Give it Back, Pinepple Thief: recensione

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I Pineapple Thief tornano dopo due anni d’attesa con un “nuovo” album in studio, Give It Back è infatti una raccolta di brani del passato della band rimmaginati in funzione del batterista Gavin Harrison, che ormai milita tra le file del gruppo britannico dal 2016.

L’idea di riscrivere pezzi del passato in chiave contemporanea non è una cattiva idea, una band come i Pineapple Thief può vantare un numero di fan enorme che ben volentieri apprezza l’idea di riascoltare pezzi del passato e rinnamorarsene. Give It Back può essere una mossa da parte di Bruce Soord, leader della band per regalare ai fan un’esperienza indimenticabile (di nuovo), riuscirà mai nel suo intento?

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la copertina di Give It Back, i vecchi singoli dei Pineapple Thief che si mettono le mani in faccia come per dire: “Oh no, Che cosa avete fatto di noi?”

Give It Back non ha un buon inizio…

Give It Back non parte molto bene, Wretched Soul è un remake che prende il post-rock lineare di 10 stories down (2005), quello stile alla Editors, White Lies e lo traduce in un rock-metal-progressive, con tanto di blast beat ad un certo punto. Le uniche cose positive del pezzo sono la grande abilità musicale mostrata dai Pineapple thief e la pulizia e suono eccellente del mix (specialmente la batteria), abilità sprecata in un pezzo dove tutte le dinamiche stabilite dal pezzo originale vanno a perdersi, in favore della monotonia, strana scelta.

Passiamo oltre, Dead in The Water, il pezzo originale di Little Man (2006), parte con un interferenza di chitarra che in fretta diventa un ritmo sul quale poi si genera il pezzo, i Pineapple Thief attraverso l’uso massiccio di effetti su chitarra e voce ci portano in un trip psichedelico. il remake di Give it Back inizia allo stesso modo, solo che il ritmo dell’interferenza viene subito sostituito da Gavin Harrison alla batteria ed il pezzo continua a seguire la stessa struttura dell’originale ma con molta meno effettistica e pathos, in pratica si trasforma in una ballata molto classica e purtroppo molto noiosa.

Forse stiamo guardando Give It Back da una prospettiva sbagliata…

Bene ora siamo arrivati al pezzo forte, la title track, Give It Back. stavolta usiamo un approccio diverso, pensiamo al pezzo come a qualcosa di a se stante, come se I Pineapple Thief non avessero mai prodotto una versione passata. Facendo così ascoltiamo un pezzo molto ben costruito, si sentono influenze Tooliane già dall’intro e dall’eccellente suono di basso di Jon Sykes. Il brano è coinvolgente, ottimi cambi di dinamica, un bellissimo crescendo nel bridge centrale, con tanto di accompagnamento d’archi. Give It Back va forte! Allora perchè questo livello non è riscontrabile nei pezzi precedenti?

Ci si ritroverà spesso a dover fare altri confronti con un passato migliore più coinvolgente durante l’ascolto di Give It Back, sono pochi i pezzi che ci faranno dimenticare le versioni precedenti dei brani dei Pineapple Thief. I pochi sono però molto buoni come 137 con i suoi ottimi cambi di atmosfera e dinamica o Someone Pull Me Out con l’ottimo utilizzo dei tempi dispari, che sottolinea ancora la grande abilità dei musicisti.

E’ proprio quest’abilità la costante onnipresente in ogni brano di Give It Back, una buona cosa per i fan dei Pineapple Thief che li stanno vedendo dal vivo di nuovo finalmente. Infatti molti di questi pezzi rimmaginati sono entrati de facto nella loro scaletta e vista la bassa presenza di effetti ed elettronica la resa dal vivo è ottima, il loro tour Europeo del 2022 è finito e dovrebbe concludersi a Giugno in America.

Give it Back, Pinepple Thief: recensione 2
L’attuale formazione dei Pineapple Thief

In conclusione, Give It Back è un “album” che ha già reso felici molti fan durante questo tour del 2022, è ben suonato e mixato e rende moltissimo dal vivo. Detto questo I Pineapple Thief avrebbero potuto sforzarsi di più nel riarrangiare i pezzi, la maggior parte di essi nel perdere la loro passata identità non ne acquisiscono una nuova interessante alla pari o di più, piuttosto si ritrovano ad essere un po’ vuoti e generici.

Eugenio Gabrielli
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