“Mi raccomando, cerchiamo di fare le persone serie!”, ecco come inizia la mia conversazione con Valentina Volpe Andreazza, cantante lirica di fama internazionale, di ritorno dalla sua ultima tournée a Pechino.
Indovinate? Non siamo riuscite a restare serie fino alla fine.
Io e Valentina ci siamo conosciute all’università. Entrambe frequentiamo la facoltà di Antropologia, ed esattamente un anno fa ci siamo incontrare all’esame di Storia Moderna (siamo riuscite entrambe a passarlo, tranquilli). Qualche mese fa ci siamo incrociate a Milano per un pranzo, e mi ha detto che presto sarebbe partita per alcuni concerti in Cina: la prima artista italiana a esibirsi lì dopo la pandemia.
Non potevo non intervistarla, una volta che lei fosse tornata in Italia. E così, fra un turno e l’altro in libreria, l’ho chiamata per farle qualche domanda.
L’intervista a Valentina Volpe Andreazza
Come hai capito di voler fare la cantante?
V: Dal coro delle voci bianche della mia scuola elementare! Mi selezionarono in…terza o quarta elementare, e da lì poi ho scoperto la magia del coro e del cantare con altri bambini. Andavamo anche a fare concerti, era un coro bellissimo! Poi alle medie ho continuato a cantare e… beh, papà non mi sopportava più! La mamma così ha deciso di contattare il maestro del coro, che insegnava anche al Teatro La Fenice a Venezia… dopo una piccola audizione ha capito che avevo del talento non espresso e che dovevo studiare canto. Inizio così privatamente, verso i tredici, quattordici anni, e facevo mezz’ora alla settimana con un insegnante, con cui facevo solfeggio, storia della musica… sempre qui a Sacile.
È per questo che quando nel 2019 l’Accademia della Scala mi ha chiamata per partecipare a un progetto pilota in cui formavano ex allievi per diventare direttori di coro delle voci bianche, progetto anche di inclusione sociale in cui saremmo poi andati a fare un tirocinio nelle scuole di periferia milanesi l’ho visto come un segno del destino… è stato ciò che mi ha aiutata a superare anche il periodo della pandemia, ho perfino fatto lezione online ai bambini!
Quindi… come sei arrivata dalla tua cittadina in Friuli, Sacile, all’Accademia del Teatro alla Scala a Milano?
Sono entrata nell’Accademia dopo i miei studi in Diplomazia e Relazioni Internazionali all’Università di Padova e dopo quelli di Musica e Canto Lirico al Conservatorio di Padova mi sono detta di aver bisogno di un modo per concretizzare il mio sogno di creare questo ponte fra diplomazia e musica, anche solo impratichirmi con basi manageriali su come poter utilizzare la musica per le relazioni internazionali… scopro così che all’Accademia del Teatro alla Scala esiste (ora non più, purtroppo) questo corso in Autoimprenditorialità del musicista: ho studiato dalla negoziazione alla legislazione dello spettacolo, ho incontrato agenzie e agenti…fino ad arrivare a come creare un concerto, come scegliere un repertorio e soprattutto a come proporsi come artista con qualcosa di diverso da dire rispetto a un altro artista.
Poi ho fatto altri corsi in pedagogia musicale, ma alla fine mi sono trasferita a Bruxelles per i primi concerti, ed è così che ho iniziato a lavorare con le prime istituzioni europee, organizzando i concerti all’interno delle conferenze diplomatiche…cantare e creare contenuti, insomma, lavorando per la diplomazia culturale.
Parliamo del tuo progetto, Music4Diplomacy: da dove nasce? Come lo stai portando avanti?
Non ci sono figure di artisti che dicano “io voglio lavorare nel mondo della diplomazia culturale”, e rarissimi casi di cantanti e/o musicisti, come Ezio Bosso o Riccardo Muti, si sono posti il problema di creare un dialogo culturale tramite la musica. Io, con i miei studi alle spalle, mi sono detta “perché non aprire una strada inesplorata di una fascia di mercato in cui un musicista crea contenuti per questo settore diplomatico… è una cosa che si adatta a un festival, a una conferenza, ed è qui che ho creato il mio format, Music4Diplomacy. È un network di musicisti e artisti impegnati in questa causa culturale, ma anche un format musicale, nel quale studio il concept della conferenza/evento e creo un repertorio che sia consono e che si adatti a quelle che sono le tematiche trattate durante l’occasione: qui la musica non è puro intrattenimento, ma è vera e propria partecipe della conferenza. Attraverso un repertorio ben studiato, che possa davvero fare da tramite fra le istituzioni, fra gli argomenti eccetera, si può davvero fare la differenza, sviluppando anche l’intelligenza emotiva degli ascoltatori. È una ricerca antropologica delle tradizioni, ed è qui che mi sono detta…perché non studiare antropologia?
Ed è qui che ci siamo incontrate! Ma adesso parliamo delle tue ultime fatiche… sei stata la prima artista italiana a esibirsi in Cina dopo la pandemia: come ci si sente?
Ah, io non volevo più tornare a casa! Mi sono sentita accolta in un modo così unico, e con un così grande entusiasmo! È sicuramente arrivata la mia gioia e il mio spirito di dialogo e di conoscenza della loro cultura. Mi fermavano per strada per fare le foto! Ho fatto tre concerti, quindi comunque lavoravo, ma ho anche partecipato a un’esibizione (dove ero l’ospite d’onore) della Chinese National Symphony Orchestra, in cui cantavano Don Pasquale, in questa concert hall spaziale vicino alla Città Proibita…il moderno che incontra la tradizione, insomma! Vedere un’opera lirica italiana eseguita da gente del posto è stata una grande emozione, e il pubblico era da stadio, davvero.
Io sono stata invitata dall’Istituto Italiano di Cultura di Pechino e dal suo mitico direttore, il professor Federico Roberto Antonelli, che lì sta facendo grandissime cose per diffondere la cultura italiana, ed è lui che mi ha voluta lì come prima artista ad aprire le scene del mondo dell’arte e della musica lì a Pechino: ha creduto in me e ha visto in me un potenziale che poteva essere capito. Ci vuole sensibilità dall’altra parte, come in ogni cosa. Pechino per me è stata la scoperta di un mondo dall’altra parte del mondo, e il pubblico cinese mi ha dato una grandissima soddisfazione, ama la lirica e anche la canzone italiana.
Cosa ti ha colpito di più di quel mondo dall’altra parte del mondo? Quella cosa che ti è rimasta impressa e non riesci più a levarti dalla testa:
È stata una esperienza artistica e umana allo stesso tempo, davvero fortissima. Il calore umano è stato qualcosa di indescrivibile, lo percepivi davvero, poi un pubblico che ti seguiva da un concerto all’altro! Difficilmente capita, altrove. Lì il mio spirito si è unito al cosmo, stavo così bene! È stato davvero qualcosa di spirituale, un’energia che mi sosteneva ogni giorno, data anche dagli italiani lì che hanno formato una rete pazzesca nell’accogliermi, io ero davvero trattata come una regina. Finalmente ho avuto la serenità di non dover pensare a nient’altro che a esibirmi. E poi il mondo cinese, tutto quello che ho conosciuto, l’entusiasmo per la musica e la dignità della figura del musicista.
E adesso? Cosa farai? Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Intanto la sessione d’esame che aspetta entrambe (ride), un concerto per i malati di SLA, che è stata una grandissima emozione, un incontro potente. Più che altro l’estate la passerò studiando, però sto già programmando il calendario dei concerti da ottobre in poi. Ovviamente, spero di poter tornare presto in Cina per poter continuare il tour: ho visitato solo Pechino e Tientsin, dove ho conosciuto i bambini della scuola italiana e ho raccontato la storia della Turandot, e ho anche cantato con loro in cinese e in italiano!
Domanda bonus per finire in bellezza: se potessi ricantare una qualsiasi canzone di un cartone animato nella tua personale versione, quale sceglieresti? E perché?
Beh, sicuramente qualcosa da Mulan o Pocahontas della Disney. Sono due film che ho sempre amato con delle eroine che ho sempre ammirato. Riflesso è un capolavoro (ne accenna una strofa cantando), e una canzone che canto sempre è I colori del vento, è una canzone molto…antropologica, se mi passi il termine. Ah, anche la sigla di Sailor Moon! Devo sceglierne solo una? (ride)
[Fonte: Instagram]
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