Caravaggio e l’altro

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Per celebrare il 449° compleanno di Michelangelo Merisi, più comunemente conosciuto come il Caravaggio, analizzeremo insieme il tema dell’alterità attraverso un suo splendido dipinto datato tra il 1597 e il 1599: Narciso, il cui mito ha origini antichissime risalenti al I secolo a.C.

Victor Stoichita, importante storico dell’arte contemporaneo, ne L’immagine dell’altro analizza la rappresentazione figurativa del diverso in età moderna rappresentando la memoria visiva di un dato fenomeno ma senza entrare nel merito dei conflitti che il tema dell’alterità potrebbe scaturire. Lo studioso ha analizzato le modalità attraverso le quali la figura del diverso ha fatto irruzione nella scena della rappresentazione.

Si brandisce il Narciso come quadro feticcio di questo tema: una tela concepita da Caravaggio come un’immagine doppia, perfettamente simmetrica per confrontare l’io con l’altro. Quello che Narciso vede, e di cui si innamora, è solo apparentemente se stesso, in realtà solo frutto di un effetto ottico generato dall’acqua. Mediante il riflesso quindi si suggerisce un capovolgimento analogico: l’io diventa l’altro e l’altro diventa l’io in una circolarità senza fine. Questa provocazione invita a riflettere sugli individui che incontriamo ogni giorno nel nostro cammino; da uguali, essi si trasformano ben presto per ragioni religiose, etniche o culturali in “diversi”.

Caravaggio e l'altro 1

Emmanuel Lévinas, nella sua opera Totalità e Infinito, propone soluzione mediante il riconoscimento del volto dell’altro in quanto manifestazione dell’alterità, allo scopo di colmare la distanza dell’alterità che l’altro implica. È soltanto nel faccia a faccia che il rapporto con l’altro e quindi con la diversità può stabilirsi una simmetria, per questo il dipinto di Caravaggio è emblematico; perché se è vero che “l’altro non esiste in assenza dello stesso”, ed è in effetti una sua proiezione culturale, il diverso esiste davvero, e negarlo è un illusione altrettanto ingannevole di quella ingenuamente simmetrica.[1]

Il dipinto i Caravaggio è concepito come un’immagine doppia ideale per confrontare il sé con il suo altro. Un’opera che suggerisce la possibilità, pur fermandosi sulla soglia dell’illusione, di una versione simile all’immaginario contemporaneo.  Il disincanto della favola ovidiana sottolinea quindi anche la crisi del primato del sé.

Ma riflettendo attentamente sulla lettura che si è data del Narciso del Caravaggio, è inevitabile fare un paragone con la società contemporanea. In televisione, in radio, attraverso i social network passano immagini che parlano di migranti, persone che scappano dal proprio paese di origine che, pur essendo diverse da noi per cultura, usi e costumi, sono esseri umani del nostro stesso livello; si pensi al dolore.

Sentimenti e sensazioni che sono uguali per ogni essere umano e questo il virus avrebbe dovuto insegnarcelo. Di fronte alla paura della morte, o della malattia o della difficoltà economica centinaia e centinaia di persone lasciavano il Nord Italia per scappare dal luogo pestilente. Venivano visti come gli untori tornati nel luogo d’arrivo, ma ciò che cercavano di fare era solamente scappare dal pericolo. Si mescolano le carte e noi potremmo essere il prossimo diverso, che senso ha quindi alzare delle barriere?


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