Being funny in a foreign language: i The 1975 e l’addio all’isola che non c’è

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L’ultimo album dei The 1975Notes on a conditional form – uscito quasi due anni fa, è stato poco apprezzato: sperimentale, sicuramente innovativo, ma privo di un filo logico che lo rendesse riconoscibile, coerente. Questo Healy lo sa, è uno dei pochi errori che è disposto ad ammettere di aver commesso, anche se fortunatamente lo rifarebbe.

Being funny in a foreign language già dai primi singoli palesa il suo oggetto: nel pieno dei trent’anni, anche gli artisti più bohemien sono costretti a “mettere la testa a posto” e non fa eccezione il frontman dei The 1975 che si ritrova a guardare all’amore superando i limiti della coolness.

L’amore, la famiglia e la stabilità diventano punti di domanda che pesano sempre di più e anche Healy non è immune: “Sono argomenti che per forza di cose non sono sexy – ammette con Lowe nell’intervista lunga più di un’ora in cui si racconta al tastemaker più in voga della nostra epoca – ma devo cominciare a fare i conti col fatto che la realtà non è sempre sexy e divertente”.

Dal punto di vista tecnico, è imprescindibile parlare di produzione. Dopo la separazione con il produttore originale, seguita da vari tentativi di autoproduzione non del tutto efficaci, la band questa volta lavora in collaborazione con Jack Antonoff – già produttore di Taylor Swift, Lana Del Rey e chiunque si rispetti in circolazione. Si può parlare senza imbarazzi di geni che si incontrano quando si descrive la collisione della sua maestria con la penna di Healy e le melodie di Hann, Daniel e MacDonald.

The 1975, la traccia iniziale omonima in tutti i progetti della band, si apre con un quadro della generazione che da sempre i The 1975 raccontano perfettamente come solo chi la guarda da fuori sa fare. “I’m sorry if you’re living and you’re seventeen” – cantano – dispiacendosi per chi si sta formando in un’era in cui viene glorificata la mancanza di sanità mentale e fisica, in cui i giudizi sul corpo sono sempre più pungenti e l’apparenza comincia a diventare perno delle vite anche dei ragazzi più giovani.

Nonostante le critiche che non manca di fare ad ogni occasione, Healy è sempre stato molto attento alle voci dei giovani. Interagisce con i fan teenager senza problemi, ne condivide i memes e le catchphrases sui social: sin dall’inizio ha sottolineato come le nuove generazioni siano molto più vispe di come non sembrino e quanto in realtà li reputi degni di fiducia.

“Niente che non sia nuovo ha mai cambiato la cultura – dichiara – e i giovani sono sempre al fronte dei cambiamenti culturali”. È difficile essere giovani ora, ma per tanti versi è complesso essere giovani sempre: “I’m sorry about my twenties, I was learning the rope”, aggiunge infatti la seconda strofa. Cresciuto, Healy è in grado di guardare indietro molto più criticamente: racconta nelle varie interviste della sua ambizione a “scrivere seriamente” fin da ragazzo, ironizzando su come non si possa fare niente in modo serio a vent’anni perché non ci si conosce.

Happiness è stato il secondo singolo: molto più apprezzato dal pubblico nonostante non abbia riscosso grande successo, perché è molto più movimentato e meno critico del primo. “Show me your love, why don’t you?” è il ritornello che tormenta e ricorda i The 1975 di Girls e Chocolate: il testo parla dell’euforia dell’inizio di una relazione, quando si sa di aver trovato la persona giusta.

Secondo brano dell’album, è il primo ad illustrare veramente quello che sarà il filo conduttore di tutti gli altri pezzi: questa relazione che per la prima volta è seria, la volontà di Healy di accettare quei sentimenti che obbligano a mettersi a nudo e di confessarsi innamorato come un ragazzino, ma con le intenzioni di un uomo.

Looking for somebody (to love) è uno dei brani più forti dell’intero nuovo progetto dei The 1975: ritmato e coinvolgente, con gli inconfondibili sintetizzatori e il basso è un altro brano perfettamente in linea col loro stile e il rimando anni ’80 marcato, ma sempre reso attuale. Con quei rimandi a persone-che-fanno-cose un po’ ‘a la Rino Gaetano, è stato fin dall’uscita dell’album particolarmente apprezzato dai fans e non è stato afferrato quanto sperato il significato ben poco allegro che si cela nel testo: la canzone vuole riflettere infatti sul fenomeno delle sparatorie nelle scuole. 

Part of the band è stato il primo singolo scelto dai The 1975: uscito lo scorso 7 luglio con poco preavviso e seguito subitissimo da un video incomprensibile in bianco e nero, il brano racconta di apparenti fantasie oniriche, ma nelle quali si cella – in perfettamente coerente stile Healy – una critica alla società del politically correct e dell’apparire. Healy descrive il brano come una collezione di estratti dal suo diario, che tiene da quando aveva 13 anni e che gli ha permesso di concentrarsi molto sia su se stesso che sulla band (che proprio a quei tempi ha esordito – nei migliori garages del Cheshire).

Il brano viene seguito immediatamente da Oh Caroline, dal sound spiccatamente pop, è una canzone dal testo molto più superficiale rispetto a quanto sono abituati, ma ciò è quanto speravano: Caroline è un’idea, la canzone vuol essere un brano universale che fa riferimento a un sentimento comune e facile a tutti da afferrare. Oh Caroline vuol essere un brano che tutti possono cantare e apprezzare, ballando a un concerto o cantando sotto la doccia, pensando ognuno alla sua Caroline.

I’m in love with you – terzo singolo – è uno dei brani più belli dell’album. Il video, uscito subito dopo, riprende il filone iniziato con A change of heart che vede due pagliacci innamorati lasciarsi e riprendersi tramite ironiche coreografie. È un singolo di qualità: arriva dritto al punto, racconta con le uniche parole che si possono utilizzare quel momento in cui si prova così tanto amore che lo si vorrebbe solo urlare a squarciagola per tutto il giorno.

L’ultimo singolo prima dell’uscita dell’album è stato All I need to hear. Un brano profondo, intenso, che riflette le nuove priorità del frontman: non è più un ragazzino Matty Healy, come ha già accennato in diverse interviste, e sta cominciando a “mettere la testa a posto”. Il suo rapporto col successo, da figlio d’arte, è stato fin dall’inizio complesso: ironizza da sempre sul suo narcisismo, su quanto voglia essere amato ed acclamato, ma sa anche di essere andato vicino a perdere tutto anche a causa della vita sregolata che conduceva durante il tour e le rinunce che la fama gli ha imposto nella sua vita privata.

“Don’t need the crowds and the cheers, tell me you love me, that’s all that I need to hear”

La musica è sempre riconoscibile, a differenza degli ultimi due album sperimentali è chiaro che vi è un ritorno ai primi The 1975, ma non suona mai come una brutta copia. Su questo sound ha ancora tanto da dire Matty, che si lascia andare a lunghe riflessioni per far sì che chiunque ascolti capisca che cosa sta dietro a quei riff di chitarra che li caratterizzano. Crescere come musicisti a Manchester significa portare il peso di stare sulle spalle di giganti: mentre prima l’industria ricercava e valorizzava chiunque portasse novità, nel tardo 2000, quando i The 1975 si sono formati, vi era attenzione solo per chi si adeguasse all’affermato “Manchester sound”.

Per chi, come loro, desiderasse dare nuovi apporti alla musica, non era facile essere ascoltati. Figlio d’arte, Healy viveva nel privilegio: mettere su una loro casa discografica gli costò più che altro uno sforzo intellettuale, così come farsi la gavetta aprendo per band emergenti più famose di loro finché qualche fan non ha caricato su Youtube un loro set, lanciandoli e rendendoli la nuova patata bollente del North England.

Come tutti gli artisti inglesi che si rispettino, anche l’identità dei The 1975 sia di persone che di band si basa molto sull’attaccamento alla madrepatria e alla città di nascita e formazione. Hanno provato a spostarsi a Los Angeles, ma sono tornati indietro di corsa: il ritorno a casa con le sue controversie è oggetto di Wintering, che parla del temuto cenone di Natale. Sentite una base famigliare? Vi risparmiamo il tormento: sì, è Dancing with myself di Billy Idol.

Human too si contrappone malinconicamente alla precedente ironica Wintering, offrendo un altro esempio di ballad al piano che hanno perfezionato ai tempi di Be my mistake. Un brano sicuramente ben fatto che però risulta forse poco nuovo, forse risentendo anche della posizione all’interno del progetto. Se ne apprezza sempre la penna, che non lascia spazio alla vulnerabilità o a dubbi.

Qualunque brano, d’altronde, risulterebbe banale e debole se seguito da About you: la canzone più potente dell’album, che è infatti stata concepita come continuo di Robbers. Nessuno si è ancora ripreso dal grande successo del 2014 che ha segnato le personalità di tutte coloro che hanno vissuto l’era Tumblr godendo del moodboard completo: calze a rete, cotta platonica, bullismo e mascara sbiadito. Qualcuno aveva chiesto una seconda parte? Qualcuno aveva voglia di riprendere a frignare? No, eppure, eccola qui. George insiste sul fatto che Being funny in a foreign language non sia il loro Guerra e Pace: nel complesso probabilmente no, ma questo brano singolarmente è almeno una degna Anna Karenina.

When we are together è il brano di chiusura, un altro spaccato di vita di una coppia con le sue piccole cose (alcune tenere, alcune meno, quasi tutte in chiave ironica). Ci si sforza di pensarli simili a noi, anche se FKA Twigs e Matty Healy sono tra i più eccentrici e geniali artisti che il panorama musicale odierno offre ed è complesso immaginarseli passare il tempo a fare cose normali come guardare le mucche dal finestrino. Eppure, è impossibile essere saggi quando si è innamorati: l’album chiude la sua rappresentazione del grande amore con la cosa più bella che ci sia, la libertà di essere stupidi insieme.

È cresciuto sì Matty Healy e, tra le tante polaroids che questo album offre sulla sua vita, si scorge una flebile morale che gli è costata tutti i suoi anni di vita e qualche cazzata durante il percorso: ci vuole un adulto per saper essere giovane.  

Giulia Scolari
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