Edizione dei record, la settantesima, per il Festival di Sanremo di Amadeus: la kermesse ligure della canzone italiana è stata vinta da Diodato con “Fai Rumore” in un finale al fulmicotone.
Ore 21: entrata trionfale di Amadeus annunciato dalla banda dell’arma dei Carabinieri – quest’anno al suo centesimo compleanno. E la sorpresa: mano sul cuore, e l’inno di Mameli – la marcetta più apprezzata al mondo – risuona con i suoi timpani e fiati all’Ariston.
Un po’ in una curiosa coincidenza calcistica, Cristiana Capotondi – presidentessa della serie D italiana – appare sul palco con tanto di pallone donato ad Amadeus. Quest’ultimo, impettito e elegantissimo nel suo semplice smoking nero.
Già conosciamo la classifica, qui in ordine inverso:
- Junior Cally
- Riki
- Elettra Lamborghini
- Enrico Nigiotti
- Giordana Angi
- Alberto Urso
- Michele Zarrillo
- Rita Pavone
- Marco Masini
- Paolo Jannacci
- Levante
- Raphael Gualazzi
- Achille Lauro
- Anastasio
- Rancore
- Irene Grandi
- Elodie
- Tosca
- Piero Pelu
- Pinguini tattici nucleari
- Le Vibrazioni
- Francesco Gabbani
- Diodato
Dopo l’annuncio delle modalitò di televoto, ecco che sale Michele Zarrillo – decano della kermesse ligure – sul palco, pronto ad interpretare la sua Nell’Estasi o nel Fango. Grande interprete, oramai un po’ d’annata, che tenta di rilanciare la propria carriera con un intenso brano ben iscritto nel pop moderno Mengoniano – peccato per la scarsa verve dimostrata. Segue a stretto giro Elodie, abitino succinto che in poche potrebbero permettersi – ad esempio, lo indossassi io, ricorderei gli ippopotami ballerini di Fantasia. Di nuovo, firmato da Dardust, Andromeda ci ricorda chi siano le nuove star del cantautorato italiano: i produttori ed i sound designer. E fare pop con i tempi dispari nel nostro paese, ad ora, è forse un po’ un azzardo: lasciamolo ai Leprous.
Senza correre il rischio spoiler, Amadeus annuncia una gran signora della tv italiana: la veneta Mara Venier – con o senza scarpe. Tacchi a spillo minuscoli e rischio di caduta quotato alla SNAI. Indescrivibile l’emozione della consegna delle chiavi della TV alla cara Mara con tanto di simpatico siparietto pre-domenicale. Il duo annuncia Enrico Nigiotti e la sua fiera capigliatura: meno fiero è il suo compitino Baciami Adesso, per l’occasione condito dalla chitarra elettrica al braccio dell’ex Amici.
Dopo la pausa per la pubblicità, Fiorello fa il suo trionfale ingresso nella finale del Festival di Sanremo in scena raccontando epiche scene di delirio: Pelù e Lauro impegnati nel makeup, Dua Lipa e Rita Pavone col burraco. Ed una grande rivelazione: dato l’enorme successo di audience, pare che i vertici RAI abbiano aperto ad un bis per la coppia Fiorello Amadeus. Che entra vestito da Maria de Filippi – l’altra signora delle tv italiana oltre a miss Venier. Il conquistatore di Facebook è invece Gianni Morandi. Sempre più all’insegna dell’amicizia l’interpretazione degli “Amarello” di Un Mondo D’Amore: fortunatamente il settaggio dei microfoni privilegia l’amplificazione di quello di Fiorello.
La gara finalmente riprende – del resto sono solo quasi le 22. Appare Irene Grandi in carta da zucchero – è ancora una bellissima donna, il perché si conci con questi vellutini rimane un mistero. Il brano, Finalmente io, porta la firma di Vasco e Curreri: l’interpretazione della Grandi, che sta vivendo una nuova primavera artistica attualmente, è eccellente. Torna sul palco dell’Ariston Diletta Leotta, cinta da un curioso abito da cigno bianco. Insomma, i rimandi alla cultura pop calcistica stanno sfiorando il livello memistico. Arrivano Alberto Urso e le sue sneakers proponendo Il Sole ad Est con l direzione di Celso Valli factotum.
Viene però annunciato il grande favorito – meritatamente: Diodato, e la sua Fa Rumore. Una delle più belle ballad mai presentate a Sanremo: intensa, dal respiro internazionale, interpretata da una voce che non ha eguali per preparazione tecnica e perfezione nel timing.
Ma siamo al momento più atteso di tutti gli adolescenti degli anni ’80: Sabrina Salerno, che annuncia Brunori SAS Marco Masini con Il Confronto. Performance più sciolta delle due precedenti, ma non più incisiva. Segue a ruota il “Giovane” Leo Gassman, che come ben sappiamo, è figlio e nipote d’arte, con Vai bene così. Un’orgia di qualunquismo e luoghi comuni su una bella linea melodica che ipnotizza e che evolve in un gospel che ci ricorda tremendamente un certo Irama sanremese.
Arriva finalmente il momento di Tiziano Ferro, elegante ed emotivo artista che è stato uno dei più grandi valori aggiunto di questo festival, che ci delizia con un monologo sull’amore e la vita a quarant’anni.
Subire non è una disgrazia, ma è una scelta! E la felicità non è un privilegio, è un diritto.
Segue uno dei grandi classici di Ferro, la sentitissima Alla mia età. Perché il perdono è un diritto: smettere d’odiare è una scelta per sè stessi, non per il prossimo – per non avvelenarsi, intossicarsi, sporcarsi il DNA. Segue poi un tentativo di omicidio alla mia persona: la triade Ed ero contentissimo, Non me lo so spiegare, Per Dirti Ciao. Ferro permane un magnifico interprete, dotato di una grande tecnica ed una grande presenza scenica: uno dei pochi artisti che ha davvero guadagnato, sul campo, tutto ciò che che ha ottenuto – per la capacità di sfiorare, con poesia mai scontata, quelle corde dell’animo che, da adulti, è più difficile far risuonare. Dopo cotanto emozionarci, la scenografia blu e accogliente dell’Ariston torna protagonista assieme alla Leotta e alla Salerno. Il Verona ha sconfitto la Juventus 2-1. Appare poi Piero Pelù stile El Diablo con tanto di pelo all’aria e frase motivante – Sei molto di più – dipinta sul petto. Ci delizia con la sua Gigante, che continua ad assomigliare ad uno dei successi di sigle tv firmati da I Cavalieri del RE negli anni ’70 misto alle sonorità indie pop dei The Rasmus di inizio ’00. Il furto finale e roteamento di una pochette è la ciliegina sulla torta.
Le facili ironie sull’infinita durata del festival di Sanremo sono protagoniste di uno sketch fra Amadeus e Fiorello, che, dopo la pubblicità, annunciano Francesca Sofia Novello, la pietra dello scandalo misogino nonché fidanzata di Valentino Rossi. Ecco che però arriva Levante, e ruba la scena a chiunque, con la sua Tikitikibumbum. Brano ottimo, ma che avrebbe potuto essere eccellente. Siamo distanti dall’energia di qualunque brano del recente Magmamemoria. Nel frattempo, sul Nutella Stage si esibiscono gli Eugenio in via di Gioia. Tanto altro indie con i Pinguini Tattici Nucleari che, come già abbondantemente esposto, con la loro Ringo Starr, nulla aggiungono – nonostante gli smoking e la direzione del classicone Enrico Melozzi – alla loro già nota discografia. Una ventata di gioia però serviva, perché sono 23:15 e la notte è ancora giovanissima – come Mara Venier durante il bacio che Zanotti le ruba.
Ma ecco che la regina Elisabetta I fa il suo trionfale ingresso: ed è subito storia di Sanremo.
Del resto, c’era stato quell’indizio su instagram – quella corona. Achile Lauro è fra noi, e Se ne Frega. E noi lo amiamo per ciò che è: un grandissimo performer. Si spoglia della pesante crinolina e dell’impegnativa gorgiera, per tornre ai siprietti col perlato Boss Doms per l’occasione in shorts; ecco che il maschilismo tossico è accoltellato al cuore. Ecco che Achille Lauro in tre semplici serate ha rivoluzionato più di tanto trash di vent’anni di Platinette – con quel bacio non rubato al suo chitarrista e amico. Achille saluta come la regina e se ne va. Tanti cuori per lui, pubblicità, e infine Junior Cally. Rapper mascherato che si esibisce senza maschera che si lancia nella sua invettiva No, Grazie – discussa nientepopodimenochè da Giorgia Meloni. È mezzanotte meno venti, e siamo ancora a Raphael Gualazzi, pianista con Carioca, e personale quintetto di fiati.
Libera dalle costrizioni dei tacchi, Tosca scende trionfalmente le scale in un abito da sposa nerissimo: come a lutto è il suo Ho amato tutto. Gran classe, grande emozione: forse troppo alta per Sanremo. Segue Francesco Gabbani, già vincitore di Sanremo e gran favorito, con la sua Viceversa. Uno che ha il coraggio di dire Ti amo, in questi tempi di parafrasi. Direttamente dalla bara criogenica torna Rita Pavone con Niente (Resilienza 74), annunciata dalle co-conduttrici Leotta e Sabrina Salerno. Energica come sempre, decisamente più in forma vocalmente rispetto alle altre serate. Altri grandi favoriti e affezionati di Sanremo, Le Vibrazioni, con Sarcina che ci regala come sempre la tipica canzone a là Sarcina: Dov’è?. Standing ovation per Beppe Vessicchio alla direzione d’orchestra.
Comincia l’epoca dei grandi ospiti a Sanremo, in colpevolissimo ritardo rispetto all’orario solito cui la settantesima edizione di Sanremo ci ha abituato: arriva Biagio Antonacci. Che propone la triade di classiconi Iris, Liberatemi e Quanto tempo Ancora. Tutte e tre in evidente affanno vocale: fortunatamente il pubblico partecipa attivamente. Fiorello fa lo sbrigativo e trascina via Antonacci. Grazie, Fiore.
La triade di co-conduttrici annuncia Anastasio, rapper arrabbiato con la sua Rosso di Rabbia. Base heavy metal e contaminazioni dei Rage Against the Machine – operazione che nessuno a Sanremo aveva mai tentato. Segue Riki che nulla lascia. Idem la rivelazione Giordana Angi, per la quale, lo splendido testo di Come mia madre, viene penalizzato da un arrangiamento mieloso e pesante.
I tempi accelerano, è l’una meno un quarto. Arriva Paolo Jannacci, con Voglio Parlarti Adesso. Splendido brano, ma affidato ad un altro interprete avrebbe reso al meglio. Trivia: gli è stato rubato il portafogli.
Arrova la cara Elettra Lamborghini, con una splendida tuta blu, Musica (e il resto scompare), ma che, di nuovo, non incide. Qualche lezione in più di canto avrebbe aiutato e anche molto. Dolcissima e svampitella con quel balletto – ci aspettavamo tutti del twerking, in realtà. E come un faro nella notte oceanica e tempestosa, arriva Rancore, incappucciato come sempre, riflessivo come sempre. Il pianoforte di Dardust è un valore aggiunto a Eden: uno dei pochi brani che abbia un vero e proprio storytelling all’interno della kermesse sanremese più piena d’amore di sempre (oltre ad Anastasio e Levante).
Siamo alle battute finali: ecco che sale sul palco Sabrina Salerno, che sembra aver trovato l’elisir di lunga vita, assieme ai Boys Boys Boys. Quanto basta di autotune.
Ore 1:11: Fiorello fortemente insonnolito annuncia la classifica fino al quarto posto.
- 23: Riki
- 22: Junior Cally
- 21: Elettra Lamborghini
- 20: Giordana Angi
- 19: Enrico Nigiotti
- 18: Michele Zarrillo
- 17: Rita Pavone
- 16: Paolo Jannacci
- 15: Marco Masini
- 14: Alberto Urso
- 13: Anastasio
- 12: Levante
- 11: Raphael Gualazzi
- 10: Rancore
- 9: Irene Grandi
- 8: Achille Lauro
- 7: Elodie
- 6: Tosca
- 5: Piero Pelù
- 4: LE Vibrazioni
Ovviamente, rimangono in lizza I Pinguini Tattici Nucleari, Diodato e Francesco Gabbani. A risvegliare gli animi fortemente abbacchiati ci pensa Fiorello che si diletta con qualche filtro vocale e tantissimo autotune – e scimmiottamenti ai trapper. E cazzeggio in libertà. E balletto “lento”, istituzione dimenticata dai millennials (non ne sentiamo la mancanza, ve lo assicuro). Quasi a sorpresa, arriva l’interpretazione di Amore Fermati del compianto Fred Bongusto da parte di Fiorello.
La palpebra inizia a calare, ed anche il surrealismo comincia ad avanzare: Diletta Leotta che si lancia in un versione in siciliano – Sciuri Sciuri – di Lose Yourself di Eminem, circondata da ballerini in coppola Old Cosa Nostra maniera. Un breve riempitivo in attesa del risultato della votazione finale. Relegato a tarda notte – quasi mattina – il ben più meritevole balletto di Ivan Cottini, ragazzo malato di Sla, in sedia a rotelle, con la sua insegnante di danza Bianca Maria Berardi, sulle note di Anche Fragile di Elisa. Ospite poi il cast di La mia Banda suona il Pop di Fausto Brizzi al completo: i Popcorn!
Dopo un’attesa straziante, finalmente, vengono convocati i tre finalisti (sagra della salsiccia esattamente come lo scorso anno): e’ Ringo Starr dei PInguini tattici nucleari a classificarsi terza. Segue a ruota l’omaggio a Te ce hanno mai mannato a quel Paese di Alberto Sordi da parte di Edoardo Pesce, star di Dogman. Ancora, Who Wants to Live Forever nonchè Bohemian Rhapsody seguita a ruota da Show Must Go On dei Queen dal tenore Vittorio Gregorio.
Ormai siamo con un occhio aperto e uno chiuso. Oppure entrambi aperti a metà. E c’è un momento raggaeton che non ho onestamente capito ma grazie a Dio arriva presto la premiazione:
Da una trafelata sabrina Salerno, viene portato il Premio della Critica Mia Martina assegnato a Diodato con Fai Rumore. Il Premio Lucio Dalla, invece, in sezione Campioni, viene vinto ugualmente da Diodato con Fai Rumore.
Diodato ha l’aria confusa di chi non dorme da giorni ed una curiosa mezza barbetta.
Il Premio Sergio Bardotti al miglior testo viene assegnato a Eden di Rancore – meritatissimo. Il premio Giancarlo Bigazzi alla migliore composizione musicale lo prende Tosca, con Ho Amato Tutto. Il Premio Tim Music va a Viceversa di Francesco Gabbani.
Siamo alle battute finali e aneliamo al chiudere gli occhi o all’andare a fare after.
Come sempre, il Sindaco di Sanremo ha il compito di premiare il vincitore della Kermesse: l’ansia si taglia col coltello – nulla a che vedere con la faida Mahmood/Ultimo, sia chiaro.
Il vincitore della Settantesima Edizione del Festival di Sanremo è, alfine, Diodato, con una risicata maggioranza dovuta alla sala stampa.
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