Jimmy Page, buon compleanno guitar hero!

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Il 9 gennaio del 1944, a Londra, nasceva una delle figure più carismatiche e influenti della storia del rock e della chitarra elettrica: Jimmy Page.

76 anni, la militanza in almeno due gruppi destinati al mito, sempre ai primi posti nelle classifiche dei migliori chitarristi della storia. Questi sono i numeri di Jimmy Page. Ma mai come nel suo caso i numeri non sono sufficienti a tracciare i contorni del mito.

Sì, perché Jimmy Page è molto di più che un nome da inserire in una fredda classifica: Jimmy Page è una delle più credibili incarnazioni del mito condito in salsa rock. Per i Led Zeppelin, innanzitutto; Jimmy è stato il chitarrista della band, il celebre Martello degli Dei che – partendo dove avevano lasciato i Cream di Eric Clapton – permise la sublimazione della materia blues in hard rock. Tutto il rock duro degli anni ’70, dall’hard al nascente heavy metal, forse non sarebbe esistito senza Jimmy Page; comunque, sarebbe stato diverso.

La sua fenomenale tecnica chitarristica, prima di tutto.

Allenate in anni e anni come ricercato turnista, le mani di Page erano capaci di tirare fuori qualsiasi cosa dalla sua sei corde, dal blues sofferto di Otis Rush – forse la sua massima ispirazione – al rockabilly di Scotty Moore, dal folk dei Pentangle a passaggi più pop, sempre mantenendo un tocco inconfondibile.

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Session man, si diceva, e talmente richiesto da rimandare per anni il passaggio alla responsabilità di una vera band. E del resto Jimmy guadagnava già bene, tanto da essere uno dei pochi musicisti di Londra a potersi permettere di comprare una bella casa coi compensi da turnista. La prima occasione arriva negli Yardbirds.

Eric Clapton, il chitarrista della band, è ancora troppo purista per accettare la svolta pop della band, sbatte la porta e se ne va con John Mayall.

Page tentenna, favorisce l’ingresso come chitarrista del gruppo a Jeff Beck, l’altra punta della sacra triade del british blues. Poi si pente e si ricicla al basso elettrico. Beck, per ringraziarlo dell’occasione, gli regala una Fender Telecaster di fine anni ’50, la stessa con cui Jimmy suonerà il celebre assolo di Stairway To Heaven, e su cui dipingerà un dragone cinese, prima di convertirsi alla Gibson Les Paul.

Ma anche Jeff dura poco al timone degli Yardbirds. C’è giusto il tempo per un’apparizione da culto nel bellissimo Blow Up, il capolavoro di Michelangelo Antonioni. In una delle scene più celebri, il protagonista si ritrova in un tipico club londinese del tempo dove si stanno esibendo gli Yardbirds; fa quasi tenerezza il giovane Jimmy, abiti lisergici e acconciatura da swingin’ London. E un po’ anche Beck, obbligato dal regista a spaccare la chitarra contro un amplificatore, come faceva Pete Townshend degli Who.

Il periodo degli Yardbirds con Jimmy Page alla chitarra è ancora più breve, ma è il più sperimentale. E importante, dalle loro ceneri si alzerà il volo del dirigibile Led Zeppelin, e tante intuizioni avranno compimento con la nuova band.

Il nome nascerà da una felice trovata del folle batterista degli Who, Keith Moon: “Questa band volerà in alto come un fottuto dirigibile di piombo!”

Gli Yardbirds sono completamente rasi al suolo, e con essi l’idea di chiamarsi New Yardbirds; alla batteria arriva un ragazzone di campagna, già sposato e figlio di un falegname, John “Bonzo” Bonham; un altro apprezzato turnista, John Paul Jones, si occupa di suonare tutto il resto, dal basso ai sintetizzatori, dal mandolino ai citofoni delle case discografiche. Per la voce la scelta cade su un giovanotto dai biondi ricci, quel Robert Plant che Jimmy ricorderà di aver trovato quanto mai irritante, appena conosciuto.

Manca solo un manager in grado di aprire le porte che contano: i Led Zeppelin trovano Peter Grant, un ex buttafuori che le porte, ove serva, è in grado pure di sfondarle.

Grazie a lui l’Atlantic fa ponti d’oro, firmando contratti milionari prima ancora che il gruppo debutti, ma viene ripagata. Per i primi quattro album i ragazzi non sbagliano un colpo, riscrivendo tutti i record; i lavori – fantasiosamente – sono intitolati I, II e III. Per il quarto nemmeno si sforzano di dare un numero, tutti comunque lo chiameranno IV.

Dal blues accelerato dei primi due album, zeppi di cover e – qualche volta – di plagi, il suono si sposta verso il folk e l’hard rock. Tanti successi – Stairway To Heaven, Whole Lotta Love, Immigrant Song – qualche accusa di troppo per i plagi – clamoroso quello di Dazed And Confused – e gli eccessi tipici da rockstar. In USA si spostano sul Led Zeppelin Starship, un jet privato che viene definito una cassa di gin volante.

Tra tanti alti e qualche basso, Jimmy Page entra nell’olimpo dei chitarristi rock; fa parlare anche per i suoi interessi esoterici. Lui nega, ma intanto apre una libreria a tema a Londra e acquista la villa che appartenne al satanista Aleister Crowley.

E proprio in una delle magioni di Jimmy avviene la tragedia: Bonzo, che era una gran bravo ragazzone di campagna e mal si era adattato al successo, sempre più preda dell’alcol, quella sera esagera. Risultato, muore soffocato dal suo stesso vomito.

Per i Led Zeppelin è la fine. Sostituire Bonzo, umanamente e ancor più alla batteria, è oggettivamente impossibile. Da allora – Jimmy ha appena 36 anni – inizia la fase post della sua carriera. Tante collaborazioni, dischi solisti, qualche reunion e il ruolo di faro per le nuove generazioni di guitar hero. Generazioni che si ritrovano piene di maestri ma spesso scippate del rock, che vivacchia lontano dai fasti degli anni settanta.

Jimmy Page oggi continua a suonare le sue amate chitarre e ha anche provato tante volte a convincere – evidentemente senza successo – Plant e Jones a riformare gli Zeppelin. Il suo stile ancora oggi è di ispirazione per qualsiasi chitarrista che si avvicini allo strumento.
E l’intro di Stairway To Heaven è l’unica – col riff di Smoke On The Water – a essere talmente celebre da meritare i cartelli di divieto in alcune sale prova dei negozi di strumenti musicali.

Non è da tutti.

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Andrea La Rovere
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