“Non è equo questo compenso” è il grido degli attori italiani contro le piattaforme streaming.
Che lo streaming non garantisce agli artisti un compenso economico adeguato, congruo e soddisfacente è un dato di fatto, ma la pandemia ha reso il concetto più grave di quanto si possa immaginare. Già, perché in questi mesi, mentre teatri e cinema avevano le saracinesche abbassate, abbiamo potuto constatare una crescita esponenziale di abbonamenti alle piattaforme streaming, con un numero sempre più elevato di fruitori di film e serie tv.
Ma questa crescita corrisponde ad un parallela retribuzione per gli attori ed esercenti del settore? Vi rispondo subito, no.
Qui sta la battaglia che sta portando avanti Artisti 7607, collettivo di cui fanno parte illustri nomi dello spettacolo nostrano – da Elio Germano ad Ambra Angiolini, passando per Vinicio Marchioni, Francesco Montanari, Kasia Smutniak, Michele Riondino, Corrado Guzzanti, Valerio Mastrandrea, Neri Marcorè, Giobbe Covatta, Paolo Calabresi, Daniela Virgilio Diego Abatantuono, Claudio Santamaria – che con il convegno online “non è equo questo compenso” (sfociata in una lettera aperta al Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini) hanno denunciato il mancato riconoscimento dei diritti connessi agli artisti o un riconoscimento blando degli stessi.
Consapevoli di quanto le opere televisive e cinematografiche siano sfruttate dalle piattaforme streaming come Netflix, gli Artisti hanno sentito il dovere di scendere in campo e chiedere un riconoscimento dei diritti connessi al diritto d’autore.
Prima di proseguire, è opportuno che brevemente vi chiarisca alcuni aspetti legati ai diritti connessi.
I diritti connessi si affiancano alla categoria dei diritti d’autore, che riconoscono all’autore facoltà esclusive di utilizzazione economica dell’opera. Accanto a questi diritti d’autore, che quindi spettano ad autori ed editori (tutelati, ad esempio, dalla SIAE o dal Nuovo IMAE) vi sono una serie di diritti attribuiti a chi, con la sua attività, interviene sull’opera stessa.
Questi diritti sono denominati “connessi” in quanto legati al diritto d’autore. Essi sono regolati al Titolo II della Legge sul diritto d’autore n. 633/42 intitolato “Disposizioni sui diritti connessi all’esercizio del diritto d’autore”. I diritti connessi sono nati in conseguenza delle nuove invenzioni della discografia e della cinematografia, che hanno interessato l’istituto del diritto d’autore, nonché l’ordinamento giuridico.
I diritti connessi, come il diritto d’autore, sono diritti esclusivi che possono essere fatti valere erga omnes (nei confronti di tutti). Ma, a differenza del diritto d’autore, questi diritti non hanno per oggetto un atto di creazione intellettuale, bensì un atto di attività industriale (per esempio, il produttore) o di attività professionale (per esempio, interpreti ed esecutori) che viene come tale protetto, compatibilmente con il diritto che spetta all’autore.
Il riconoscimento della tutela ai diritti connessi, non è stata immediata. Infatti, all’inizio vi era una tutela secondaria, probabilmente per evitare uno scontro con i diritti esclusivi spettanti agli autori ed editori. Una protezione piena è stata accordata con il decreto legislativo 16 novembre 1994 n. 685, emanato per l’attuazione della Direttiva CEE 92/100. La durata dei diritti è mediamente intorno ai 50 anni, ma sono previste durate specifiche e diverse per ogni tipologia di oggetto del diritto.
Chiariti gli aspetti legati ai diritti connessi, torniamo a parlare dei nostri attori e della loro battaglia a vedersi riconosciuti questi diritti.
L’elemento che fa sobbalzare gli attori, così come la sottoscritta è questo: le piattaforme streaming non forniscono alle società di gestione collettiva di artisti, il numero di visualizzazioni delle opere; tale mancanza, impedisce alle collecting di ridistribuire i diritti connessi agli artisti. È folle, se si pensa che siamo nel 2021 in una società digitalizzata. Ed è ancora più folle pensare che, se in questi mesi Netflix, Amazon Prime e compagnia bella, avessero fornito alle collecting le informazioni necessarie e, quindi, avesse riconosciuto i diritti connessi agli attori, questi non avrebbero avuto l’esigenza di bussare alle casse dello stato per avere un sostentamento economico.
Vedere bene come il problema non sia legato solo all’attività dei nostri artisti, ma coinvolge tutta la società.
Un mancato riconoscimento di un diritto – in questo caso, dei diritti connessi e, quindi, all’equo compenso – in capo ad un soggetto, finisce a danneggiare indirettamente tutti. Per questo la battaglia a vedersi riconoscere i propri diritti dei nostri artisti, deve essere anche la nostra; per questo le battaglie per vedersi riconoscere un proprio diritto, devono essere battaglie di tutti.
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