Kind degli Stereophonics è una delle sorprese più piacevoli di questo ultimo scorcio di 2019, almeno per chi ama il rock classico.
Da sempre associati a un brit pop di cui non hanno in realtà tutte le caratteristiche, gli Stereophonics si barcamenano tra mainstream e indie fin dal 1997. Kelly Jones, il leader della band gallese, aveva tutte le carte in regola per diventare la vera star britannica del nuovo millennio. Nome da rockstar, aspetto e soprattutto una voce alla carta vetrata per cui star di grandezza maggiore – ma non qualità – come tanti celebrati paladini brit pop, avrebbero fatto carte false.
Eppure non tutto è andato per il verso giusto, per i quattro di Cwaman. Il successo c’è stato, e pure internazionale; alcuni pezzi sono diventati evergreen, certo. Eppure la band non ha mai fatto il salto decisivo, al livello per dire di Oasis e U2. E addirittura, con l’andare del tempo se ne erano quasi perse le tracce. Kelly ha raccontato che, in preda a un blocco creativo vero e proprio, aveva pensato di piantare baracca e burattini.
Con questo Kind assistiamo a una sorta di rinascita, per quello che – a sorpresa e forse fuori tempo massimo – potrebbe essere il loro album più valido e il miglior disco di classic rock del 2019.
E anche una piccola rivoluzione. Se infatti gli Stereophonics erano sempre stati alfieri di un rock tipicamente britannico, per quanto sghembo rispetto a schemi brit pop, con Kind arriva una decisa virata verso una sorta di americana senza tempo.
Chitarre acustiche, atmosfere rilassate e testi pieni di luce e di piccole storie quotidiane. Fino alla ballata finale, quella Restless Mind che sembra uscita dal canzoniere folk di qualche cantante della profonda America, troppo facile forse dire Bob Dylan.
Kind si apre però con I Just Wanted The Goods, pezzo assolutamente in linea col tipico suono degli Stereophonics, un rock mosso quanto basta, a un passo e mezzo dalla trasgressione e con tanto di bel solo di chitarra nel mezzo.
Sono i pezzi successivi a tracciare la direzione dell’album. La bella Fly Like An Eagle, il quasi gospel di Make Friends With The Morning, la bellissima ballata Stitches che pare quasi uscire da un disco degli Stones dei primi settanta. E ancora Hungover For You, che ricorda un po’ gli Spoon, la ruffiana e accattivante Bust This Town, scelta come singolo. Giustamente.
Si frena ancora con una manciata di ballate folk rock, inframezzate dalla bellissima Don’t Let The Devil Take Another Day, che ricorda i Verve, per chiudere sulla distanza dei dieci pezzi. Né troppo breve, né troppo lungo, difetto tipico di quest’era di streaming bulimico.
Kelly Jones e soci paiono dunque aver finalmente trovato la quadratura del cerchio, con una serie di pezzi e atmosfere tagliate su misura per la voce del frontman, forse la più bella in circolazione oggi nel rock mainstream.
Certo, rischiano di essere fuori tempo massimo, considerando che gli appassionati del classic rock vecchi e nuovi preferiscono rifugiarsi nella nostalgia, a rimettere sul piatto per la millesima volta i vecchi vinili di Stones e Beatles. Mentre il pop d’alta classifica va sempre più allontanandosi dalle forme ormai vetuste del genere, per abbracciare meltin pot totalmente diversi, studiati per generazioni che vantano capacità di concentrazione che si misurano ormai in secondi.
Ma se volete ascoltare un bell’album di rock senza cedere alle sirene – a volte perigliose – della nostalgia 2.0, questo Kind fa al caso vostro, e non potreste farvi regalo più bello.
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