Solo i più grandi riescono a calare il sipario ed uscire di scena nel giorno della propria nascita. E Gigi Proietti era un gigante. Se n’è andato in un periodo terribile, con i teatri chiusi e la cultura in ginocchio, forse per ricordarci quanto potente sia l’arte e quanto terapeutica sia l’ironia.
Non tutti gli addii sono uguali. Non tutti gli addii si prendono quella libertà di essere silenziose e rumorose allo stesso tempo. La morte di Gigi Proietti è una di quelle ingombranti e fastidiose, una di quelle che non ti sai spiegare, che non vuoi ammettere, che non riesci ad accettare. Una morte che è stata un terremoto per l’arte. Perché quando crolla un pilastro, l’intera struttura rischia di abbattersi.
Spiegare chi era Gigi Proietti non è facile. In ognuno di noi abitano ricordi, più o meno attuali, legati a lui. Io ho iniziato ad amarlo nei panni del maresciallo Rocca ed ho finito ammirandolo come voce narrante di Ulisse. Lui era un attore universale, un’istrione senza eguali. Ha impresso col suo straordinario talento l’epopea del cinema e del teatro italiano, come nessuno ha saputo fare. Un esempio di genialità e talento, di ironia e serietà, di perseveranza e umiltà. Una comicità intelligente ed istruita, pulita ed educata, cinica e delicata. Un mattatore dalla risata fragorosa.
Una colonna portante di Roma, uno dei rappresentanti dell’anima artistica della “città eterna”, un portavoce di quella cultura che va spegnendosi.
Per amarlo e capirlo non dovevi essere di Roma, non necessariamente. Il suo era un linguaggio comune, sapeva entrare nelle case di tutti, farsi amare e riconoscere immediatamente. I suoi spettacoli e le sue interpretazioni hanno segnato il Novecento italiano, sono divenuti cult intramontabili, sono passati di generazione in generazione.
Grazie ai suoi personaggi dalle mille sfumature, è divenuto un’icona della televisione italiana.
Gigi Proietti ha avuto una lunga carriera, divisa tra teatro, cinema e televisione. E’ nato come attore di teatro, dopo aver abbandonato gli studi di giurisprudenza. Ha partecipato a vari spettacoli e collaborato con i più grandi artisti come Andrea Camilleri e Tinto Brass. Proprio quest’ultimo è stato un punto di riferimento, una figura di grande importanza per la vita e la carriera di Proietti, il quale vide in lui le potenzialità da grande attore, scegliendolo come protagonista del suo film L’Urlo, del 1968, presentato al Festival di Cannes.
Dopo numerosi successi teatrali a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
Nel 1976 iniziò una proficua collaborazione con lo scrittore Roberto Lerici. Insieme realizzarono diversi spettacoli tra cui A me gli occhi, please. Quest’ultimo è sicuramente uno dei lavori teatrali più famosi ed incisivi dell’attore e anche uno dei più riusciti. Un acclamazione di pubblico e critica che porta il progetto a replicarsi nel 1993, 1996 e nel 2000. In quest’ultima occasione la performance venne sostenuta allo Stadio Olimpico, nella sua città e fu un successo clamoroso.
Negli anni Settanta, invece, arrivò la vera consacrazione cinematografica, in cui recitò in diversi film nei quali fu protagonista assoluto.
I film in questione sono: Gli ordini sono ordini, Meo Patacca, Conviene far bene l’amore, Languidi baci, perfide carezze. Recitò poi insieme ad Ugo Tognazzi e ad una giovane Jodie Foster nel film Casotto, del 1977. Ma il vero successo arriva nel 1978 con il film Febbre da cavallo, diretto dal regista Steno, dando vita all’iconico Mandrake e alle sue “madrakate”. La sua ultima apparizione sul grande schermo risale al 2019, nel film Pinocchio (leggi qui la recensione del film) di Matteo Garrone.
Un matrimonio idilliaco l’ha avuto anche con la televisione di Stato. Il rapporto di Gigi Proietti con “mamma Rai” è stato decisamente proficuo e duraturo.
L’attore, grazie a programmi e serie televisive è riuscito a vivere una nuova giovinezza, a farsi conoscere e riconoscere dal grande pubblico e ad entrare nelle case di tutti gli italiani. Il trionfo di Gigi Proietti arriva con Il maresciallo Rocca. Una fiction che ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui il premio di personaggio maschile dell’anno a Proietti. Nell’ultimo decennio ha preso parte a Preferisco il Paradiso e ne Il signore della truffa; compare come guest star in una puntata de I Cesaroni.
Ma Gigi Proietti, oltre alle ricordate esperienze nel teatro, nel cinema e nella televisione, è stato anche un importante doppiatore. Ha prestato la sua voce a Sylvester Stallone nel primo film di Rocky, ha interpretato il Genio nel classico Disney Aladdin, ha doppiato attori del calibro di Richard Harris, Anthony Hopkins, Dustin Hoffman, Kirk Douglas e Donald Sutherland. Negli ultimi anni è stato la voce in Lo Hobbit e di Gandalf nel Signore degli Anelli.
Nel 1978 istituisce al Brancaccino, una sala prove del Teatro Brancaccio, il Laboratorio di Esercitazioni Sceniche per i giovani attori, una scuola nata come associazione culturale, presieduta da Flavia Tolnai e guidata da un gruppo docente tra cui anche Gigi Proietti. Il Laboratorio divenne la migliore scuola di recitazione sfornando più attori di successo di qualunque altra, perfino della mitica Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico: da lì usciranno, per fare qualche nome, Massimo Wertmüller, Pino Quartullo, Rodolfo Laganà, Gianfranco Iannuzzo, Chiara Noschese, Francesca Reggiani, Giorgio Tirabassi, Gabriele Cirilli, Enrico Brignano, Flavio Insinna.
Insomma, un artista totale, un fuoriclasse del palcoscenico, votato all’arte della condivisione e alla cultura suprema. Un eccellenza per nulla ombelicale e mai banale, un genio che mancherà a tutti, con i suoi scherzi sornioni e con il suo sorriso beffardo. Un’artista poliedrico che lascia un grande vuoto nel nostro Paese.
Lo ringrazio per avermi fatto partecipare ai suoi “giochi d’infanzia” e per avermi insegnato che “vaffanculo” non è una parolaccia, ma “una meta turistica da consigliare ad un sacco di gente”.
Ciao, Maestro!
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