Testo di Bertolt Brecht, Dialoghi di Profughi va in scena per la prima volta all’Arena del Sole di Bologna, interpretato da Lino Guanciale con musica dal vivo di Renata Lackò.
Partendo dall’etimologia della parola, il termine profugo indica un individuo che fugge dal suo contesto originale per motivi politici, religiosi o economici per trovare una condizione migliore.
La figura del profugo non si concretizza mai nell’immaginario comune in noi stessi, ma quasi sempre nell’altro, e l’alterità è spesso configurata con il male, come asserisce lo storico dell’arte V. Stoichita, nella incisione di Niccolò Nelli delle fine del Cinquecento, e “lo sappiamo bene che il diavolo è l’altro per antonomasia e il rovesciamento proposto dell’incisore proclama la necessità di un esorcismo.”[1].
Niccolò Nelli, L’orgoglio turco, 1572, Mantova, Biblioteca Comunale
Se noi potessimo avere una istantanea fotografica di questo momento e avere un punto di vista esterno, noteremmo le assonanze impressionanti che vi sono tra il passato e il presente: in particolare tra l’opera di Bernard Brecht e la questione dell’immigrazione in Europa. Continuano gli sbarchi ma le norme riguardo l’immigrazione rimangono pressoché le stesse. In un’intervista per Il Manifesto, Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, afferma che “Culturalmente non è mutato il paradigma. Si continua a ritenere l’immigrazione un problema di ordine pubblico e non invece una risorsa sociale.” [2]
Tuttavia sempre più spesso il passato viene dimenticato e con esso anche il fatto che ogni popolo in un periodo della storia anche se per poco è stato profugo. Si è profughi quando si scappa dalla realtà provinciale per affacciarsi alle grandi città allo stesso modo – ma in modali ovviamente diverse – di un migrante siriano che cerca una vita migliore in Europa.
Ebbene, in Dialoghi di Profughi, brillante opera di Brecht, interpretata da Lino Guanciale e dalla splendida Renata Lackó, narra con una sbalordita attualità le riflessioni di due fuggiaschi tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, in una prima assoluta dal vivo presso L’Arena del Sole, Bologna.
L’opera è una lode agli esuli come origine di elevazione filosofica e politica. La vicenda narra di due uomini: un fisico e un operaio. I due individui si conoscono e riconoscono e attraverso una serie di questioni riescono poi a sviscerare e a trovare un punto di incontro. Due personalità che, nella vita di tutti i giorni, non sarebbero mai finiti in questa spirale dialettica, evidenziata dalla scelta delle musiche; sonorità erranti della tradizione yiddish con l’aggiunta di inserti sonori comuni negli anni Quaranta, musica colta europea e folk tedesco, che si traduce acusticamente con il complesso paesaggio esistenziale e culturale dell’incontro fra i due personaggi.
Tuttavia, Dialoghi di Profughi, riflettendo sul tema dell’emigrazione, evidenzia un altro aspetto dell’essere umano: la discontinuità esistenziale e il necessario bisogno di metamorfosi.
«L’emigrazione è la miglior scuola di dialettica. I profughi sono dialettici più perspicaci. Sono profughi in seguito a dei cambiamenti, e il loro unico oggetto di studio è il cambiamento. Essi sono in grado di dedurre i grandi eventi dai minimi accenni, […] e hanno occhi acutissimi per le contraddizioni. Viva la dialettica!».
È evidente quindi che attraverso i decenni la condizione e i modi di rapportarsi alla realtà del profugo sono i medesimi ma cambiano solamente le sfumature, per questo motivo vi è la necessità di pensare alla differenza e all’alterità come una risorsa di confronto e di crescita, non istituendo muri, ma ponti.
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