Questo 2020 si è portato via anche Rossana Rossanda: giornalista, partigiana, femminista, politica, scrittrice. Un’intellettuale come pochi, una donna carismatica che seppe concentrare su di se razionalità e passione, metodo e istinto.
Che tempra quella delle donne degli anni Venti. Un condensato di modernità, progresso e ribellione. Delle portatrici sane di libertà e cambiamenti in una società che, negli anni Sessanta/Settanta, era paternalista e tradizionalista, nonché pregna di discriminazioni e subordinazioni. Un’Italia che navigava nel conservatorismo più basso, con pesanti discriminazioni di genere; che da agricolo-industriale diventava industriale-agricola; che era condizionata da una visione confessionale e censoria della comunicazione pubblica.
«Per essere liberi bisogna saper rischiare. La libertà è un rischio»
Rossana Rossanda era una delle donne più libere e concrete dell’Italia del Novecento.
Il suo nome è legato a Il Manifesto, quotidiano da lei fondato nel 1969, che ha reso audaci quelle sue parole intrise di battaglie sociali e politiche. Una donna di gran cultura, sobria e rigorosa, capace di scendere a compromessi, lontana anni luce dalla demagogia e dal populismo odierno.
Se n’è andata anche lei, in questo strano e sofferente anno, una delle ultime testimoni del secolo scorso. Una ragazza degli anni Venti, forte e intelligente, che è scesa in campo sempre in prima linea per i diritti delle donne e dei lavoratori. Una vera comunista italiana, nel senso più romantico del termine, una di quelle che non si risparmiava, che disobbediva.
Ci ha insegnato tanto, ci ha ammonito a non recedere nella difesa delle libertà e che la democrazia, anche quella filo-borghese, non è un bene negoziabile. E una come lei non poteva che lasciarci in una domenica elettorale, in un giorno di lotta.
Con Rossana Rossanda se ne va un pezzo di storia, della nostra storia. Quando i confini ideali e morali erano stabili, e le idee e i principi indisponibili a compromessi. A volte rimpiango quegli anni che non ho vissuto, quei tempi densi di figure fisse, immobili, garanti di una responsabilità e rappresentanza che ora non c’è più, o almeno non così.
«Compagno è una bella parola, è un bel rapporto quello tra compagni. Amico è una cosa più interiore.
Compagno è la proiezione pubblica e civile di un rapporto in cui si può non essere amici, ma si conviene di lavorare assieme.»
Ciao, Compagna!
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