Partire dall’inizio per raccontare una storia è il modo più banale per farlo. Si può partire in medias res e lasciare al lettore l’arduo compito di dedurre il pregresso; si può iniziare dalla fine, per percorrere a ritroso, come nei migliori romanzi decadenti, una storia fatta di vittorie e grandi cadute, edificante o meno.
Eppure, la narrazione lineare, semplice, piana, tanto bistrattata, può dar modo al lettore di immedesimarsi, di crescere col protagonista, di evolvere assieme all’intreccio ed invischiarvisi.
E la storia di Franco Battiato iniziò con Fetus, nel 1972.
Una matassa, quella dei fili dell’arte, quella di Battiato, difficile da sbrigliare, volutamente complessa e confusa fra significato e significante – sottilmente provocatoria e pretenziosamente in antitesi con ciò che lo circondava. Una provocazione continua, quella di Franco Battiato, che passava spesso e volentieri per ciò che la musica italiana aborriva – e che la società italiana, ancora, considera eresia: la scienza.
Il covid19 ce l’ha dimostrata, questa strampalata teoria, i suoi antidoti – i discussi vaccini – ne sono stati il corollario. Ma Franco Battiato, da provocatore quale sempre è stato, ha inserito, in modo volutamente oscuro ed ermetico, richiami a teorie scientifiche, concetti stellari e complessi, genetica, biochimica.
Ecco, Fetus, del 1972: la genesi di una cellula, che passa da morula a blastula, un embrione che sviluppa braccia e occhi. L’embriogenesi è un processo incredibilmente complesso, elucidato recentemente, pezzetto per pezzetto – e, nel 1972, piazzare un feto su un foglio di carta oleata, come cover di un album, è stata un’operazione incredibilmente ardita. Il rimando letterario è a Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, capolavoro dell’eugenetica distopica.
Ma Battiato non si fermo lì. E nel 1972, ancora, a dicembre, uscì Pollution: ancora, dedicato a Il Mondo Nuovo. Tralasciando però l’universo oscuro in cui Pollution si ambienta, e ricercando le briciole che Battiato vi ha lasciato, si comprende presto che si tratta di una futurista – nel senso marinettiano del termine, poeta carissimo a Franco – suite in due atti – i due lati dell’LP, sull’inquinamento. Inquinamento in senso lato: magnetico, del mare, della parola. Nel primo caso, il magnetismo, le leggi di Maxwell, il mistero della forza di Coulomb e di Lorentz, ha continuato ad affascinare Battiato fino a Campi Magnetici del 2000, sperimentalissimo e incredibile album che è una soundtrack per particelle accelerate in un Large Hadron Collider. L’inquinamento magnetico, le batterie – scatolette magiche portatrici di energia – che vedevano il loro sviluppo storico e progressivo avanzamento nelle loro sorti proprio nella tecnologia degli anni ’70: materiali sempre più complessi, metalli rari estratti in miniere come ferite nel profondo di foreste africane equatoriali – Battiato ne immagina le linee di campo emesse. Poi, l’inquinamento genetico, biologico: l’essere un Beta, un operaio imperfetto, nella società eugenetica de Il Mondo Nuovo.
La devoluzione, l’arretramento verso lo stadio ittico di forma di vita che ancora deve uscire dal brodo primordiale, è anche esaminata in Pollution: in termini biologici attuali, si tratta di un fenomeno, sebbene esagerato, chiamato epigenetica. È accendendo e spegnendo determinati set di geni che gli insetti sfarfallano da crisalide a forma volante: il DNA rimane lo stesso, la mutazione è superficiale. Ma in Pollution c’è anche spazio per la più strampalato dei plankton che animano l’acqua: atomi carichi, emettenti piccolissimi campi magnetici.
Nell’album del 2000 – Campi Magnetici (1 Num3r1 n0n 51 possono amar3) – abbiamo un’intera dissemination – al pari dei Kraftwerk, degli italiani DeProducers – sull’induzione elettromagnetica, la legge di Faraday, spiegata dalla voce evocativa e teatrale di Manlio Sgalambro. Ossia il fatto che un corpo in movimento, se carico, si comporta in modo differente ed imprevedibile rispetto a se fosse immobile: è, dunque, il movimento, la rotazione, lo spostamento, che determina alcune incredibili proprietà dell’Universo come lo conosciamo. E della nostra civiltà tecnologica. Una civiltà che, in un futuro auspicabile, non vedrà più la differenza fra sessi, ma solo fra singoli individui: The Age of Hermafroditism. L’ermafroditisimo completo, infatti, in molte specie – nei vertebrati esclusivamente pesci – fa sì che un singolo individuo possa agire sia da maschio che da femmina, due generi distinti solamente per il tipo di gameti prodotti (ovuli o spermatozoi).
Come già detto, però, la scienza tutta è fonte d’ispirazione continua per Franco Battiato: passando per gli isterismi matematici – più farina del sacco di Stockhausen che suo – caratterizzanti il periodo Fra le Corde di Aries/Juke Box (1977), approdiamo all’arcinoto periodo anni ’80: eccoci durante l’Era del Cinghiale Bianco, 1979. Seguito da Patriots e La Voce del Padrone, l’album new wave che scalzò la canzonetta italiana di Claudio Villa ed inaugurò una nuova epoca d’oro.
E la scienza ne La Voce del Padrone, per la prima volta nella produzione di Battiato, assume una connotazione poetica, positiva: non è più mistero cosmico per pochi iniziati, ma ineluttabile descrizione di fenomeni reali e indispensabili, innegabili, presenti nell’immanente e dai quali non si può scappare – solo accettarne l’infinità e la nostra piccolezza in suo confronto.
E siamo nella grandiosità degli uccelli che sanno piegare la forza di gravità sotto il delicato battito d’ali.
Cos’è la gravità, dunque, che per un po’ ha sostituito il magnetismo nella lista delle forze fondamentali care a Battiato? È l’attrazione, seppur debolissima, che la materia normale (e anche quella oscura) esercita: due masse tenderanno ad attrarsi. Ad essa si applica ugualmente il concetto di campo: una sorgente gravitazionale ha attorno a sé una certa area d’influenza, la cui energia decresce con la distanza. Più grande è la massa, più intenso sarà il suo campo gravitazionale. Più pesante sarà un oggetto posato su di essa. Gli uccelli, dunque, rifuggono l’attrazione di questo campo, che però Battiato desidera ardentemente in Centro di Gravità Permanente: si tratta di un gioco di parole basato su un testo di Georges Ivanovič Gurdjieff, scrittore e filosofo armeno carissimo a Battiato.
Come è già noto, il pensiero battiatiano – attenti a non chiamarlo Maestro – si ammorbidisce durante gli anni ’80: “la macchine celesti” che governano il suo mondo sono espedienti poetici – così si sfiora la neurobiologia in New Frontiers (“Le pareti del cervello non hanno più finestre”), la psicostoria di asimoviana memoria in L’Esodo, e la metafisica de Gli Orizzonti Perduti. Dovremmo attendere il mitologico Mondi Lontanissimi del 1985 perché le atmosfere intimiste vengano abbandonate e ci si ritrovi, di nuovo, catapultati, nello sci-fi delicatissimo e monacale di Battiato, arioso e positivista: un uomo alla finestra che guarda un cielo illuminato da un gigante gassoso con anelli – Saturno? Una gigantesca sfera – dotata di enorme gravità – fatta di gas gelato e compresso. Ed ecco che nasce la space opera di Via Lattea – e c’è Sirio, una delle stelle più vicine a noi. Il centro, forse, però, della produzione scientifico-musicale di Battiato è però No Time No Space: un alieno che chiede ad un umano del futuro di descrivergli il viaggio della sua specie verso lo spazio.
Le comete, le comete seguite dagli antichi esploratori del futuro: pezzi di ghiaccio d’acqua e roccia che popolano la nube di Oort ai confini del sistema solare, una sfera di esse; moti vibrazionali atomici (another race of vibration); e mari di simulazione (the sea of the simulation). Nello specifico, il concetto di “mare di simulazione” nello sci-fi era stato introdotto dal film Tron, di pochi anni prima, del 1983: una sorta di firewall che impediva ai programmi di uscire dal mondo informatico, un concetto realmente attuato nell’ingegneria informatica. Battiato lascia dunque all’ascoltatore la decisione se la sua profezia è avverabile o se si tratta solamente d’un mondo di fantasia – sebbene informatica – come quello di Tron. Ed è, forse, più avvisabile la seconda opzione, visto che il successivo brano di Mondi Lontanissimi è Personal Computer, in cui Battiato si lascia incantare dagli effetti quantici che avvengono all’interno della scatola.
Sarà poi l’incursione – felicissima – del filosofo Manlio Sgalambro a rinfarcire di multidisciplinarietà il Battiato degli anni ’90, perso in musica lirica di Caffè de la Paix: nel 1996 abbiamo, infine, L’Imboscata. E, dunque, La Cura: in un album sostanzialmente metallaro, Battiato decise di inserire una ballad struggente, narrante un amore che va al di là dello spazio e del tempo. La frase più oscura e famosa, ma evocativa di un legame indissolubile che sottende il mondo tangibile, è “supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare”: ma cosa sono le correnti gravitazionali?
Come ho già detto, dopo gli anni ’70, al posto del magnetismo abbiamo la gravità come forza fondamentale preferita di Franco Battiato; ed è di comune conoscenza l’esistenza delle onde gravitazionali. Cosa sono? Un qualsiasi emettitore di energia modifica l’ambiente circostante a seconda dello specifico tipo di energia emessa, e dunque ciò vale anche per la gravità. Semplificando allo stremo. Einstein nella relatività generale aveva già postulato tale teoria, provata solo nel 2016. Le onde gravitazionali sono, per fare un paragone, simili alle onde radio, ma esse, pulsando, distorcono lo spazio, accorciando la distanza fra due punti distanti. Non c’è molto di poetico in ciò, va detto: eppure ciò che deve aver colpito Sgalambro è l’identità delle sorgenti di onde gravitazionali, ossia gli eventi più distruttivi del nostro universo – collisioni di stelle, nascita di buchi neri, devastanti esplosioni (le supernovae), la tragica morte di oggetti incommensurabilmente grandi. Dunque, un amore in grado di superare le correnti gravitazionali, che sa viaggiare più veloce della luce – e, dunque, rifuggire le ineluttabili leggi della fisica – non può che essere sacro e magico.
Franco Battiato ha saputo dunque coniugare filosofia e spiritismo, conoscenze ataviche e dimenticate con letteratura contemporanea, letteratura scientifica e cultura pop: un vuoto – come il suo ultimo album totalmente di inediti, del 2007 – incommensurabile.
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