Annie Sprinkle, Ph.D, si forma nel mondo hippie della rivoluzione culturale e rimane affascinata dalla sessualità e dalla pornografia in particolare. Da allora in poi il proprio corpo per sovvertire gli immaginari consolidati portando al grande pubblico la discussione sulla sessualità con una potente carica di ironia
Cosa c’è di tanto offensivo in un capezzolo? Cosa ha di così perturbante quello femminile tanto da meritarsi di essere censurato? Recente è la polemica legata una delle ultime foto pubblicata dal profilo Instagram dei Maneskin raffigurante l’intera band nuda censurando con delle stelline nere gli organi genitali e il capezzolo della bassista.
La questione non ruota solamente attorno alla presunta trasgressione o meno del capezzolo femminile; se la stessa foto fosse stata pubblicata da un celebre fotografo che si occupa di nudi artistici avrebbe avuto bisogno di essere censurata? Cosa c’è di tanto potente in un corpo nudo che potrebbe turbare la collettività?
La rappresentazione del nudo della storia dell’arte è stata una costante dalla Venere di Willendorf alla statuaria greco romana, passando dal Rinascimento fino alla body art e alle performance più recenti. Annie Sprinkle, ex attrice porno, regista e artista, ha utilizzato il suo corpo – nudo e non solo – per diventare, come ama definirsi, un’attivista del piacere. Questa donna combina arte e pornografia rivendicando il suo antico ruolo di puttana, utilizzando il suo corpo per demistificare l’anatomia femminile.
Compiuti i trent’anni, infatti, Sprinkle comincia a provare sempre meno interesse nel lavorare nel mondo del mercato del sesso; l’artista sente che le pellicole pornografiche divengono troppo stereotipate e appiattite ad un’ idea standardizzata della sessualità e del corpo. In cerca di un cambiamento e di una nuova direzione ma soprattutto di un ambiente che le permettesse maggiore libertà creativa, Sprinkle passa quindi dall’utilizzo del proprio corpo nel mondo della pornografia all’ambiente artistico del movimento Fluxus introdotta dal suo amico e fondatore della corrente Willem de Ridder. La componente erotica e sessuale è sempre stata una costante nel lavoro di Annie Sprinkle sin dagli esordi, ma la finalità di mostrare il proprio corpo muta radicalmente. Negli ambienti artistici, le persone avevano la possibilità di esplorare il sesso e la nudità nel mondo dell’arte. Ma poteva una pornostar, prostituta e modella pin-up esplorare l’arte nel mondo del sesso commerciale?
Quello che fa Annie Sprinkle è eleggersi pubblicamente padrona del proprio corpo dichiarandosi libera di usarlo non per compiacere, soddisfare o convenire all’uomo, ma per creare un dibattito sul piacere stesso. Quando il nudo viene decontestualizzato e non mostrato più per appagare le proiezioni altrui, il corpo diviene una vera e propria arma per lottare.
Bosom Balet del 1991 è forse una delle performance più celebri di Annie Sprinkle; una performance in cui stringe, allarga, comprime, contorce, dondola, rotola e muove a scatti il suo seno a tempo di musica contornato da una luce rosa che illumina il tutto. In risposta alla società contemporanea patriarcale che gestisce l’uso e l’esibizione dei corpi delle donne e determinando contesti e forme in cui possono essere utilizzati pubblicamente, l’apparente leggerezza del ballo delle tette ha una potentissima valenza politica. Quello che veniva anticipato dagli slogan femministi negli anni Settanta My body is My choice – Il mio corpo è la mia scelta. Indossa guanti di velluto e un tutù e ne ha fatto diverse varianti asseconda del luogo e del tipo di musica allargando il suo sguardo alla varietà dello scenario musicale mondiale. La composizione delle fotografie ricorda quell’erotismo insito nei peperoni di Edward Weston sessant’anni prima, trasformando quindi il suo seno in una scultura mobile vivente.
Come accade nel movimento Dada, la componente ironica diviene elemento essenziale per poter parlare di sessualità: si pensi alla produzione di Marcel Duchamp – Etant donnes o Il Grande vetro solo per citare alcune opere – o la creazione del suo stesso alter ego Rose Selavy. Ma non è l’unica cosa che riprende dall’artista francese: Sprinkle nei suoi lavori sin dagli esordi inserisce il corpo della donna e il piacere femminile al centro del discorso. Quello che Marcel Duchamp proclamava molto prima con la fusione tra arte e vita, con Annie Sprinkle assume una caratteristica ulteriore; non è enigmatica come Duchamp, la volontà dell’artista americana è al contrario proprio quella di divulgare le differenti vie del piacere e di questo ne fa una lotta politica ponendo il suo corpo come arma per combattere ed emanciparsi ai fini di liberarsi da una storia dell’arte occidentale dominata da strutture esplicitamente mascoline, definendo per l’appunto le sue tette come i suoi strumenti di comunicazione preferiti.
Il suo corpo diviene libero di sovvertire gli immaginari consolidati, decostruendo e ricostruendo quell’eterno femminino di cui parlava Simone de Beauvoir: un’idea di femminilità in cui la donna si ritrova incastrata a incarnare stereotipi molto diversi tra loro, dall’angelo del focolare ad amante focosa. Questa idea di femminilità polarizzata è il frutto di una potente e pervasiva costruzione socioculturale in cui incasellare la rappresentazione dell’oggetto donna. L’eterno femminino è quindi il modello a cui tutte le donne dovrebbero tendere per essere attraenti agli occhi maschili, un modello pericoloso perché, essendo di matrice sessista, impedisce alle donne di costruirsi un sé indipendente e libero dagli stereotipi di genere.
In questa ottica si comprende quindi la portata rivoluzionaria del lavoro di Annie Sprinkle con l’utilizzo che fa del mezzo artistico – fotografico o audiovisivo che sia – per veicolare la riappropriazione del corpo e utilizzandolo come strumento non solo di divulgazione ma di denuncia politica e per portare avanti il messaggio di maggiore consapevolezza verso il proprio corpo e la propria sessualità.
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