Lana Del Rey, madrina dell’Hollywood Sadcore statunitense, si è esibita agli I-Days il 4 giugno all’Ippodromo Snai, mentre i The Nationals al Carroponte il 2 Giugno 2024. Artisti che molto, moltissimo hanno in comune.
Milano ha dato il via all’estate musicale di Giugno con due concerti/evento: The National e Lana Del Rey. I primi si sono esibiti al Carroponte, mentre la seconda ha partecipato alla rassegna degli I-Days. Da persona che ha assistito ad entrambi gli eventi – evidentemente una persona con molti pensieri – sento di dover esprimere la mia più sincera vicinanza affettiva.
Vedere due spettacoli così intensi a poche ore di distanza è una prova emotiva notevole.
The National (definiti recentemente dal Telegraph come la band più “influente” al mondo) e Lana Del Rey sono infatti l’emblema del turbamento adolescenziale e rappresentano un fedele spaccato dell’attuale panorama musicale americano. Entrambi, a modo loro, raccontano di sogni infranti, amori perduti e speranze sfumate. Nei loro testi troverete tanto alcol, molti “fuck”, amori irrisolti, tanto sesso e qualche frase ironica. Il tutto su una base generale di tristezza ben calibrata: “Hollywood Sadcore” è il genere identificativo di Lana Del Rey, “Sad Dads” è la simpatica frase del merch dei The National, “Sad Songs for Dirty Lovers” è il secondo album dei The National, “Summertime Sadness” e “Sad Girl”, brani simbolo di Lana Del Rey. Si potrebbe andare avanti per ore con esempi di tristezza e amore a tinte USA, sempre e comunque con una buona dose di ironia.
Le due entità musicali crescono con uno sfondo newyorkese. Lana Del Rey di nascita, i The National invece, dopo la parentesi Cincinnati, iniziano la loro carriera musicale nella Grande Mela. Tra loro c’è anche affinità sul piano politico. Lana Del Rey è apertamente anti-Trump, così come i The National che hanno sfruttato l’evento milanese per sottolinearlo. Prima hanno riso di lui con un aneddoto divertente, poi hanno dedicato “Mr. November” a Joe Biden, come un tempo fecero con Barack Obama.
Lana Del Rey ha inoltre espresso il desiderio di collaborare con i The National, i quali, per ora, hanno preferito lavorare con Taylor Swift. Comprensibile, visto il successo attuale di Taylor Swift.
Recentemente entrambi sono stati protagonisti del recente Primavera Sound. Da anni la loro presenza tra gli headliners suscita critiche e polemiche. I The National sono tornati dopo solo due anni dall’ultima “fiacca” apparizione e, come al solito, aprono una diatriba tra fan sfegatati e il pubblico tipico dei festival che li considera troppo “lenti” per essere headliner. Sentimento simile accompagna gli show di Lana Del Rey, che all’ultimo Primavera Sound è riuscita a farsi odiare ancor di più dai presenti, arrivando con 25 minuti di ritardo, con un audio pessimo e uno show “distaccato e noioso”.
Sì, la parola più abusata dai loro haters è proprio questa: “noia”.
Con queste premesse fantastiche mi sono avvicinato a entrambi gli eventi con una giusta dose di entusiasmo e curiosità.
Il primo elemento valutativo è il paragone naturale tra le fanbase: per i The National un esercito di cappellini e felpe nere, con un’età media over 25; per Lana Del Rey, 67.000 anime vestite di bianco, con corpetti in pizzo, corone di fiori e una forte presenza femminile. Entrambi i concerti hanno la capacità di coniugare millennial e Gen Z. Apparentemente diversi, entrambi i popoli sono lì per lasciarsi andare ed eventualmente emozionarsi.
I The National hanno iniziato puntuali alle 20:59, mentre Lana Del Rey è salita sul palco con soli 10 minuti di ritardo, sotto le note de “Il Padrino”. Dopo poche canzoni è chiaro che le critiche trovano poco fondamento, entrambi hanno potenti mezzi per esorcizzare la noia e trasformarla in emozione. I The National grazie a code sonore potenti e canzoni intense, mentre Lana Del Rey ammalia il pubblico con balletti, coreografie ed un esercito adorante di fan.
I The National sembrano più intensi e “lenti” rispetto al passato, ma sanno creare il pathos necessario per uno show di due ore. I fratelli Dessner, alle chitarre, sono perfetti, si muovono in sincronia alzando le chitarre al cielo o alternandosi in assoli distorti. Quando un brano diventa troppo lento, lo dividono in due parti, creando finali corposi grazie agli applausi a tempo del pubblico o ai fiati che danno corpo al finale.
Lana Del Rey, invece, è musicalmente lieve, si affida a ballerini, lap dance e video del passato. Tre coriste creano un impatto potente con virtuosismi perfetti da soul americano e spesso sovrastano la voce principale, soprattutto durante i ritornelli.
Entrambi i concerti sono costruiti con una scaletta ben bilanciata che alterna brani nuovi e hit del passato, mantenendo il pubblico sempre coinvolto. “I Need My Girl” viene suonata quasi subito dai The National, così come “Summertime Sadness” e “Born To Die” per Lana Del Rey. Anche le nuove canzoni superano la prova del pubblico. “Smoke Detector”, con gli urli di Matt e la chitarra distorta, è una delle migliori performance del concerto. Allo stesso modo, “Did You Know That There’s a Tunnel Under Ocean Blvd” è stato un momento cult della serata di Lana Del Rey, con lei seduta accanto alle tre coriste che creano uno sfondo trascinante dando nuova veste al brano.
In ogni caso, l’elemento imprescindibile dei due concerti è il carisma del frontman. Due frontman eleganti e perfetti esteticamente: lui in abito scuro, lei con un vestitino abbinato a stivali brillantinati. Matt Berninger e Lana Del Rey hanno un dono divino, una vocalità che riconosci dopo pochi secondi e che canzone dopo canzone non smette di stupire. Ci sono stati alcuni momenti del concerto dove le loro voci erano isolate, senza base, senza effetti, lasciate pure. In quei momenti si riusciva a percepire il silenzio di migliaia di persone completamente rapite dal loro timbro. Matt Berninger cavernoso, perfetto anche quando volutamente alza la tonalità perdendo fintamente il controllo vocale. Lana Del Rey invece delicata, soave, una delle poche che riesce a perdersi in vocalizzi senza risultare stucchevole.
L’intensità vocale si riflette in due atteggiamenti completamente diversi sul palco.
Matt Berninger è un perfetto performer, si muove, si dimena, lancia cocktail per aria, si butta tra la folla, mima i versi delle sue canzoni. Lana Del Rey, invece, si limita a passi composti, alterna canzoni eseguite seduta a canzoni cantate stando immobile in piedi, senza mai concedersi troppo. L’unico momento disruptive è stato un improvvisato passo di pole dance, che ha provocato un boato tra i presenti.
I due danno il meglio (ovviamente) nelle canzoni lente e profonde. Il leader dei The National si “autoabbraccia”, mentre Lana Del Rey avvicina la mano sinistra al microfono, come per simulare un qualcosa detta a bassa voce. Due gesti naturali che riflettono una volontà di portare intimità anche in una platea di fan assatanati.
Il finale dello show è hollywoodiano.
La chiusura di entrambi i concerti è affidata a brani cult, divenuti anche colonne sonore famose. “About Today” è presente nel film “The Warrior”, mentre “Young and Beautiful” è il brano simbolo de “Il Grande Gatsby”. La potenza dei due brani arriva impetuosa sui fan. Matt Berninger la interpreta nel famoso “autoabbraccio”, cantando il ritornello finale da solo, senza base, un attacco mirato al cuore dei presenti. Lana Del Rey aggiunge un velo al suo vestito, le coriste la supportano e, con un semplice “thank you”, abbandona il palco mentre le ballerine aprono champagne e salutano il pubblico.
Due interpretazioni molto diverse, unite da un intento emotivo condiviso. Il saluto di Lana è sfuggente, da diva. Il saluto dei The National è “Vanderlyle Crybaby Geeks”, con Matt che non canta ma dirige il pubblico, muovendosi a tempo con la canzone mentre rivolge il microfono ai fan .
Due finali diversissimi per due realtà musicali che racchiudono accuratamente l’esigenza emotiva ed il trasporto tipico di questa tipologia di concerti. Che tu abbia indossato un cappello con scritto “Sad Dads” o una corona di fiori, è difficile pensare che non ti sia emozionato. A volte serve proprio questo. Una dolce sofferenza, voluta, desiderata. Dopotutto, passione significa etimologicamente proprio questo.
Ha piovuto prima e dopo i due concerti, prima per creare il giusto mood, poi per lasciarti ancora più colpito. Come a confinare lo stato emotivo, alternando pioggia fisica e pioggia emotiva.
Oggi il sole splende su Milano, gli ospiti americani se ne sono andati e l’estate può finalmente iniziare, libera da tutto, con i suoi sorrisi e la sua spensieratezza necessaria.