Per raccontare i miei Afterhours farò uno strappo alla regola, invece di parlarne in generale, come per le band trattate negli articoli precedenti di questa rubrica, andrò a farlo nel particolare. Quel particolare si chiama Germi, il loro primo album in italiano con cui non li ho conosciuti ma con cui li ho apprezzati nel tempo
La mia storia con gli Afterhours comincia molto tempo prima dal loro primo ascolto, ed in modo strano, ma Germi è quell’album con cui il rapporto è diventato molto più stretto.
Anche per gli Afterhours vale il discorso del “rocambolesco”, credo. Li conoscevo già da tempo, ma solo di nome, o meglio, arrivai al loro nome grazie a quelle volte in cui si sentiva parlare di Manuel Agnelli ad X-Factor. Già sapevo che fossero rock, e probabilmente avevo già sentito un loro pezzo di sfuggita, ma come mi è successo con molte band che ho scoperto in questi ultimi mesi, li ho sempre rifiutati per quella che era la mia “chiusura” verso altri generi.
Per “dovere”, prima di raccontare Germi, parlerò di come è cominciata la mia storia con gli Afterhours. Una storia cominciata con meno “intrighi” e meno “sento o non sento?”, partendo direttamente da un classico, ovvero “Non è per sempre”, ma soprattutto “Bye Bye Bombay”, canzone che ancora oggi, dopo mesi dal primo ascolto, mi colpisce, nella sua particolarità “strumentale” che si unisce ad un testo tanto facile quanto profondo e pieno di “insidie” emotive.
Rivivere l’adolescenza con Germi fu strano, perchè la stavo rivivendo da “ultra-ventenne” e di conseguenza fu come ricominciare da capo. Dovetti riabituarmi alla rabbia ed al sentirsi “ribelle”
Il motivo per cui con Germi ho un rapporto più stretto rispetto ad altri album degli Afterhours è proprio questo: il sentirsi un adolescente più maturo rispetto a quello che alla fine dello scorso decennio scoprì quel tipo di rock che accese la fiamma della rabbia adolescenziale. Insomma, prendermi e mettermi a sentire il loro primo album fu facile, soprattutto dopo che sentii la title-track, “Germi”. Fu un riaccendere quella rabbia che forse non si era mai spenta.
Sentire “Plastilina”, con la sua parte strumentale semplice ma allo stesso tempo perfetta per darle violenza e rabbia sputata dalle labbra di Manuel Agnelli, mi fece risentire adolescente, ma più maturo, più capace di prendere dentro di sé quelle tracce “rabbia e casino” che sentivo già dieci anni fa. Ma volevo di più, anzi, mancava ancora qualcosa per superare lo start ed entrare completamente nel mood, e ci pensò, con stile, “Dentro Marilyn”, la ballad, di quelle che proprio grazie agli Afterhours ho ricominciato ad amare, quelle ballad “malate”, confuse, ma che lasciano sempre un messaggio.
“Cinque pianeti, tutti nel tuo segno
Il fallimento è un grembo e io ti attendo“
Passato lo start diventò tutto più facile. Rimaneva giusto farsi trasportare da quella rabbia e divertirsi ascoltando testi confusi e maturi allo stesso tempo, rimanendo intrappolato nella vecchia e cara adolescenza
Come dicevo, mi piace definire l’adolescenza che stavo rivivendo con Germi un’adolescenza più matura, rabbia sì, ed anche tanta, ma ragionata. Ed è un po’ quello che succedeva mentre ascoltavo “Siete Proprio Dei Pulcini”, una canzone che non avrei mai apprezzato, anzi, una canzone che avrei “snobbato” durante la vera e propria adolescenza, appunto per il suo sembrare troppo innoqua e melensa. Nell’album trovai anche un “ricordo”, “Giovane Coglione”, quello che ti ricorda, semplicemente, di quanto si era appunto un “giovane coglione”.
Queste due ultime tracce, però, rappresentano alla perfezione l’adolescenza che torna ascoltando Germi: da una parte quel tipo di adolescenza della scoperta, in cui si fanno esperienze, sia negative che positive, senza rendersene conto, dall’altra quell’adolescenza “cogliona”, in cui ti rendi conto di quante occasioni si siano perse per delle stupidaggini.
In Germi si può, per così dire, giocare, anche se poco, con le tracce che possiamo definire in certi casi a “libera interpretazione”, come in “Strategie”. Ho letto tanto di questa traccia, che è quella che più mi ha fatto “uscire pazzo” tra tutte le canzone che ho ascoltato degli Afterhours, ma una volta capita, o meglio, una volta che a quel “So che lei sa” gli viene assegnato un qualcosa in particolare è fatta, ancora meglio se quel qualcosa appartiene a qualche errore fatto in passato.
La parte finale di Germi mi fece rendere conto di quanto, quel rivivere l’adolescenza, fosse solo un sogno, in tutto, anche nel immaginare come sarebbe stato suonare in una band di ragazzi incazzati
Alla fine di Germi mi resi conto di quanto tutto quel risentirsi adolescente, anche più maturo, fosse solo un sogno, e l’ho capito con “Pop (Una Canzone Pop)”. Chi come me ha cominciato a suonare uno strumento durante l’adolescenza, o prima di essa, si è sempre immaginato come sarebbe stata la vita da “musicista” ed almeno per me era tutta maleducazione e ribellione. Ecco, crescendo quel sogno è svanito, proprio per colpa del “pop”, nel suo essere “distruttore” di quella rabbia pura adolescenziale, trasformata in qualcosa di più “commerciale”.
“Muore la forma, il verbo ed il sapore
Muore il desiderio, la voglia e lo stupore
Muore l’idea di me che c’è nella tua mente
Perciò è meglio che tu non pensi a niente
Mentre ti uccido l’anima
Mentre ti uccido
Mentre ti uccido l’anima
Proprio come tutto il resto ha fatto già”
E questi sono i miei Afterhours, o meglio, quelli di Germi, un album che mi ha fatto tornare adolescente fin dai primi minuti, per poi tornare nella realtà. Un album che, purtroppo, non esisterà più, ed è forse un bene aver fatto sì che tutta la rabbia della band milanese sia stata usata in sole tredici tracce.
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