Ci sono poche persone che dimostrano di avere la capacità trasformare le parole in poesia, sia in musica che sulla carta. Ermal Meta è una di queste. Dopo aver sorpreso il mondo con il suo romanzo d’esordio, Domani è per sempre, tradotto in oltre dieci paesi, il cantautore torna in libreria con Le camelie invernali che si presenta come un’opera densa di misteri e di echi del passato che trovano il modo di farsi strada nel presente.
Pubblicato per La Nave di Teseo lo scorso 13 maggio e presentato in anteprima al Salone del Libro di Torino, Le camelie invernali è la storia di un conflitto viscerale tra due famiglie legate da segreti inconfessabili e da una tradizione oscura e ancestrale.

“Chi rimane racconta sempre di quelli che se ne sono andati, che hanno cambiato vita, come se una parte di loro fosse rimasta ancora lì, in una vecchia strada, nell’angolo in cui ci si dava appuntamento, su una panchina che non usa più nessuno, da qualche parte. Chi se ne va, invece, vuole dimenticare, fino a quando quella parte di vita diventa solo un racconto dettagliato che appartiene a qualcun altro e nulla di più”.
La trama di Le camelie invernali
Albania. 2025. Lara, una giornalista italiana, di origini albanesi, fa ritorno in Albania per intervistare un uomo di cui non sa il nome, che vive rinchiuso nella sua abitazione da trent’anni, dal 1995. Non sa cosa la aspetta, non sa che questo incontro cambierà per sempre la sua vita.
Albania. 1995. Due famiglie. Halil e Rozafa hanno perso la figlia, Nina, scomparsa nel nulla e mai più ritrovata. Sono rimasti con il figlio maggiore, Uksan. Zek è un uomo violento, picchia sua moglie Odeta e il loro figlio Samir. Samir e Uksan sono coetanei, amici per la pelle, con la vita davanti, anche in una terra senza futuro. Un equivoco, una lite banale e Halil, padre di Uksan, picchia a morte Zek, padre di Samir. Scatta il Kanun: Samir, ora, è obbligato dalla sua famiglia a preservarne l’onore, vendicare il sangue versato, uccidendo il suo amico fraterno Uksan.
Con Le camelie invernali, Ermal Meta si riconferma un autore di grande sensibilità narrativa, attento e coraggioso, scegliendo di affrontare un tema dimenticato come il Kanun. Antica e brutale legge albanese di “riparazione del delitto” stabilisce che se uccidi qualcuno, la famiglia della vittima è autorizzata ad uccidere un membro della tua, per ristabilire l’onore. La vendetta, però, non può colpire donne e bambini e non può consumarsi in casa, considerata luogo sacro.
Intervistato dal Corriere, il cantautore ha spiegato che “ancora oggi ci sono più di mille famiglie che vivono sotto il Kanun, che hanno i figli che vivono chiusi in casa, che non escono mai, per evitare di essere uccisi. La casa è l’unico posto inviolabile e loro vivono da prigionieri…”.
Attualmente impegnato con il tour estivo, tra un concerto e l’altro, Ermal Meta trova anche il tempo di incontrare il pubblico con una serie di instore per presentare Le camelie invernali, occasione perfetta per assistere ad uno showcase in acustico e scoprire qualche curiosità.
Negli ultimi anni, ha percepito un cambiamento nel mondo musicale?
“Sì, ritengo che la musica sia sempre meno libera. Basta ascoltare quello che esce: la crescente interscambiabilità dei brani degli ultimi dieci anni è evidente. Funziona, certo, ma io sento il bisogno di andare altrove. Ho voglia di uscire dal sistema, di fare qualcosa di diverso. E sento che questo spazio, lentamente, si sta creando.”
La paternità quanto ha influenzato il suo modo di creare?
“Totalmente. È un’energia diversa. Quando diventi genitore smetti di essere al centro della città che ti sei costruito e ti ritrovi in periferia, fuori dal baricentro. La creatività è sempre la stessa, forse di notte faccio più fatica a concentrarmi.”
Qual è il momento migliore per scrivere?
“Mi distraggo facilmente quindi ho bisogno di isolarmi, nel mio studio. Se devo invece dedicarmi alla scrittura di un romanzo alterno due luoghi: casa mia e la casa in campagna, dove rischio di essere disturbato soltanto da un cagnolino.”
Cambia la sensazione che prova tra scrivere una canzone e scrivere un libro?
“Una canzone è soltanto un frammento. Con un libro, l’attesa si fa sentire di più. Stavolta mi sono limitato a scrivere soltanto duecento pagine apposta per non far scappare qualcuno. È vero che non sono le pagine a fare un libro ma trattandosi di un tema più cupo, come una galleria che non vedi l’ora di attraversare, ho cercato comunque di mantenere un flow musicale, per evitare di diventare ostico”.
In entrambi i romanzi a fare da sfondo è l’Albania, il suo paese d’origine, con la sua storia e la sua politica.
“Avevo voglia di raccontare qualcosa di poco conosciuto. L’Albania è un Paese vicino, da cui arrivano voci di grande crescita. Volevo aprire una finestra su un periodo storico poco esplorato, in un contesto politico che spesso ignoriamo”.
Eppure ha scelto di iniziare dal futuro. Perché?
“Per non darmi un tempo preciso. Il primo capitolo che ho scritto è stato il terzo. È stato un modo per liberarmi anche nella struttura”.
Quando ha terminato il suo romanzo d’esordio ha detto di essersi sentito “svuotato”. È stato così anche per Le camelie invernali?
“Ne Le camelie invernali manca il classico viaggio dell’eroe: è una storia spezzettata, che coinvolge molte persone. È stato faticoso scriverla, soprattutto da un punto di vista emotivo. Mi ha fatto soffrire, non ne sento la mancanza, anzi è stata una liberazione averla terminata”.
E adesso? Progetti futuri? Nuovo album?
“Ho già scritto tante cose. In autunno mi metto a registrare. È il momento giusto”.
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