La guerra non si vince censurando l’arte  

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Bandire Il Lago dei Cigni non è il modo per vincere una guerra. La scelta del governo ucraino – ricaduta pesantemente anche sui teatri italiani – di vietare ai propri artisti di eseguire opere di autori russi, non è solo una scelta scellerata, ma anche storicamente ignorante, miope e poco lungimirante.

La popolare ouverture del 1812 di Ciajkovskij – criticato a suo tempo perché “troppo occidentale” o “troppo poco russo”, per sottolineare il paradosso – è stata cancellata da diversi teatri italiani (Ferrara, Napoli, Vicenza solo per citarne alcuni). Peccato che chi ha preso questa decisione assurda non conosce la storia dell’opera: una celebrazione rumorosa della resistenza russa all’invasione di Napoleone. Una scelta che combina grezzamente i moderni divieti culturali all’isteria della “guerra vecchio stile”.

Un tuffo nel passato, all’ignoranza barbara che ci ha pervaso per anni. Pensate che l’autore e drammaturgo inglese Henry Graham Greene sottolineò che durante la prima guerra mondiale il sentimento anti-tedesco era così vivido e ricolmo d’odio che un bassotto fu lapidato in strada. Dovremmo per caso mettere in salvo i piccoli samoiedo?

Il boicottaggio de Il Lago dei Cigni e dell’arte in generale non solo danneggia la cultura internazionale, ma anche tutti gli artisti che si sono opposti e si oppongono al Cremlino. Dovremmo imparare dagli errori del passato, da quanto successo agli artisti sudafricani negli anni Sessanta, quando si sono trovati censurati nello stato apartheid. È giusto e doveroso sanzionare le organizzazioni culturali e sportive legate alla Russia e che rappresentano Putin. Ha senso bandire la bandiera russa, non ha senso bandire l’arte. 

Per secoli gli artisti ed intellettuali russi sono stati la spina nel fianco degli autocrati del paese, il fulcro principale dell’opposizione, nonostante fossero consapevoli di rischiare di perdere tutto. L’Italia, così come tutti l’Occidente, deve essere sapiente e soprattutto attento a non isolare coloro che rappresentano la coscienza del Paese. Gli artisti dissidenti russi non sono scomparsi. Le loro opere sono centro propulsivo della resistenza, sfidano la cleptocrazia ultranazionalista del Paese.

Non credo che chi ha preso questa decisione abbia visto Leviathan, meraviglioso film del regista russo Andrei Zvjagincev. Se l’avessero visto magari avrebbero compreso la natura di Putin, di come veniva descritto il marcio all’interno del Cremlino e della chiesa ortodossa. Di come venivano mostrati i personaggi disperati, intrappolati in mondi molto più grandi di qualsiasi cosa sotto il loro controllo.

È una denuncia all’intera istituzione russa, dove si pone l’accento nella tensione tra i soggetti arrabbiati e isolati e l’indifferenza del sistema che gradualmente li schiaccia. È qui che il tempo si fa muto custode di eventi che paiono destinati a ripetersi a intervalli ciclici: ci sarà sempre un agitarsi di sentimenti umani o una battaglia in nome di rivolgimenti dell’animo.

Senza contare quanto profetizzò nel 2006 il romanziere russo Vladimir Sorokin, dove scrisse, nel romanzo ambientato nel 2027 Day of the Oprichni, di una Russia distopica, paragonandola persino ad Ivan Il Terribile e presentandola come una sorta di satellite cinese. E allora che facciamo, censuriamo anche loro come Il Lago dei Cigni perché si tratta di artisti russi?

Per molti la risposta sarebbe “sì”, soprattutto dopo quello che si è visto con Alexander Gronsky, fotografo arrestato a Mosca tre giorni dopo l’invasione dell’Ucraina per aver gridato “No alla guerra!”. Ma la parte assurda è che è stata cancellata una sua opera nella mostra fotografica europea a Reggio Emilia, solo perché russo, nonostante sia sia esposto pubblicamente contro il conflitto. 

E allora mi chiedo: che senso ha cancellare il Lago dei Cigni? Perché privarci della bellezza di Odette/Odile, del Cigno Bianco e Cigno Nero, di uno dei balletti che fanno parte della storia della danza classica tanto da essere evocato anche nel film Billy Elliot? E allora no. La guerra non si vince censurando la bellezza di questo balletto o facendo un falò con i libri di Tolstoy, Puskin o Gogol.

Se è vero che “la guerra è il massacro di persone che non si conoscono”, è vero anche che la guerra è il massacro della cultura da parte di persone che non conoscono e si rifiutano di conoscere. È in questo modo che si genera una realtà priva di bussola e orfana di memoria.

Isabella Insolia
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2 commenti su “La guerra non si vince censurando l’arte  ”

  1. Un’analisi molto interessante… soprattutto l’esempio del Leviathan… film bello e rappresentativo…. complimenti!

  2. Finalmente un articolo come non lo leggevo da anni, senza sentimentalismi o fanatismi… Viviamo in un mondo dove non esiste la lucidità professionale, ma il tifo da stadio: “o stai con me o contro di me”… l’arte va difesa e tutelata sempre!!! Bravi

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