foto di Dino Ignani
Sono giorni difficili questi che stiamo vivendo: di stasi, di sacrifici e rinunce. Eppure, in un momento dove muoversi e toccarci non è possibile, molti di noi stanno riscoprendo il grandissimo valore della parola: l’unica, ora, che ci permette di stare vicini. Questa (se usata nel giusto modo, certo) crea ponti, strutture potenti, mondi meravigliosi. Tu io e Montale a cena (Interno poesia, 2019) di Gabriella Sica (con la quale tra l’altro condivido una terra importante, la Tuscia, e nello specifico la città di Viterbo) ha proprio la parola come preziosa protagonista ed è un vero gioiello per chi ama la poesia.
La raccolta, composta complessivamente da 44 poesie più due prose, è monotematica, interamente dedicata a Valentino Zeichen (il sottotitolo della raccolta recita infatti Poesie per Zeichen), poeta che ci ha lasciato il 5 luglio del 2016.
Le poesie, scritte tra l’aprile 2016 e il febbraio 2017, compongono un dolcissimo e commovente canzoniere in vita e in morte dell’amico poeta. Il libro è tante cose insieme: un omaggio a un importante poeta del Novecento; il diario di una perdita (le poesie si susseguono in ordine cronologico e molte riportano la data); un “libro-archivio” (come l’ha definito la stessa autrice) nel quale registrare i tratti peculiari di una persona e i ricordi a lei legati prima che il tempo, macchina inarrestabile e crudele, spazzi via inevitabilmente qualche immagine.
La Sica racconta la sua amicizia con Zeichen con una eleganza, una delicatezza e una dolcezza tali che il lettore può sentirne con facilità la forza e l’amore.
Ma fa di più per il lettore: gli regala l’immagine di un poeta, di un personaggio e soprattutto di un uomo, con le sue ossessioni, le sue abitudini, i suoi modi di fare, facendo riaffiorare dai versi la tenerezza propria di una cara amica e l’ironia propria invece di Zeichen.
La raccolta si apre con una sezione (In limine) che contiene due poesie scritte quando Zeichen era ancora in vita. La Sica non indora la pillola: il poeta è sempre stato un impertinente, “Valentino coriaceo al vetriolo / stai nella tua area di rigore / gelida area di esodo corrusco / di esilio da persone e cose” (Valentino al vetriolo, pag. 9). È una magia che riesce solo a chi vuole bene: trasmettere amore anche utilizzando parole che pungono.
Segue la seconda sezione (Quaranta poesie), corposa parte del libro che raccoglie il lento attraversamento del declino e del lutto dell’amico. La prima poesia (E ora che a Roma è aprile, pagg. 15-16) è una vera e propria preghiera. È aprile, è primavera, Zeichen si trova in ospedale e la Sica fa quello che farebbe una poeta-amica: pregare, e scrivere. I versi sono una dolcissima preghiera alla “madremadonnina” affinché salvi l’amico che sta male.
La disperazione si nota soprattutto nella regressione del linguaggio a linguaggio infantile, voluto anche, credo, per evitare un patetico che ne avrebbe vanificato l’intensità e la sincerità. Proprie di questo linguaggio bambino sono le ripetizioni (“salvalo salvalo”, v. 8; “liberalo […] liberalo”, v. 21; “non cade non cade mai”, ultimo verso), le anafore (“fallo tornare da noi” ai vv. 4 e 9), le alterazioni dei nomi, nel caso specifico diminutivi e vezzeggiativi (“madremadonnina”, tra l’altro in una forma univerbata, v.7; “scherzetto”, vv. 11 e 20). Elemento imprescindibile nelle preghiere, poi, è la promessa: “prometto lo inviterò di più a cena”.
Il lettore rimane colpito dal poeta-personaggio-uomo che stira, che cucina, che è invitato a cena, che si prende cura delle sue piante, che scende le scale in maniera buffa e originale, che ogni domenica parla al telefono con l’amica.
E rimane ancora più colpito quando, poi, questo poeta è paragonato a Vulcano (“Sta nella sua officina il fabbro romano”, in La baracca, pag. 17), a Hermes (“con le ali alle caviglie / agile e vigoroso”, in Hermes, pag. 29), a Enea (“Anche tu sei dall’est in fiamme sceso / dall’Adriatico agitato / al Tirreno”, in Enea, pag. 50).
Ma, terminata la raccolta, attraversati i vari temi e i tanti ricordi, al lettore resta come un motivo in sottofondo e si accorge, sfogliando nuovamente le pagine, che questo motivo le percorre tutte e ha a che fare con qualcosa di veramente forte: la parola.
Ecco cos’è Io tu e Montale a cena: un inno, un elogio della parola, alla sua importanza e alla sua straordinaria potenza.
Colpito da ictus, Zeichen, scrive la Sica, “è un infante senza più lingua / farfuglia appena una parola […] vivere non può senza la parola” (E ora che a Roma è aprile, pagg. 15-16). E quando il poeta muore è un colpo così forte che “nessuno trova più le parole / un gran silenzio è sceso su Roma / come un’ampia ombra” (Valentino nel vento, pag. 23). Lo scambio di parole è così fondamentale in un’amicizia, che continua anche dopo la morte: “come ogni domenica ti chiamo / al fisso ecco sì che rispondi davvero” (E appena entro a Villa Borghese, pag. 26).
L’autrice, che sa quanto sia importante per il poeta la parola, pronunciata e scritta che sia, proprio questo vorrebbe sapere dall’amico: “dimmi ora […] se il paradiso c’è e se ci stai scrivi” (ibidem). Di primaria importanza è la parola per uno “dedito al commercio di idee e parole” (Hermes, pag. 29), per uno “mai orfano di parole” (Orgoglioso muto il volto mondano, pag. 62) e che era convinto ci volesse (e infatti ci vuole) il dialogo con il lettore, “non basta fare l’autore” (Roma è la commensale preferita, pag. 53).
Ma un verso, tra tanti, è quello che convoglia tutte le attenzioni:
“ogni verso dicevi è un’azione”
(Il lento congedo, pag. 54). La parola è azione e creazione: è vita. Attraverso di essa la Sica crea un mondo altro dove ancora poter dialogare con l’amico, dove ancora poterlo invitare a cena, invitando anche, perché no, altri poeti che come lui non ci sono più. La poesia attraversa i confini della vita e li annulla, come l’autrice scrive in un’altra poesia-invito a cena:
“su su non sempre si muore / proviamo con la poesia proviamo / la dolce cena noi tre insieme / la cambiamo questa morte in vita” (Tu io e Pagliarani come un tempo, pag. 49).
Infine, la parola scritta permette alla Sica di immaginare Zeichen, anche ora, nella nuova dimora, in compagnia di famosi amici, con i quali conversare (“E ora che al Verano ti sei sistemato / ti intrattieni con i nuovi amici / vicini di casa affini / Ungaretti e Moravia lì anche loro […] solenni insieme ve ne andate / giù fino all’imbrunire / piacevolmente in tre a conversare / come a te ancora piace”, in E ora che al Verano ti sei sistemato, pag. 85), oppure, perché l’amicizia ogni tanto fortunatamente lo permette, stare “allegramente in silenzio” (Ivi, pag. 86).
Il finale è, quindi, pieno di speranza: il 26 luglio 2018, dopo una nuova visita al giardino del poeta, la Sica nota che il glicine è stato tagliato, “ma spuntano dal tronco le foglie / più del solito tremolanti / sta nascendo ancora qualche bel fiore” (Il glicine in fiore, pag. 87). Come questo glicine, ora che Zeichen non c’è più, ora che è “nel vento” (Valentino nel vent, pag. 23), “il suo essere si estenderà ancora” (Ivi, pag. 25).
Valentino Zeichen è stato ricoverato il 17 aprile del 2016 ed è rimasto in un letto d’ospedale per ottanta giorni, “una doppia quaresima” come l’ha definita la stessa Sica, o una doppia quarantena. Oggi è il 17 aprile del 2020 e tutti abbiamo appena vissuto Quaresima e quarantena contemporaneamente. Cosa cambia? Cambia che oggi Zeichen non viene ricoverato, oggi Zeichen è più vivo che mai, grazie anche a Tu io e Montale a cena, all’amore di una cara amica e al dialogo con tutti i lettori.
La raccolta è acquistabile qui.
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