Rick Wakeman, A Gallery Of The Imagination: recensione

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Che cosa vi viene in mente quando si parla di progressive rock? Così, a primo pensiero? Sicuramente lunghe suite strumentali, testi che vanno dal filosofico al fantascientifico, una chiara commistione di generi per un calderone ribollente e vari “maghi” che lo circondano.

L’Italia ha fatto la sua parte in maniera più che egregia, basti pensare a band come Orme, PFM, Goblin, Banco del Mutuo Soccorso, Area, Osanna e così via, ma il cardine di tutto questo spettacolare movimento corrisponde alla cara vecchia Inghilterra.

Terra natia di band leggendarie come King Crimson, Genesis, Yes, Camel, Caravan, Soft Machine, Jethro Tull e chi più ne ha più ne metta! Però ci siamo scordati di citare una cosa quando si parla di prog nel senso più ampio del termine, ovvero le tastiere.

Ma niente paura perché c’è qui l’ultimo album dello straordinario Rick Wakeman, famoso per la militanza in band come Strawbs e Yes per non parlare delle collaborazioni con Cat Stevens e David Bowie giusto per dirne un paio, battezzato “A Gallery Of The Imagination”, in uscita per MADFISH il 24 febbraio 2023.

Qui composto e portato alla luce grazie agli elementi della English Rock Ensenmble, ricordiamo che tra questi troviamo anche il bassista Lee Pomeroy che ha diviso il palco con Steve Hackett per la sua “operazione” Genesis Revisited ed anche con gli stessi Yes in occasione del loro ingresso alla Rock and Roll Hall of Fame.

Potrei andare avanti ancora mezz’ora a fare tutte queste elucubrazioni, ma preferisco far parlare il mitico Rick e la sua musica di A Gallery of the Imagination!

Hidden Depths: eleganti note di pianoforte si srotolano dinanzi all’ascoltatore facendo ritornare alla mente gli echi dei film di James Bond. Ma ovviamente non si può mai sapere che cosa succederà quando, dietro ai tasti bianchi e neri, si muovono le mani di un gigante del prog come Wakeman. L’elettricità ritorna a pieno ritmo, in A Gallery of the Imagination con quella spruzzata di anni Ottanta e momenti corali per un mix che non guasta mai, ed il pianoforte “muta” in ben altri suoni.

The Man In The Moon: primo brano cantato del disco retto da una elegante e suadente voce appartenente a Hayley Sanderson, conterranea del tastierista e vocalist di un tributo ai Pink Floyd denominato Think Floyd. Gli echi della storica band inglese possono avvertirsi anche abbastanza chiaramente, soprattutto nei momenti più eterei, anche se sono “localizzati” maggiormente nel periodo Eighties.

A Mirage In The Clouds: non è facile da dire perciò lo dirò così come mi viene. Naturalmente prendete le seguenti righe con le dovute pinze del caso. Questo “miraggio tra le nuvole” ha un sapore decisamente diverso, dove la Sanderson riesce a muoversi in maniera davvero agile e sinuosa. In alcuni passaggi potrebbe anche andare a ricordare i Police più intimi, soprattutto per gli armonici di Dave Colquhoun, oppure il Mike Oldfield più anni Ottanta (stile “Moonlight Shadow” per intenderci).

Rick Wakeman, A Gallery Of The Imagination: recensione 1

The Creek: a volte anche i giganti del prog scendono dal loro trono di tastiere su tastiere, e di questo Wakeman è un simbolo assoluto assieme ai suoi costumi di scena degli anni Settanta, e scelgono di sedersi al pianoforte per tessere le loro note sui tasti d’avorio. Una cosa del genere la vidi, oramai qualche anno fa, a Trento quando il buon vecchio Rick decise di passare in Trentino per un suo show per piano solo.

My Moonlight Dream: gli anni Ottanta si fanno sentire pesanti come macigni, ma sempre a proposito di “rocce”, non bisogna dimenticare che qui si è al cospetto di uno dei più noti tastieristi del prog della Terra d’Albione. Che vuol dire quindi? Che se la chitarra culla le melodie scaturite dai tasti bianchi e neri di Wakeman, è il biondo a tenere in piedi lo show con dei virtuosismi che riportano la mente indietro fino ai gloriosi tempi di “The Six Wives of Henry VIII” (ambiziosissimo concept album e sua seconda fatica come solista). Il cantato c’è, ma l’impatto è decisamente minimo.

Only When I Cry: avete presente quei titoli che dicono praticamente già tutto della canzone? Se vi piace la musica strumentale, magari quella più virtuosistica come insegna un tale Joe Satriani, allora questo brano vi farà immaginare il “probabile” mood nel quale si trovava il tastierista britannico.

Rick Wakeman, A Gallery Of The Imagination: recensione 2

Cuban Carnival: come a voler andare in una direzione palesemente opposta alla traccia precedente, questo “carnevale cubano” tira fuori un’insieme di atmosfere che sembrano un mix tra la sagra di paese ed i giri da sala di “lissio”. Ma come il prog insegna, questa è solo un’altra illusione che prende tutto quello che, in maniera decisamente snob e pure un po’ radical chic, andremmo a definire come “musica da ascensore” (o se volete “musica di m …”) e lo trasforma in un esperimento sonoro davvero interessante. Anzi, forse è meglio dire inaspettato!

Just A Memory: con molta probabilità, dal ventenne più malinconico al sessantenne più riflessivo, più o meno tutti si sono trovati in quella posizione di fare i conti con il proprio passato. Anzi, per essere più precisi, con un ricordo o un rimpianto. Come sarebbe potuta finire? Ci saremmo comportati in maniera diversa con il senno del poi? La nostra vita sarebbe stata diversa? Beh, difficile dirlo, adesso è “solo un ricordo” ed il piano di Wakeman è qui apposta per metterci in tale mood.

The Dinner Party: tutti a tavola che la cena è pronta! Un brano che è un assaggio pantagruelico di pietanze tastieristiche di cui il buon Rick è chef indiscusso. Sicuramente è uno dei brani più belli, o almeno che mi sono piaciuti di più, di tutto il disco e che mi ha fatto schiacciare il tasto “Repeat” ben più di una volta. Maestoso, un po’ pomposo, ma irresistibile, del resto questo è quello che attende i commensali, pardon gli ascoltatori, quando si trovano di fronte ai “prodotti” firmati da Wakeman.

A Day Spent On The Pier: avete mai provato a passare qualche minuto sopra un molo? Magari guardando le acque del mare o del lago che mutavano di intensità e colore al soffiar del vento? Beh, se così fosse, allora la prossima volta che ci andate mettetevi questa traccia come sottofondo e lasciate che la mente vaghi allo sciabordio delle onde. Qui le tastiere si fanno quasi “liquide”, un po’ come l’acqua che circonda tutta la canzone, ed un’atmosfera nostalgica farà il resto. Diciamo fra una canzonetta per bambini dei tempi andati e qualche melodia degli anni Cinquanta per intenderci.

The Visitation: un’influenza su tutte, soprattutto per la Sanderson, qui sembra essere la cara Kate Bush, “tornata in auge” grazie alla quarta stagione di Stranger Things, anche se la voce qui si fa decisamente da parte e lascia spazio alla maestria strumentale di corde, tasti e pelli.

The Eyes of a Child: un tocco barocco non manca mai quando si parla di Wakeman e quindi, puntuale come la campana che segna il mezzogiorno, eccolo qua! Una chiusura in punta di piedi per A Gallery of the Imagination, ma che fa apprezzare ancora meglio l’intero disco.

In conclusione, che cosa possiamo dire di questo “A Gallery Of The Imagination”? Sicuramente potrebbe mettere d’accordo sia chi preferisce atmosfere più anni Ottanta che gli amanti del prog, anche se questi ultimi potrebbero uscirne leggermente “delusi”, ma è questo il gioco. Magari si sarebbe potuto osare di più nel territorio tastieristico, ma a Rick si perdona tutto perciò dateci un bell’ascolto e poi sappiatemi dire!

Vanni Versini
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