Qual è il problema di un film che racconta la violenza sulle donne?

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Perché vietare ai minori di 18 anni un’opera di denuncia sociale, che dovrebbe parlare soprattutto a loro che questa società continueranno ad abitarla, modificarla e idealizzarla? 

Una decisione grottesca quella che ha portato a vietare la visione del film La scuola cattolica ai minori di 18 anni. Una storia che parla di violenza contro le donne, di quanto possano essere efferati certi atteggiamenti, di quanto marcio c’era e c’è intorno a noi, di quanto possa essere vuoto chi applica il male. 

Un tema, quello del Massacro del Circeo, che è più attuale che mai e per quale motivo cercare di nasconderlo e censurarlo? 

Il film, tratto da un libro di Edoardo Albinati, racconta la strage del Circeo: nel 1975 due giovani donne, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez furono rapite, torturate, violentate e Rosaria Lopez fu uccisa da tre giovani attivisti neofascisti della borghesia romana. Una gravissima pagina di cronaca nera che sconvolse il nostro Paese.

La Scuola Cattolica: qual è il problema di un film che racconta la violenza sulle donne?
La Scuola Cattolica: qual è il problema di un film che racconta la violenza sulle donne?

Eravamo convinti che la censura del cinema italiano si trovasse di fronte ad un sipario, alzato nel 1914, agli albori del cinema, e che ha portato alla riprensione di alcuni classici del grande schermo. Centinaia di film sono stati censurati nel nostro paese nell’ultimo secolo, principalmente per motivi politici, morali e religiosi. Il caso più famoso è stata l’opera di Bernardo Bertolucci, candidata all’Oscar del 1972, Ultimo tango a Parigi, tutte le cui copie sono state distrutte tranne tre conservate come “prova del crimine”. 

Ma, a distanza di quasi 50 anni, ci troviamo nello stesso identico punto, anzi, forse, ancora più in basso, visto che l’opera in questione è di denuncia. L’ente italiano preposto alla classificazione dei film sostiene che La scuola cattolica mette sullo stesso piano le vittime e i loro carnefici, “sostanziale equiparazione”, dicono. I carnefici sono descritti come “incapaci di capire in cosa sono coinvolti”. Si indica, inoltre, un’altra scena in cui un professore indugia davanti ad una tela che rappresenta il Cristo flagellato. Da l’impressione di mettere sullo stesso piano – sostengono – Cristo, i flagellanti e gli assassini del Circeo. 

Ma si può ridurre a questo la settima arte italiana?

Salvo forse l’onnipresente internet e i social network, il ruolo del cinema nella creazione di un’autorità simbolica non è che aumentato negli anni nella sfera collettiva in una sorta di progressione geometrica. Ma la portata che questo esercita è così spesso ridotta e ristretta dai poteri costituiti, come nel caso del film La scuola cattolica. 

Tecnicamente la libertà delle forme d’arte e il loro potere di comunicazione risiedono nelle persone e nello Stato e istituzioni che sono la loro espressione politica. Ma, in pratica, chi è che lo articola? Chi sancisce le sue legittime o illegittime manifestazioni? A chi dobbiamo rivolgerci: politici, attivisti, attori, cineasti, multinazionali, tribunali? 

Chi sono questi censori che hanno il potere di decidere chi vede e chi no un determinato film? Attraverso quali tipi di linguaggio si possono misurare e giudicare le provocazioni di una o più sequenza? La domanda che sorge spontaneamente è fino a che punto questa censura è compatibile con le disposizioni costituzionali di una nazione democratica? 

La Scuola Cattolica: qual è il problema di un film che racconta la violenza sulle donne?
La Scuola Cattolica: qual è il problema di un film che racconta la violenza sulle donne?

La cosa incredibile è che la censura, anzi, i censori non si limitano a mettere a tacere la parola – il che è già grave di suo – ma producono anche forme autorizzate di verità. Questo, sia chiaro, non riguarda solo il cinema, ma figura in tutte le forme della creatività umana. 

Il cinema non deve essere solamente svago, deve essere riflessione, educazione, approfondimento. Una storia vera, un’opera sull’impunità, una pellicola di denuncia che riguarda anche i minori, soprattutto i minori, a cui ora è vietata la visione, non può e non deve essere oggetto di censura. 

E’ arrivato il tempo di mettere da parte il bigottismo e la mentalità arcaica e acritica che ci sovrasta. La tendenza all’ipercontrollo e alla censura tipica della “scuola cattolica” anni Settanta – nel cui ambiente è maturato un delitto così atroce, brutale, disumano, feroce come quello narrato nell’opera La scuola cattolica – ci governa ancora oggi. I tempi non sono poi così tanto cambiati. 

Abbiamo un bisogno esasperato di combattere il silenzio che genera la violenza manifesta e silente. La censura è il fallimento delle istituzioni, incapaci di investire nella formazione, nell’educazione e nella sensibilizzazione dei più giovani. Un’occasione sprecata, l’ennesima. 

Isabella Insolia
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