The Elephants of Mars è il nuovo LP del leggendario Joe Satriani, in uscita per EARmusic l’8 Aprile 2022.
Non è facile descrivere un chitarrista come Joe Satriani. Un maestro per una moltitudine di altri esimi colleghi (come Steve Vai, Larry LaLonde dei Primus oppure Kirk Hammett dei Metallica), una presenza fissa per i vari G3 dedicati al mondo della chitarra elettrica più virtuosa ed un musicista che ha prestato il suo talento anche a band ed artisti come Deep Purple, Mick Jagger ed Alice Cooper giusto per dirne un paio.
Molto interessante poi è la sua esperienza con il super gruppo dei Chickenfoot costituito da due ex membri dei Van Halen (Sammy Hagar alla voce e Michael Anthony al basso) ed uno dei Red Hot Chili Peppers (Chad Smith alla batteria occasionalmente sostituito in live da Kenny Aronoff).
Un amore sconfinato per la moglie Rubina, spesso omaggiata in vari brani tratti dai suoi dischi, e quasi una ventina di album in studio all’attivo. Tra scienza, mitologia, fantascienza e fumetti, siamo dunque arrivati al diciottesimo disco che prende il curioso nome di “The Elephants of Mars”.
Come suonerà? Il nostro chitarrista italo americano preferito ce l’ha fatta ancora una volta? Beh, a questo punto direi che non dobbiamo perdere altro tempo in chiacchiere e lasciare che sia la sua chitarra a parlare. Vai Maestro!
Sahara: che cos’è il deserto? Una distesa enorme di sabbia dove, sotto ad un cielo stellato, volteggia la chitarra elettrica di Satriani che riesce a destreggiarsi tra ritmi tribali, sonorità arabe e giri virtuosi con un uso sapiente della leva.
The Elephants of Mars: David Bowie si chiedeva se ci fosse vita su Marte e Satriani risponde a modo suo. Le atmosfere qui si fanno decisamente più prog e pesanti, sia come il passo dell’animale di riferimento che come il Pianeta Rosso, per poi concedersi degli stacchi con uno stile decisamente lo – fi.
Faceless: una power ballad in pieno stile anni Ottanta, del resto è lì che il nostro mago della sua corde ha fatto conoscere il suo talento al mondo, come solo lui riesce a fare senza creare un effetto di “già sentito” o di “la faccio anni Ottanta perché fa figo”.
Blue Foot Groovy: come dice il titolo del brano qui il groove si fa sentire molto bene, al pari di accenti blues davvero marcati, per poi unirsi in un calderone che sprizza elettricità ad ogni scoppiettio. Per gli appassionati, provate a mettere questo brano in coppia con “The Mystical Potato Head Groove Thing” (tratto dall’eccezionale “Flying in a Blue Dream” del 1989).
Tension and Release: anche qui il risultato sonoro è l’esatto significato del titolo. Potremmo quasi dire che è uno dei pilastri sui quali si poggia la musica per chitarra, un alternarsi di tensioni e rilasci che si spinge nella costante ricerca di nuove sonorità.
Sailing the Seas of Ganymede: secondo voi questo pezzo tratta più del satellite di Giove, dall’asteroide o del personaggio mitologico dal quale prende il nome? Secondo il mio modesto parere si fa più riferimento allo spazio (un tema caro a questo chitarrista), ma nulla esclude una possibile “interferenza” dell’antica Grecia.
Doors of Perception: molto probabilmente la citazione che qui si sta facendo è di William Blake, quando le porte della percezione si apriranno tutte le cose appariranno come realmente sono, infinite, che poi è la stessa che ha portato alla creazione dei Doors. Qui il suono di sitar, o della sua versione elettrificata come ci insegna la Danelectro e pure Pat Metheny, si unisce alla vorticosa Ibanez di Satriani per un risultato da figlio dei fiori folgorato dalla magia delle sei corde.
E 104th St NYC: jazzy e di classe, come a voler dire che non serve andare ai diecimila chilometri orari per dare vita ad un bel pezzo pieno di ritmo e passione. Da notare anche il particolare effetto che dà il basso fretless unito alle tastiere.
Pumpin’: ti piace il funk? Ti piacciono i Vulfpeck? Ti piacciono le sonorità al limite con il prog e la pschidelia? Se la tua risposta è sì, allora, questo è il brano che fa al caso tuo. Ascoltalo a tutto volume!
Dance of the Spores: prog, prog ed ancora prog. Se siete appassionati di Dream Theater, Flower Kings, Opeth e simili esponenti del progressive moderno, allora cogliete voi tutte le varie citazioni e riferimenti.
Night Scene: in questo disco, a Satriani, è salita la scimmia del groove. Una scimmia che lui però riesce a domare ed a portare esattamente nella direzione voluta con il suo personalissimo stile tra arpeggi intricati, wah wah a manetta e bending che sfiorano l’atmosfera.
Through a Mother’s Day Darkly: strane parole si fanno spazio tra i tapping vorticosi, i riff assassini e lo sweep picking più veloce, questo è forse il pezzo più scatenato dell’intero album.
22 Memory Lane: molto probabilmente qui si riprende il discorso iniziato con “Black Swans and Wormhole Wizards” (più precisamente con la tenera ballad “Littleworth Lane”) dove il chitarrista ha deciso di omaggiare la sua casa d’infanzia. In effetti qui l’effetto nostalgico e malinconico, pur con le sue note spensierate, ci sta tutto e spinge l’ascoltatore a premere ancora ed ancora il tasto di repeat.
Desolation: la chitarra di Mr. Satch qui è un po’ stanca, quasi a voler chiudere un viaggio interstellare fatto di note ed effetti a pedale, e cerca il suo personale attimo di quiete. Da ascoltare “sottovoce”.
In conclusione che cosa si può dire di questo “The Elephants of Mars”? Prima di tutto, i fan del caro Joe, avranno notato che qui, stranamente, non era presente il solito piccolo brano in acustico da un minuto scarso fatto appositamente da Satriani per ispirare gli ascoltatori ed in particolar modo i chitarristi. Ma è una questione secondaria. La cosa che più colpisce è la fantasia di un chitarrista che, ancora oggi, riesce a tirare fuori un album strumentale senza che questo risulti ampolloso o ripetitivo. Un disco inaspettatamente, per i detrattori, pieno di risposte ed ispirazioni variegate. Sei grande Satch!
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