Sul Bello: la necessità ne “La Morte a Venezia”

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È chiaro ormai da tempo che la società contemporanea, in Occidente, viva un momento difficile, e, anche se per alcuni questa fase sembri più una transizione, è plateale ed innegabile che la deriva capitalistica, la morte dei riti, la frenetica “Città che sale” di boccioniana memoria, abbia un po’ smarrito quei valori etici ed estetici, che sono stati capisaldi del mondo civile sin dalla sua origine.

città che sale boccioni morte a venezia


Una domanda che sarà il fulcro di quest’analisi che compiremo oggi è: cosa ne è stato della bellezza?

O, meglio ancora, il valore assoluto della bellezza, conta ancora come nel periodo ellenistico, romano, rinascimentale ecc. o, forse quello che stiamo vivendo è un secondo Medioevo (almeno nella concezione popolare che definisce il Medioevo come un periodo oscuro)?
Probabilmente, si, ma non bisogna correre il rischio di generalizzare. Il Bello vive e ricercare con ardore, ancora oggi, nell’era digitale del mondo globalizzato, ciò che ai nostri occhi appare bello è un valore che qualunque decadenza e qualunque paranoide futuro distopico, non riuscirà a cancellare.
La bellezza ha un valore assoluto, non definibile, non calcolabile, come Kant diceva nella Critica del giudizio, e la sua forza necessaria è che vi è un senso del Bello in ognuno.
Dunque quella di oggi sarà una modesta e parziale dissertazione su come alcuni autori di varie discipline hanno trattato il tema della bellezza, senza nessuna pretesa, per fare chiarezza, per quanto possibile, su quello che è e resterà un tema decisivo nella società presente e in quella di là da venire.

La sua bellezza era inesprimibile e, come altre volte, Aschenbach sentí con dolore che la parola può, sí, celebrare la bellezza, ma non è capace di esprimerla.

La Morte a Venezia, Thomas Mann

Mi sembra opportuno, rispetto al discorso, che, ora, tenteemo di fare, partire da quest’assunto di uno dei massimi scrittori a cavallo tra Ottocento e Novecento (il Mann, tra gli altri, de I Bruddenbrook e La montagna incantata) e, addentrandomi in un’esplorazione di più discipline, cercare di sviscerarne una serie di temi universalmente decisivi, e molto cari allo scrittore di Lubecca.

Se dovessimo, infatti, pensare al Bello come qualcosa di inesprimibile e solo di inesprimibile, probabilmente non tratteremmo, mai, l’argomento. Ma, Mann, completa questo concetto, affermando che, se la parola non può dire la bellezza, essa può, invece, celebrarla.
È qui, in queste parole semplici, nette, vibranti, riottose, ma allo stesso tempo composte e tragiche, vi è nascosto il mistero del perché ci si dà all’opera artistica. Ecco cos’è Arte: ciò che celebra la Bellezza (Leggi anche: Arte ed Eros).

Ne La morte a Venezia Thomas Mann, rincorre il tema, portandolo a vertici di grande lirismo e si fa enorme lo stile con cui egli sistema le parole che sono bellezza e che parlano di bellezza. Lo scrittore Aschenabach incarna la profondità d’animo, più che dell’osservatore, dell’esploratore del mondo alla ricerca di quell’ideale, di quella kalokagathìa, così necessaria e mai decaduta o marcescibile.

Tadzio, il ragazzino di cui egli (platonicamente), ne La morte a Venezia, s’innamora, diventa emblema di una classicità quasi evaporata, nel secolo a noi precedente, ma che- nella statuaria innocenza di un corpo pressapoco quattordicenne, nell’altero segreto di tale bellezza senza tempo- risulta possibile, anche in un occidente che decade perdendo il gusto del sublime.

Spostandoci in campo cinematografico, la Morte a Venezia costruita da Luchino Visconti, esalta l’aforisma di Mann, trasportandolo dal campo della parola a quello dell’immagine. Così, il volto femmineo di Tadzio (interpretato da Björn Andrésen) incarna il potere classico del Bello; i suoi capelli selvaggi e nobili, il suo volto ambiguo, indifferente, carico di mistero e sacralità, esiliano il maturo scrittore Aschenabach (Dirk Bogarde) ad un amore che è pura coscienza del Bello; parafrasando Nietzsche e D’Annunzio: amore verso il capolavoro Uomo.
Non vi è una celebrazione del corpo in quanto bello, ma della bellezza che passando da vie diverse, tra cui il corpo (ma anche l’anima, l’intelligenza e tutto ciò che sfugge), esalta l’archetipo del sole sull’ombra, del bianco sul nero, della virtù ecc.
Il Bello si fa emblema necessario, viaggio e meta.

Ma il Bello, non è solo elemento tangibile- corpo o visione concreta-, esso può assurgere nell’astratta necessità di ordinare il Caos e recintare di senso le intemperie della vita. Così, a partire dalla necessità estetica di Oscar Wilde, passando per i maudit francesi, che bilanciavano esistenze stirate sino all’autodistruzione (vengono in mente Baudelaire (leggi qui), Rimbaud, Verlaine, Mallarmé) a un’esplosione di grande bellezza formale e contenutistica dei loro scritti, il Bello si fa cura di quel male de vivre, di quell’angoscia anticipatrice del secolo della psicanalisi e del mondo che tutti conosciamo.
Per gli scrittori decadenti, Bello equivale a unico segno, unica traccia, bellezza da scacciare (citando Rimbaud), che nel tempo stesso in cui eccessi e rabbiosa negazione, vincolano costoro a una vita di miseria, assurge simbolicamente a condizione metaforica dell’uomo nel mondo. E si fa sublime.

Morte a Venezia luchino visconti il bello

E così, cavalcando questo concetto, non si può non citare l’amore del più estremo dei filosofi, Nietzsche, verso la bellezza. Bellezza che egli rende complessa, destruttura sino a vederne scheletro e organi, e che rimette in piedi mediante un’analisi geniale e, soprattutto spirituale. “Lo spirito della musica”, ovvero l’ebbrezza dionisiaca, in cui si cela l’essenza del Bello, è proiettato dal filosofo di Röcken, nel grande compositore a lui contemporaneo e amico, Richard Wagner. Wagner è l’uomo che può risollevare l’occidente dalla decadenza; la sua musica, costruzione delle forme apollinee e di quella furia irrazionale propria del dionisiaco, rappresenta l’estetica immateriale del mondo: l’ordine pre-verbale che la musica impone ai sensi si esemplifica in Wagner, nelle grandiose arie e nel solenne esercizio della creatività.

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la morSilvana Mangano in una scena de La More a Venezia

La letteratura, il cinema e la musica traboccano di tanti altri esempi di come sin dai primordi il tema del Bello esprima una necessità nella Storia dell’uomo; la sublimazione di freudiana memoria, ci racconta quella necessità tutta umana di elevare se stessi a una dimensione superiore, verso quella chimerica trascendenza che l’arte e il mondo, regalano a chi si valorizza in questa fuga, verso quella bellezza che, utilizzando una frase di Dostoevskij “salverà il mondo”.

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