni), si ha la possibilità di oltrepassare i limiti naturali ed entrare in contatto con gli spiriti dei morti.

L’attrattiva di questa esperienza viene subito esaltata da numerose dirette social. Da notare come i social media siano ormai stati canonizzati nel cinema quali strumento di potente alienazione sociale e di totale perdita di empatia e di contatto con la realtà: uno strumento simile all’inquietante mano ingessata del film, che da un certo punto di vista, più che invitare a stringerla, potrebbe suggerire di darle uno smartphone per farla scrollare un po’.

Ad ogni modo, la protagonista, Mia (interpretata da una straordinaria Sophie Wilde), decide di partecipare all’esperienza e di viverla in prima persona, nella speranza di parlare con la madre morta suicida.

Tuttavia il suo contatto con gli spiriti avviene in maniera meno standard rispetto ad altre e le regole di sicurezza che gli esperti dell’evento suggeriscono non vengono rispettate appieno. Inevitabilmente quel contatto tra mondo dei vivi e mondo dei morti è rimasto integro oltre i limiti, le conseguenze saranno devastanti e la sua rottura richiederà estremi rimedi.

La trama di partenza non è originalissima. E come potrebbe? Fin dall’epica antica il contatto con i morti è un tema ricorrente praticamente in tutte le culture della storia del mondo e i loro approcci viaggiano tra il timore e la speranza. In Talk To Me l’elemento di interesse sta nella rappresentazione del contatto tramite questa sinistra stretta di mano e nelle regole che ne delimitano i confini temporali e logistici: la porta per l’aldilà, una volta aperta, deve essere richiusa prima dello scadere di novanta secondi, altrimenti i morti vorranno rimanere e i vivi potrebbero rimanere bloccati.

Sicuramente importanti fonti di ispirazione di Talk To Me sono Il Sesto Senso di Shyamalan, soprattutto per quanto riguarda il contatto con i morti, e Insidious di Wan, nella riproposizione della trappola e del limbo in cui i vivi vengono imprigionati dai morti stessi. Non manca anche una sequenza che ricorda da vicino lo storico Ghost di Zucker.

Lo sviluppo della trama sembra un po’ ricalcare quindi alcune situazioni cult molto note e ormai canoniche del genere. Talk To Me non si fa mancare anche alcune scene piuttosto violente e raccapriccianti, dotate di un intenso gusto del macabro degno di Tarantino (state attenti soprattutto alla testa, agli occhi e alle forbici).

Un punto di forza del film sta nel coinvolgimento legato alla notevole prestazione di alcune interpreti: su tutti la già menzionata Sophie Wilde, ma merita i complimenti anche Zoe Terakes nei panni di Hayley, proprietaria della mano sinistra ed esperta delle regole delle esperienze paranormali, un personaggio non centrale della trama eppure estremamente magnetico ogni volta che appare in scena. Una nota di demerito va invece destinata a Miranda Otto, o meglio al ruolo a cui è stata relegata e che la costringe per motivi di sceneggiatura a una interpretazione piuttosto piatta e superflua. Sempre un peccato sprecare grandi interpreti in questo modo.

Un altro notevole punto di forza di Talk To Mesta nell’intensità delle sue sequenze. Il primo contatto tra Mia e il mondo dei morti raggiunge dei picchi straordinari sia per l’intensità dell’interprete sia per il perfetto connubio di montaggio e suggestione. Stesso discorso per la sequenza della serie di possessioni sulle note del remix di Le Monde di Edith Piaf, capace di far incontrare commedia e horror in maniera sopraffina.

Tale scena tra l’altro ben rappresenta quel mondo di divertimenti adolescenziali sempre sul ciglio del disagio, della tragedia, del dramma, della morte. Divertirsi ed essere ogni istante sull’orlo della fine.

Per una buona ora Talk To Me viaggia su livelli altissimi, salvo perdersi un po’ in un finale ingarbugliato e non sempre ben sviluppato. Ad ogni modo la sequenza finale si muove svelandosi secondo dopo secondo, in un susseguirsi di immagini inizialmente poco chiare fino a quando non ci troviamo in prima persona a sperimentare gli effetti delle parole del titolo. Talk To Me. Sipario.

Pur non essendo un film perfetto, Talk To Me costituisce un importante punto di arrivo del genere horror contemporaneo e delle potenzialità narrative che il genere stesso può raggiungere. Non abbiamo a che fare con un film di paura adolescenziale, ricco di jumpscares ma povero di idee e sviluppi. Qui abbiamo un horror che scava nella paura e nei timori viscerali e inconsci dell’essere umano, viaggiando a vele spiegate, spinto dal vento dell’epica antica (il contatto tra vivi e morti) e la psicanalisi freudiana (il tema del doppio) fino ai drammi contemporanei (la solitudine, l’alienazione, la totale perdita dell’orientamento dei giovani).

Entrare in contatto con i morti perde la sua originaria chiave di lettura (di gioia o di paura che sia), assumendo invece i contorni di una profonda dipendenza: diventa un’esperienza magnifica, tanto da sentirsi brillare di luce. In simili toni è stato descritto il primo contatto con l’eroina (vedi alla voce Trainspotting).

Talk To Me è una rappresentazione del sentimento del lutto, o meglio del suo mancato superamento. Un lutto che Mia prova nei confronti di una madre che si è suicidata, ma sulla cui morte aleggia un costante alone di mistero. Tutto il film può quindi essere letto come l’incapacità della protagonista di accettare lo stato delle cose, per quanto doloroso e difficile esso possa essere. Un’incapacità che diventa perdita di inibizione, dei limiti, del senno, fino all’estremo.

Ma questo lutto che Mia prova può anche essere il lutto di una società o di una generazione che si sente orfana, persa in un mondo che non la comprende, che la isola, la rinnega, la obbliga ad accettare uno stato delle cose innaturale, doloroso, mortale. Un mondo dove la capacità di ascoltare va sparendo sempre più e dove la possibilità di parlare e di essere ascoltati avviene solo attraverso un contatto sottile, labile e potenzialmente pericoloso. E anche laddove avviene, si muove in senso unico, in maniera profondamente limitata e con risvolti a dir poco catastrofici.

Talk To Me assume i contorni di una richiesta semplice eppure totale, in punto di vita e in punto di morte, capaci di farci capire che esistiamo ancora oppure no. Tanto da farci chiedere continuamente, fino alla fine, se siamo veramente vivi, se lo siamo ancora o se in qualche modo siamo già morti anche noi.

Daniele Carlo
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