Ermal Meta torna in pista con Tribù Urbana, un album che miscela modernità musicale e tradizionalità autoriale. Un pop d’autore perfettamente calibrato, in cui vengono maneggiate storie di vita intense alla ricerca di verità personali.
A tre anni di distanza dall’ultimo album in studio (Non Abbiamo Armi), Ermal Meta torna a raccontare e raccontarsi attraverso undici brani inediti, tra cui Un milione di cose da dirti, brano in gara al 71° Festival di Sanremo, e No Satisfaction, singolo attualmente in radio. Tribù Urbana è un delicato valzer sui sentimenti, un manifesto di esperienze, un progetto realizzato con classe e sobrietà, un disco onesto, che spazia musicalmente dal pop-rock alle ballad più autentiche.
La sua penna, così viscerale e così diretta, diventa l’osservatorio privilegiato da cui guardare senza filtri il mondo che ci circonda.
Ermal Meta è tutto e tanto. Non lo definirei un cantautore puro, quello piano e voce o acustico, per intenderci. Perché mi parrebbe di andare a sminuire quel suo lato colmo di esibizioni teatrali e magniloquenti. Lui è un animale da palcoscenico con l’arte del songwriting. Un artista completo, i cui risultati sono arrivati dopo una lunga gavetta che lo ha arricchito sia come musicista ed esteta che come essere umano.
Il successo è un’arma a doppio taglio: se da un lato regala fama e attenzione, dall’altra rischia di snaturare il proprio percorso artistico, gettandolo in pasto ad un mainstream solo ed esclusivamente commerciale, facendolo scivolare verso il puro esercizio di mestiere. Questo, per fortuna, non è il caso di Ermal Meta. Il pericolo di cavalcare l’onda dei motivetti solo radiofonici, mettendo da parte la scrittura e la ricerca dei testi, era elevato. Ammetto che avevo paura. Eppure non è stato così.
In Tribù Urbana ho ritrovato l’Ermal che scava e attinge profondamente dentro di sé, che raccoglie quelle parti creative e quegli aspetti accattivanti della vita. Perché Meta ha quella peculiarità di sapersi immedesimare nelle persone, creando empatia. Una capacità che arride a pochi autori nostrani.
L’album è vivido e pieno di racconti. Tribù Urbana è intriso di amore e speranza e positività e necessità e sensibilità. Un libro che parla ad ognuno di noi, nel quale emerge quella spiccata attitudine cantautorale e quell’esperienza che riesce a toccare le corde emotive che solo pochissimi maestri della musica italiana sono capaci di brancicare.
Tribù Urbana si apre con Uno, un inno all’uguaglianza, in cui Ermal ci ricorda che “il cielo è uno”, accompagnato da un sound energetico. Uno schiaffo a chi pensa che siamo diversi: «Come le voci, le nostre voci, si accendono milioni di luci, visti da su siamo tutti uguali». In Stelle Cadenti, Ermal canta una storia d’amore, una “fotografia fatta da un ubriaco”: «Se potessimo iniziare le storie all’incontrario, così verso la fine potersi vivere l’inizio».
Il destino universale è la canzone più bella del disco, a mio avviso. Una testimonianza che ti entra dentro dove Ermal racconta storie di vita, compresa la sua: «Ermal ha 13 anni e non vuole morire; della vita non sa niente tranne che la vita è importante». Si tratta di realtà differenti tra loro, ma accomunate dal fatto che ognuno rincorre i propri sogni e affronta le difficoltà e gli ostacoli con coraggio: «Ci manca il coraggio di dire “lo faccio, concedo a me stesso di essere libero. Stavolta io posso un piccolo passo” per sperare non si chiede il permesso».
Nina e Sara è la storia, contrastata, di un amore tra due donne alla ricerca di una normalità che non le viene concessa da una società ancora troppo arretrata e bigotta. Una storia del 1987 che ha luogo nel sud Italia: «Io non pretendo di sapere, non pretendo niente, vorrei soltanto potermi sentire una volta normale». In Non bastano le mani amo l’arrangiamento che va in crescendo, fino ad esplodere: «Senza il coraggio non avrai niente, senza coraggio non sarai niente». Non vedo l’ora di ascoltarla live e urlare queste parole.
Il sogno, la speranza, la spensieratezza, la vita, le cadute, le risalite è tutto racchiuso in Un altro sole: «Con le mani che si aggrappano al cielo stanotte, siamo meno lontani, ma nel fango della stessa sorte, tutti noi siamo uguali, che ridiamo con le costole rotte per andare avanti, andare avanti così». In Gli Invisibili, canzone nata dopo un viaggio negli Stati Uniti, trasuda tutto il talento comunicativo e della scrittura diretta di Ermal Meta: «Siamo gli ultimi di questa lunga fila, siamo quelli che ci manca ancora una salita, quelli che vedi quasi sempre sullo sfondo, siamo gli invisibili che salveranno il mondo».
Il nastro della vita si riavvolge in Vita da fenomeni, un brano che ci ricorda che gli anni passano, ma i ricordi restano e ci legano ad un passato che non vogliamo lasciare, che non vogliamo buttare via perché irrimediabilmente è una parte di noi, forse la più bella: «E siamo tutti un po’ così, innamorati del passato. Ormai non siamo buoni a fare tardi e non siamo più tanto bravi a fare i giovani, sarà che siamo diventati grandi in questo mare pieno di pericoli».
Tribù Urbana si chiude con Un po’ di pace, una ballad intensa e nostalgica: «E ritornare a quelle notti sulla spiaggia, tutti intorno al fuoco, ci bastava poco, benzina nei pensieri miei. Te li ricordi quei discorsi sul futuro come fosse un gioco?».
Tribù Urbana è un percorso introspettivo, un viaggio sottile tra il più classico cantautorato e il mainstream pop.
Accanto all’atteggiamento più sensibile, proprio da songwriter ricercato, Ermal sfodera la giusta attitudine alt-rock che rende il suo lavoro dinamico e a tratti imprevedibile. Producendo un formato-canzone che strizza l’occhio al pop senza mai scadere nella faciloneria radiofonica e schizzofrenica.
Ermal Meta ha il pregio di riuscire a mettere a nudo i nostri pensieri più reconditi. Il fascino discreto del suo stile intimista, la ricerca delle verità nascoste nelle cose e nelle persone, l’onestà artistica, il flusso di coscienza e l’analisi scrupolosa della quotidianità, regalano un bagliore di luce al panorama musicale italiano. E allora grazie, Ermal, per questo bagliore d’ossigeno.
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